sommario dei post

domenica 30 novembre 2014

§ 134 301114 M.L. Gentileschi: Formazione e sviluppo di Cirò Marina.

 Si deve alla sagacia e alla preparazione dell'allora giovane ricercatrice universitaria, oggi ordinario all'Università di Cagliari, la professoressa Maria Luisa Gentileschi, l'apparizione nel 1970, sulla rivista 'Studi meridionali', anno III.4.1970, del misurato quanto esaustivo saggio 'Formazione e sviluppo di Cirò Marina'. 
   Si tratta di un lavoro svolto con intelligenza e perizia, con puntuale citazione di fonti storiche e raccolta di dati dell'epoca: indagine, quindi, temporalmente diacronica e sincronica. Si coglie, come è giusto e inevitabile, l'approccio 'geografico' dell'autrice, visto che è soprattutto il dato geografico il campo di studi della professoressa Gentileschi, cosa, questa, che però non contrasta in nessun modo il raggiungimento di altre intuizioni di carattere apparentemente diverso, magari storico, economico o sociale, che la Gentileschi avrà modo di esporre nello svolgimento della sua indagine, indagine che è anche uno snello 'riassunto' della storia di Cirò e Cirò Marina, dove i riferimenti alla 'Descrizione' di G.F. Pugliese sono evidenti e ricorrenti, nonché puntualmente affermati.
   Oggi potremmo considerare scontate molte considerazioni presenti nel testo, oppure essere portati a sorvolare su taluni dati, ma non è assolutamente così: quello che oggi sappiamo della realtà di quei territori è dovuto in gran parte, o forse completamente, all'opera di 'disboscamento' e razionalizzazione delle conoscenze che nei secoli tanti e tanti studiosi sono andati, faticosamente, realizzando. Anche i dati che oggi possiamo attingere dal saggio in oggetto dovevano essere ricercati con impegno e fatica: si era nel 1970... oggi, 2014, invece, ci si può destreggiare in rete, con pochissima fatica, giovandoci di tanti dati - anche di quei dati contenuti in 'Formazione e sviluppo...' - e magari riutilizzarli per ulteriori ricerche e successivi contributi da realizzare. Forse è il caso di ringraziare chi molte volte ci spiana la strada verso la conoscenza e di non dare nulla per scontato: scorrendo le pagine del saggio si torna, in qualche modo, a quella misura umana di un borgo in crescita e in cerca di una identità, poi di un paese unito dal sogno di un progresso economico e sociale che mi sembra essere stato in gran parte annullato dagli eventi, benché queste ultime siano considerazioni mie, personali, sulle quali sorvolo: come dice una canzone calabrese 'a storia è rà e mu sa leja cu voli', 'la storia è là, e chi vuole se la legga', non c'è bisogno di convincere nessuno, tantomeno chi certe cose le sa, e sa o intuisce come siano andate...
   Ho conservato quella rivista che per me ragazzino - avevo undici anni - era qualcosa di prezioso, qualcosa che parlava di un paese che amavo, allegandole una grande importanza, poi l'ho digitalizzata, restaurata perché mancante della copertina, per ritrovarla, cosa per me inamissibile, sottolineata in più punti, e questa cosa che non faccio mai mi sorprende ancora, a distanza di più di quarant'anni... 
   La rivista non era mia, me la regalò, facendo finta di dimenticarla  a casa dei miei, una cara amica di famiglia, insieme a tanti 'Informatutto', quegli almanacchi di 'Selezione dal Reader's Digest' che puntualmente, ogni anno, divoravo, grazie alla benevolenza della signora Lia Capoano... in cambio le facevo 'i mmasciati' ccu Cataldino, ma questo era sottinteso, o meglio: nessuno doveva saperlo... 



sabato 29 novembre 2014

§ 133 291114 F. Ughelli: I vescovi di Strongoli, Umbriatico e S. Leone (da 'Italia Sacra'), 1721.

