La pronuncia
Nelle precedenti corrispondenze accennavo alla necessità di individuare e
fissare delle regole grammaticali valide per il nostro ‘cirotano’,
nonché delle norme per una corretta grafia (ortografia) e pronuncia
(ortoepia) del dialetto. Sembrerà strano, ma per quanto riguarda
quest’ultimo aspetto, ovvero la corretta pronuncia, non credo sussistano
dubbi o problemi insormontabili, almeno per i ‘nativi’, per coloro cioè
che hanno appreso ‘naturalmente’ il dialetto. Infatti, a differenza di
quanto avviene nei confronti della lingua italiana, dove il dubbio è o
può essere sempre presente, nella lingua ‘dei denti da latte’, come la
chiamo io, la fonia e l’accentazione sono assolutamente naturali: gli
stessi organi della fonazione sono in un certo senso ‘addestrati’ al
loro compito, nei confronti di quell’uso particolare e imprescindibile
che è il corretto ‘posarsi’ dell’accento. In un diverso contesto, un
linguista lituano disse che il dialetto è una lingua senza esercito né
marina… aggiungerei che qualche freccia al proprio arco la possiede
anche il dialetto e chi ne fa uso. Una ‘freccia’ è quella che ho appena
accennato, un’altra è la sua espressività immediata, addirittura molto
prossima al linguaggio dei segni, al gesto che senza parole dice tutto,
come può essere una semplice ‘capizzijàta’, un segnale la cui
immediatezza viaggia di pari passo con la stessa frase che lo esprime:
possiamo immaginare una domanda del genere ‘e lui cosa ti ha detto?’, e
relativa risposta ‘ha fatt a capizzijàta…’, o peggio ‘na capizzijata! In
italiano non sarebbe la stessa cosa, almeno così non credo. Oserei
accostare la capacità espressiva di un gesto del genere a quella
contenuta in una frase olofrastica, cioè quelle frasi espresse
attraverso una singola parola, ad esempio un ‘sì’, oppure un ‘bene!’, un
‘forse’: gesti, parole, e differenze di parole che dicono tutto. Per
tornare al problema della corretta pronuncia della lingua italiana e
delle difficoltà che si possono incontrare, potrei richiamare la
differenza tra ‘pésca’ e ‘pèsca’, tra ‘vòlto’ e ‘vólto’ e via dicendo.
Fortunatamente nel parlare quotidiano il contesto delle frasi ci viene
in soccorso ai fini della reciproca comprensione, altrimenti sarebbe
alquanto difficile trovare qualcosa di miracoloso in una ‘pèsca’… o da
sbucciare in una ‘pésca’, e pretendere di essere capiti. Problemi del
genere, con il dialetto, non credo ve ne siano. E comunque, a
ricordarselo e saperlo pronunciare, pèsca è il frutto e pésca il
pescato. Di problema, o fenomeno specifico, si può parlare, io credo,
con riferimento alla situazione italiana, per una volta non solo
‘meridionale’, di quella diffusa ‘diglossia’ tipica della nostra
penisola, e che è la compresenza di almeno due lingue, l’italiano e il
dialetto, o addirittura di tre, come può verificarsi nel caso
delle tante cosiddette ‘minoranze linguistiche’, che, per quanto ne so,
ricorrono anche all’uso del dialetto del luogo in cui risiedono, e basta
pensare agli albanofoni di Calabria (arbereshe, italiano, calabrese).
Per fortuna la mente umana, e la parola che ne è, secondo me, la
massima espressione distintiva, sanno fare ricorso, quasi con
‘invenzione naturale’, se mi si passa l’accostamento, a quello che è il
‘code switching’, che altro non è se non un ‘cambio di codice’, un
‘interruttore di codici’. ‘Codice’ è forse uno dei termini più
importanti della linguistica: una lingua è un codice; l’aspetto che può
sembrare difficile da recepire è che non è il codice ad appartenere agli
utilizzatori, ma al contrario sono questi ultimi che, in un certo
senso, ‘appartengono’ a quel codice comune, ovvero ne fanno parte. ‘Code
switching’ altro non è che il passaggio dell’utente da un codice
all’altro, e questo è in grado di farlo anche un bambino non ancora
capace di leggere e scrivere, come ad esempio il piccolo che parla
cirotano col nonno, francese o tedesco all’asilo e italiano coi
genitori, situazione ricorrente, ad esempio, negli scenari legati
all’emigrazione.