Negli scritti fin qui esposti sarà capitato di notare, soprattutto o esclusivamente parlando di materia ecclesiastica, ricorrenti riferimenti all'opera di Ferdinando Ughelli nota, per brevità, come 'Italia Sacra': si tratta di un'opera vastissima, in cui viene elencata una infinità di dati, in ordine alfabetico e cronologico, relativi a diocesi, vescovi e arcivescovi d'Italia dalle origini della chiesa cattolica fino alla data di pubblicazione dei vari tomi dell'opera, che, per quel che riguarda le diocesi di Calabria ('provincia vigesima'), è il 1721, tomo nono. L'opera è, manco a dirlo, in latino, ma ritengo che sia abbastanza accessibile, che si sia o meno a digiuno di conoscenze di quella lingua.
In questo scritto, i vescovi di Umbriatico, Strongoli e... San Leone, una località scomparsa, ma che l'Ughelli ci dice essere stata ubicata tra Crotone e Santa Severina... mistero! 
In chiusura la cronotassi dei vescovi delle sedi episcopali suddette.
 



mercoledì 26 novembre 2014

§ 132 261114 V. D'Avino, Le diocesi di Cariati, Cerenzia, Strongoli, Umbriatico, Parte II.


Una imprecazione, prevalentemente scherzosa, recita, a diverse italiche latitudini, più o meno così: 'malidìttu a tìa e aru vìscuvu 'e Vriàticu', cioè 'maledizione a te e al Vescovo di Umbriatico', dalle parti di Cirò, oppure - e qui non mi cimento nella trascrizione del dialetto piacentino- 'maledetto te e il Vescovo di Bobbio!'... Ritengo superfluo sottolineare l'importanza storica dei vescovi nella società e nella cultura degli italiani, indipendentemente dalle latitudini: nominare il vescovo era quasi un sacrilegio, soprattutto ai tempi in cui paesi come i due che ho citato erano effettivamente sedi vescovili... insomma, con lo scadere di quelle sedi, le relative imprecazioni sono nate come bonari sberleffi o lazzi, anche se, a dire il vero, la 'bestemmia' in fondo in fondo rimane. Come rimane anche il vescovo, anzi arcivescovo, di Umbriatico - attualmente Santo Rocco Gangemi - dal momento che Umbriatico risulta essere sede vescovile titolare, benché soppressa nel 1818 (era stata eretta a sede nel IX secolo). Dal 6 novembre 2013 S.E. Mons. Gangemi è Arcivescovo Titolare di Umbriatico e Nunzio Apostolico in Guinea (precedentemente, per la cronaca, era Nunzio Apostolico in Nuova Guinea e nelle Isole Salomone), quindi vediamo di non lanciare troppe male parole all'indirizzo del Vescovo di Umbriatico, ché potrebbe sentire!
Fin qui u fattareddu, ora torniamo ai 'Cenni storici...' di Vincenzio D'Avino:


                                              §.III. Dell'Ex Cattedrale di Umbriatico.
   Umbriatico (non già Briatico, come scrissero l'Alberti, e il Barrio) è una città in provincia di Calabria Ulteriore, che fa parte del distretto di Cotrone. Capo luogo di circondario, si innalza su di un monte, a 14 miglia dal mare, e viene abitata da 1500. nel secolo XVII, quando la sua po-

sabato 22 novembre 2014

§ 131 221114 Vito Teti: la scoperta del peperoncino e... di una forma dell'identità.

Le pagine che seguono sono tratte da ‘Storia del peperoncino, Un protagonista delle culture mediterranee’, di Vito Teti, Donzelli Editore, 2007. Vito Teti, calabrese di S. Nicola da Crissa, dirige il Centro di Antropologie e Letterature del Mediterraneo dell’Unical, a Cosenza.
Il titolo del volume non deve trarre in inganno: non si tratta di ricettario con annesse notiziole sull’arrivo in Europa del peperoncino e sua successiva affermazione, ma di un saggio, storico e scientifico, seppure dal taglio volutamente ‘colloquiale’, intimistico, ma che non viene meno, nonostante questa scelta dell’autore, alla sua funzione scientifica e divulgativa, tutt’altro: dall’impostazione di cui dicevo prima deriva una lettura accattivante, che coinvolge anche un lettore comune, come il sottoscritto, a digiuno di particolari conoscenze antropologiche, anzi, avvicinandolo a questa affascinante scienza umana. Segnalo, nel titolo, che si parla di culture mediterranee, e non di colture, anche se, nel corso dei secoli – e nelle incertezze che spesso hanno segnato il lessico italico – le parole ‘coltura’ e ‘cultura’ si sono spesso intrecciate e confuse.
Chiusa parentesi, e sfogliando il libro, ‘dirò dell’altre cose ch’i v’ho scorte’: ad esempio, queste pagine 9-10 del capitolo introduttivo ‘In forma di assaggio’ dove il Teti racconta un episodio occorsogli in gioventù… un episodio che, sotto forme e in contesti magari più o meno differenti, avrà coinvolto tanti, ma proprio tanti, calabresi, ma anche meridionali in genere, e, allargando l’orizzonte, italiani all'estero, o  comunque, insomma, i depositari di una identità ben definita agli occhi altrui, soprattutto quando questa identità è profondamente connotata dalle forme a volte irrinunciabili del pregiudizio.
Non fatevi illusioni: i calabresi nascono tali, e tali rimangono… è sempre come in quell’aneddoto della madre maltrattata ‘linguisticamente’ dal figlio che ritorna ‘dal soldato’ e comincia a ‘toscaneggiare’ davanti alla povera vecchia… ad un certo punto il giovane mette il piede sulla parte in ferro della zappa e, beccatosi una bella legnata in fronte, esclama ‘aja aru merùggiu!!!’ (con annessa bestemmia), e la povera donna, di rimando: ‘ah, t’è venuta a parola!’… Questo dico, tanto per rimanere nel ‘colloquiale’.
Ho marcato in neretto alcune affermazioni del professor Teti che mi sembrano particolarmente rilevanti.
Il fenomeno del quale si leggerà ('Spesso organizziamo le nostre azioni...') è noto, correggetemi se sbaglio, come ‘effetto Rosenthal’, molto affine al ‘complesso di Pigmalione’, e credo, almeno per la mia esperienza personale, che sia una caratteristica molto calabrese… mi spiace non aver fatto studi adeguati per poterlo spiegare ad altri, mi spiace molto, e allora mi rifugio nel mio silenzio da ‘cavallina storna’: capisco ma non so ridire, per cui mi limito a fare ‘a capizzijàta’.
Una conferma, drammatica, di questo effetto Rosenthal di cui vado parlando, me la diede, a suo tempo, mio padre, ormai colpito dal male che lo avrebbe costretto a letto fino alla sua scomparsa. Quel giorno, spinto dal dolore e dall'ira si lasciò andare a degli improperii, peraltro giustificabili per quello che stava vivendo, e, davanti alla mia richiesta di smettere quel comportamento, mi fissò, con occhi chiari come non mai, dicendomi, sussurrandomi, confidandomi, affermando (e mettendomi a tacere): 'siamo calabresi...' Non aggiungo altro, non mi sembra il caso, e solo chi non vuol capire, pur conoscendo i 'dati' dell'assunto, può non capire, almeno credo.
Ai miei 3-4 amici lettori, augurando loro buona lettura, vorrei dire di riflettere attentamente, specie sulle righe finali: sono parole, a mio modesto avviso, profonde ed esatte, altamente esplicative, di un antropologo culturale e di un profondo conoscitore della materia in quanto dal medesimo autore pienamente vissuta.
Cat.