La grafia cirotana
Se
non siete ancora stufi, torniamo all’esigenza di normare la grafia
cirotana, segnalando intanto che per quanto riguarda i suoni, o i ‘foni’
che ne rappresentano le minime unità percettibili, il cirotano possiede
la stessa dignità di tutti gli altri dialetti, e questo è un aspetto
che non va sminuito: nessuna lingua ha maggiore ‘dignità’ rispetto ad
un’altra, al più sono le opere prodotte con quella data lingua a
possedere maggiore o minore importanza e risonanza. I mutamenti
morfologici, fonetici, lessicali di quasi tutti i dialetti italiani, ma
anche spagnoli, francesi, greci, sono stati ampiamente studiati con
certosina pazienza e sconfinata sapienza da quell’autentico genio della linguistica che è stato Gerhard Rohlfs
(1892-1986), che – a dorso di mulo! – percorse le contrade, anche le
più impervie, di Calabria, Sicilia e Salento, annotando, indagando,
registrando qualsiasi parola o suono. Una fortuna impagabile per la
storia delle lingue! A questi fenomeni linguistici anche il cirotano va
soggetto, contenuto nel suo alveo che è rappresentato dall’area
dialettale del ‘meridionale intermedio, lucano-calabrese
settentrionale’, come individuata da Heinrich Lausberg (1912-1992), che
pure di Rohlfs fu collaboratore, ma non troppo accondiscendente,
ritnego, dal momento che, per quel che riguarda la Calabria linguistica,
ne ha spostato il confine tra lucano-calabrese settentrionale e
calabrese centro-meridionale su una linea che va grosso modo da Cirò
Marina a Longobucco e Cetraro, mentre Rohlfs divideva le due Calabrie
all’altezza di Tiriolo, un po’ a Nord di Catanzaro.
Conclusioni
Senza fare ricorso alla sapienza dei due glottologi che ho appena
citato, anche l’orecchio del dilettante può arrivare a delle
conclusioni, possibilmente suffragate, in tutto o in parte, dalle
affermazioni qualche autorevole studioso… Nel mio piccolo, ci provo. Ad
esempio: nel cirotano la vocale -i- quando è atona diventa quasi
impercettibile, benché pronunciata nel ‘cervello’ di chi parla. Vuol
dire che non sappiamo articolare la vocale ‘i’? No, perché quando è
accentata la pronunciamo senza difficoltà. Mi spiego: un bel guaio è che
proprio la città di Milano contiene una ‘i’ atona, e che insomma, dire
‘Milàno’ non è generalmente il massimo delle nostre performance
fonetiche… se solo si fosse chiamata ‘Mìlano’, con l’accento sulla ‘i’,
non avremmo avuto problemi!… Pazienza, facciamoci prendere in giro, ccù su Mlan-Malàno! Dunque
abbiamo accertato che la nostra ‘i’ atona è diversa da come dovremmo
articolarla in italiano, anche se facciamo fatica ad ammetterlo. Ora,
poiché tra gli scarti della grafia italiana esiste un accento
circonflesso che stava (e ci stava pure bene) ad indicare la
soppressione di un segno grafico, potremmo usarlo per indicare la nostra
bella ‘i’ atona, e scrivere ‘Mîlàn’… geniale o scoperta dell’acqua
calda, fate voi! Questa della ‘i’ atona potrebbe essere una prima
regola. Vediamo se riesco ad imbroccarne un’altra. Visto che in cirotano
la desinenza in ‘u’ di moltissime parole è molto meno marcata che
altrove, fino a riuscire quasi impercettibile, si potrebbe usare anche
il carattere ‘û’, in finale di parola: un uomo, ‘n’òmû, con l’avvertenza
che non di accento tonico si tratta, ma di accento grafico, o segno
diacritico. Quella desinenza in ‘u’ altro non è che l’esito degli ‘us’ e
‘um’ del latino. Per intendere la differenza tra la ‘u’ finale cirotana
e del resto della Calabria, specie a sud di Cirò, provate ad ascoltare
un parlante di Cutro o di Botricello… e probabilmente sarete d’accordo
nel riconoscere che in cirotano la ‘u’ è ben marcata solo in condizioni collegate al grado di enfasi assegnato a quella precisa parola.
E se la ‘u’ è accentata, come ci regoliamo con l’accento circonflesso
che accento tonico non è? Usiamo l’accento come previsto anche
dall’italiano, Turù… Tornando all’esempio della desinenza in ‘u’, in
botricellese è normale dire, e quindi scrivere, u gattu, mentre in
cirotano proporrei di scrivere u gàttû in condizioni normali, e magari u
gattu ca m’ha rascat, quando si vuole enfatizzare l’espressione. Queste
prime due sono delle regolette casuali, dal momento che non le avevo
studiate a tavolino. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensa il lettore che
fosse eventualmente riuscito a sorbirsi tutta questa ‘totula’…
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