                                                                               ***************************         
La prima volta che mi accorsi dì una mia diversità - o più sempli­cemente la inventai? - nel legame complesso che le persone intratten­gono con il peperoncino, avevo poco più di vent'anni. La scoperta av­venne fuori dal mio paese, dove consumare peperoncino era quasi per tutti un fatto naturale e quotidiano. Era il 1971, facevo il servizio di le­va a Roma, dopo essere stato a Cagliari, e una sera ci trovammo, in tanti, nella casa di un amico romano per fare una spaghettata all'aglio, olio e peperoncino. Quando misi in bocca la prima forchettata, trovai il pe­peroncino adoperato un po' dolciastro, scipito, e mi venne, come si usa dalle mie parti, di chiederne dell'altro e di più forte. Ricordo ancora lo sguardo smarrito dei miei amici che soffiavano, starnutivano, beveva­no vino a causa dell'eccessivo peperoncino che avevo fatto buttare nel­la padella, dove veniva girata la pasta. «Ne hai forza», mi disse qualcuno. «Si vede che sei calabrese». Continuai a mangiare, con ricercata di­sinvoltura, quella pasta molto piccante, che, confesso, mi provocava un po' di bruciore. Come dire? Senza saperlo, mi immedesimai nella parte del calabrese mangiatore di peperoncino. Non pensai allora all’accostamento peperoncino, forza, Calabria, ma quel giudizio (che ora mi rendo conto sfiorava, sia pure in maniera simpatica, il pregiu­dizio) mi fece sentire importante, mi riempì di orgoglio. Ero un ragazzo melanconico, appartato e insieme esuberante, e mi sentii improvvisamente osservato, al centro dell'attenzione per un merito che non apparteneva tanto a me, quanto al mio essere calabrese. Ero granatiere di Sardegna, studiavo filosofia a Roma, seguivo la lettura del Capitale di Marx che Lucio Colletti faceva all'università e anche qualche corso poco frequentato su Nietzsche e la nascita della tragedia, militavo a fianco dei gruppi della sinistra extraparlamentare, avevo una fidanzata in paese, sentivo la mancanza di casa, ma soprattutto, come tanti allora, desideravo tornare ardentemente in Calabria per cambiare le cose, per fare in modo che il mondo di padri emigrati, di braccianti, contadini, raccoglitrici di olive avesse finalmente ascolto. Era anche il periodo dei fatti di Reggio e dei legami 'ndrangheta, politica, servizi segreti, estrema destra, e sentivo che bisognava fare qualcosa per i nostri paesi che continuavano a spopolarsi. Tutti i giovani erano fuori, qualcuno partiva per sempre, altri sognavano un ritorno, che so­lo in pochi poi fecero.
Quella sera, il riferimento al peperoncino e alla Calabria fece scat­tare una qualche molla dentro di me. Cominciai a mantenere, socializ­zando sempre più, le mie promesse e caratteristiche di calabrese. In fondo mi comportavo come gli emigrati e quelli che avevano fatto la guerra: mangiare peperoncino era una sorta di legame con il mondo d'origine. Il mio interesse per il peperoncino aumentava, e non solo a livello alimentare. Quando tornavo in paese, d'estate, in occasione del­le feste, ormai in fatto di piccante me la cavavo bene anche rispetto ai più terribili e accaniti mangiatori dì peperoncino, amici braccianti e mastri muratori, ma anche studenti.

Spesso organizziamo le nostre azioni per compiacere o per dispia­cere gli altri. A volte ci comportiamo come gli altri vogliono, per non dispiacerli o per confermare una loro immagine. Altre volte costruia­mo un'immagine di noi corrispondente alle aspettative altrui, e altre volte ancora ci comportiamo in modi nemmeno da noi condivisi sol­tanto per contrastare le immagini negative che gli altri sì sono fatte di noi. Gli studiosi di psicologia infantile, quelli che indagano il legame madre-bambino, hanno chiarito bene quanto il bambino abbia bisogno del sorriso materno e come si adoperi per suscitarlo. Quella che chia­miamo identità è spesso il frutto di un bisogno di affetto, di riconosci­mento, molte volte è esito di un gioco di sguardi incrociati, di malinte­si, di chiusure e di aperture nostre e degli altri. Quando tutto questo ri­guarda non tanto l'individuo, ma un gruppo o una popolazione, si ca­pisce come spesso l'identità culturale sia un'invenzione, che subisce i condizionamenti dello sguardo esterno, e che i pregiudizi alimentano risposte di tipo pregiudiziale. Il problema di tutti è quello di uscire in tempo dalle dinamiche di tipo madre-bambino, e di non comportarsi come se fossimo assediati dagli altri o attendendo il loro riconosci­mento, o temendo la loro disapprovazione. L'identità non può che es­sere una storia di dialogo, di rapporto, di messa in discussione di sé.

lunedì 17 novembre 2014

§ 130 171114 B. Soria: la riforma gregoriana del calendario, Lilio, Girolamo Tagliavia 'calabrum'.

                                                           Modifiche agli scritti: 
1. aggiornato lo scritto n° 137 http://originicirotane.blogspot.it/2014/11/giano-lacinio-nella-istoria- degli.html (aggiunta voce 'Tafuri' da F.A. Soria);
2. aggiornato lo scritto n° 138 http://originicirotane.blogspot.it/2014/11/ciro-in-gabrielis-barrii-de-antiquitate.html (Cirò nell'opera di Barrio: aggiunte le voci 'Barrio' e 'Aceti' da F.A. Soria).
3 aggiunta 'nota' di Rutilio Benincasa allo scritto n° 140.

                                                           *************** § 140 ****************
 Alquanto attendibile, e comunque rispondente allo stato delle conoscenze del tempo, è il 'riassunto' della riforma del calendario che possiamo leggere nel volume 'La cosmografia istorica astronomica e fisica di Biagio Soria, Tomo III, parte storica della cosmografia dei mezzi tempi e della moderna', Napoli 1822... ovviamente l'autore è Biagio Soria, da non confondere con l'altro autore 'sfruttato' in precedenza, Francescantonio Soria. Nel seguente §.34. dell'opera del Soria noterete una delle dimenticate denominazioni di Cirò, che qualche volta già in precedenza ho fatto notare.
Premetto una nota di Rutilio Benincasa, tratta dal suo 'Almanacco perpetuo' del 1593, nell'edizione annotata da Ottavio Beltrano, nella quale il sulfureo Rutilio spiega, a modo suo, il problema dei 'dieci giorni' eliminati dall'ottobre 1582.

Fin qui Rutilio Benincasa e Ottavio Beltrano.

Fin qui il paragrafo dedicato alla riforma gregoriana del calendario... Nello stesso volume, poco oltre, si parla di un 'calabrum' ispiratore di Niccolò Copernico, tale Girolamo (o Geronimo, fa lo stesso) Tagliavia:


                                                     Fin qui Biagio Soria.

                                           ************************

                             (C. Cantù, Gli eretici d'Italia).
                         (D. Andreotti, Storia dei cosentini, 1869).

 

 (F. Colangelo, Storia dei filosofi e dei matematici napolitani, e delle loro dottrine, 1824).

                                                           *******************
Insomma, andando a scavare di qua e di là, tra i libri dimenticati e le memorie che comunque essi trattengono e tramandano, si può vedere come, quanti e chi siano gli sconosciuti dei quali a malapena si conosce forse solo il nome, magari perché legato, nel migliore dei casi, ad un teorema, ad un fenomeno scientifico, ad una invenzione, e che invece hanno comunque profondamente inciso nella storia e nella cultura degli uomini con il loro impegno quotidiano, con le loro osservazioni spesso improbabili secondo il sentire delle epoche in cui vissero, e che grazie al loro studio ostinato hanno fatto qualcosa di buono, a volte di grande, per questo mondo troppo spesso poco riconoscente... tra di loro ci sono stati, e ci sono, tanti cervelli di questa nostra (se posso ancora dirlo) terra di Calabria.

§ 129 171114 Ryanair, oh cara!

Ryanair, oh cara!
Teniamocela cara, Ryanair, e ringraziamola per aver puntato anche sulle rotte per Crotone. Teniamocela cara e ringraziamola, al di là di qualche critica tanto capziosa quanto facile.
Prima di scrivere le righe che seguono mi sono sentito in dovere di verificare quale fosse la situazione reale, rifuggendo, per principio, dal ‘sentito dire’ che già troppi danni ha recato alla crescita intellettuale – e intellettiva, ahimè – di tanta parte della popolazione calabrese.
Ho verificato quanto vado a dire viaggiando con Ryanair di lunedi e venerdi feriali di un mese abbastanza ‘tranquillo’ come può essere ottobre, lontano da festività e fine settimana in cui gli spostamenti delle persone sono più consistenti.
Ho provato rammarico – non voglio scomodare la parola ‘rabbia’- e soddisfazione.
Rammarico per il millenario isolamento della Calabria e del Crotonese in particolare, e per il ritardo forse incolmabile col quale a quell’isolamento si potrà e dovrà porre rimedio. Soddisfazione perché ci voleva poco, ad istituire dei voli low cost che ci avvicinassero al resto d’Italia e del mondo, come avviene in tutti i paesi in cui sussistono difficoltà nei collegamenti, come la Grecia con le tante isole, o la Mongolia o la Groenlandia con i loro sterminati vuoti.
Rammarico per alcune note stonate che colgo fuori dal volo in sé, e mi riferisco, ad esempio, alle fanfaronate che riguardano la realizzazione di una metropolitana leggera che colleghi la Sibaritide con l’aeroporto S. Anna: prese in giro, né più né meno, che ormai non dovrebbero trovare nessuno disposto a stare a sentirle. Del resto, se l’aeroporto non è nemmeno collegato alla stazione FS e quindi coi pochi treni ancora previsti dall’orario, di cosa si va cianciando nei vari convegni che ogni tanto si tengono, forse giusto per ammazzare il tempo?
Altra nota inammissibile riguarda la mancanza di un collegamento diretto tra il S. Anna e la parte nord della provincia di Crotone: esiste un collegamento, come si può constatare sul sito della Romano SpA, assicurato però dalla IAS Scura, che collega l’aeroporto con Sibari: prima fermata Cariati! Complimenti vivissimi alla Provincia di Crotone, alla Regione Calabria e anche agli altri amministratori locali ‘interessati’. E complimenti, però, anche alla Provincia di Cosenza che, evidentemente, mostra maggiore sensibilità verso i suoi abitanti.
Noto, inoltre, che, almeno fino alla prima metà di ottobre 2014, la navetta da Crotone arriva alla fermata dell’aeroporto cinque minuti prima della chiusura della porta per l’imbarco: mi scuso per la probabile inesattezza di questo termine, ma credo si capisca bene che bastano due semafori rossi o un piccolo inconveniente e si mette a rischio la partenza.
Soddisfazione, invece, perché i voli, sia d’andata, sia di ritorno, erano quasi al completo, o perlomeno con presenze di passeggeri non inferiori, in entrambi i casi, alle cento unità. Si tenga presente che l’aeroporto di Salerno è arrivato agli onori delle cronache per aver ospitato un volo con un solo passeggero… questo per dire dell’importanza del ruolo svolto dalla politica, dal momento che non è, quello salernitano, il solo caso di aeroporti che sopravvivono solo finché politici potenti si battono per tenerli in funzione.
Soddisfazione perché l’aeroporto Pitagora è pulito ed efficiente, con personale che desta una buonissima impressione.
Soddisfazione nel sentire una ragazza che dice di aver deciso di fare una sorpresa ai propri genitori, ignari del suo arrivo… proprio come fanno le persone normali che non sanno nemmeno cosa sia vivere lontano da casa, o che di questa condizione hanno una conoscenza alquanto relativa e troppo spesso distorta.
Ma poi il rammarico cede alla rabbia: il ritardo millenario della Calabria, un ritardo che tanto ha giovato a tantissimi, tranne che ai calabresi onesti, sarà spezzato dall’arrivo di questo vettore irlandese? Questo non possiamo ancora dirlo né saperlo… lo abbiamo già constatato nel campo dell’istruzione universitaria: Pitagora, Filolao, Alcmeone, tutti bellissimi nomi, ma l’università è apparsa in Calabri negli anni settanta del XX secolo, e dopo lotte interminabili, anche intestine, tra le varie province, per accaparrarsi una sede qui e là. Forse questo è stato il ritardo peggiore che una politica ottusa ci ha rifilato, una condanna ad una condizione periferica, ad una esistenza grama, di questuanti e di emigranti, in un isolamento che forse, solo ora, comincia a concedere qualche spiraglio. E ciò avviene non tanto per intervento della politica, ma perché il corso delle cose sopravanza quanti ad esso si oppongono per fini meramente personali o della parte di cui rappresentano gli interessi.
Speriamo bene, e intanto teniamoci cara Ryanair, che non ruberà posti di lavoro né introiti a nessun altro vettore concorrente: si tratta di serbatoi diversi di utenza, motivo per cui si avranno aerei e pullman al completo o quasi, e anche treni a lunga percorrenza, se ve ne fossero, potendo finalmente scegliere come muoversi, come fanno le persone nel mondo normale.
Dobbiamo ringraziare la politica per questa ‘concessione’? I politici si ringraziano, eventualmente, per le conquiste, non per le concessioni, queste ultime non essendo loro appannaggio.
E comunque per il S. Anna di prospettive ne esistono, anche di ulteriori sviluppi: prima o poi anche le migliaia di rumeni e ucraini che vivono in Calabria vorranno spezzare il loro isolamento chiedendo voli per le loro terre d’origine… e alla fine bisognerà ringraziarli, come è giusto che sia, se avremo lavoro per un aeroporto internazionale.
Il guaio, o il punto, è che se usciamo dall’isolamento che per millenni abbiamo sopportato… poi come la mettiamo? A chi chiedere il conto di quanto ci è stato negato?
Non lo so, intanto speriamo.


giovedì 13 novembre 2014

§ 128 131114 Cirò in Gabrielis Barrii 'De antiquitate, et situ Calabriae'.


Frontespizio di una edizione romana del 1737 dell'opera di Gabriele Barrio da Francica, in cinque libri (il volume è uno solo, a scanso di equivoci), con le osservazioni di Sertorio Quattromani e le annotazioni (o forse meglio le 'confutazioni') di Tommaso Aceti... notare il riferimento ai Bruttii torturatori di Cristo (sic!). L'opera del Barrio, pur infarcita di errori e lacune, rimane fondamentale per lo studio della Calabria, stanti, anche o soprattutto, le difficoltà per il frate di Francica di indagare la storia e la geografia di una regione così isolata culturalmente e geograficamente, al punto che sovente si incappa in descrizioni che possono essere, al più, verosimili e quindi assolutamente da non tenere in considerazione. Occorre rimarcare, però, come tanti sedicenti 'storici' si rifacciano all'opera del Barrio, citandolo tanto ripetutamente quanto inutilmente.
Quello che allego è il capitolo XXIII, citato in chiusura dello scritto su Giano Lacinio che qui, a dire il vero, è diventato Janus Lucinius...
Forse non è nemmeno il caso di sottolineare, per quanti abbiano presente l'opera di Giovan Francesco Pugliese, la presenza, nelle note dell'Aceti, di quelle fonti, più letterarie che geografiche o storiche, che lo storiografo cirotano riporta nella 'Descrizione', che poi sono i classici Strabone, Stefano di Bisanzio, Licofrone e altri.
 

   A questo punto corre l'obbligo di dire di chi stiamo parlando, almeno per grandi linee. Vediamo cosa ne dice il già citato Francescantonio Soria nelle sue 'Memorie'; dalla nota bio-bibliografica relativa al Barrio si può evincere quanto difficile possa essere immergersi nella storia di quell'epoca, nella ricerca di dati e riferimenti precisi, e di quanta accortezza occorra per non cadere in errori od equivoci: la confusione, spesso, regna sovrana, e a distanza di secoli, con buona pace dei moderni mezzi di indagine, risulta spesso impossibile, quando non ozioso, riuscire a dipanare matasse che hanno perso capo e coda, e allora forse la cosa migliore è astenersi da diagnosi definitive e rassegnarsi ad accettare con beneficio d'inventario, o con animo benevolente, tante notizie che di storico hanno veramente poco, mai dimenticando, comunque e sempre, quanto doveva essere difficile, per un Barrio, dedicarsi totalmente, così come sembra, allo studio della sua regione, percorrendola per anni in cerca di 'inscrizioni' o di altre fonti. Rimane, pur con tutti gli errori, quasi sempre commessi per troppa passione per la sua terra, 'lo Strabone dei calabresi', e lo rimane, a mio modestissimo parere, a pienissimo diritto.