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mercoledì 9 maggio 2018

§ 310 090518 Cirò, Cirò Marina.... e Santu Catàvuru, in G. Ferrari, Identità della memoria.

Domani è San Cataldo, festa grande per Cirò, Cirò Marina... e altri. Mi piace ricordare questa ricorrenza con le parole sagge, profonde, e umanissime, del compianto maestro Peppino Ferrari, con le quali egli descriveva la festa e le lotte fra le due comunità per il possesso, o la custodia, forse meglio, della statua del Santo. Molte volte mio padre mi raccontò delle botte da orbi tra cirotani e marinoti nel contendersi la preziosa e adoratissima statua... E oggi annoto quasi con piacere che almeno a quei tempi si lottava, si litigava, si arrivava alle mani (e poi ci si ravvedeva e pentiva) per qualcosa di sacro, sebbene questo sacro, a causa di quelle 'palàti', venisse a stridere pesantemente nel contatto con il profano... Erano altri tempi, altri uomini, altre istanze morali e pratiche, e va bene, andava bene così, cioè a quel modo: probabilmente oggi una scazzottata per un simulacro sarebbe impensabile... e vorrà dire che può esserci del buono anche in una sciarrijàta, sempre che a qualcuno non passi per la testa una inopportuna 'replica': al di là dei 'particolari tecnici', amministrativi, le due comunità, a mio modestissimo parere, devono andare avanti così, con tutti i punti di contatto, e di forza, che le uniscono... come San Cataldo, appunto.
Non vi annoio oltre, e vi lascio alla lettura di uno stralcio tratto da Giuseppe Ferrari, L'identità della memoria, Calabria Letteraria Editrice, Soveria Mannelli, 2002.










martedì 1 maggio 2018

§ 309 010518 Benvenuti a Cirò, come la prima di maggio.

                                  Benvenuti a Cirò, come la prima di maggio.
   
    Domani è il primo maggio, e solo a mia madre ricordo di aver sentito dire: ‘bonuvenùtu com a prima ‘e màju!’... una frase che è un pezzo di storia.
    E’ un pezzo di storia perché questa notte della vigilia del primo di maggio a Cirò sarebbe stata festa grande (fino a un paio di secoli fa), si sarebbero sparati i mortaretti, o meglio il mortaretto, e domani, primo maggio, avrebbe avuto inizio lo ‘sbarro’, cioè la libertà di usufruire, almeno in parte, dei pascoli del feudatario, oltre a poter ‘legnare’ e spigolare... e tanta era la gioia per l’evento, che si diceva appunto ‘bonuvenutu com a prima ‘e maju’, incontrando una persona amica. E poi questa notte ci sarebbe stata quella enorme festa di cui dicevo prima, abbastanza simile, per certi versi, a quella di carnevale, quando i frazzantuli (o frazzantulari) andavano in giro per le case, in entrambe le occasioni cercando con moine e scenette varie di convincere il massaro, o il padrone di casa, a fare qualche regalia, costituita da dolciumi o altro da mangiare... e molti ricorderanno gli sguardi tra il lascivo  e il furtivo che i frazzantulari rivolgevano ari sozizzi e salati mpicati ara nţravata, mentre il padrone di casa si poneva a protezione dei suoi preziosi insaccati...

    Un’altra tradizione, o usanza, che, come ho potuto constatare dai post apparsi su ‘Note di dialetto cirotano’, esercita ancora una discreta presa sui cirotani ‘di terra e di mare’ consiste nell’offerta e nello scambio di fichi mpurnàti, che siano crucètti oppure no, il cui consumo è finalizzato a proteggere e prevenire dai morsi dei serpenti... se poi, come qualcuno suggerisce, si tratterà solo di un espediente per consumare i fichi della passata stagione per far posto a quelli della nuova produzione, questo non saprei dirlo... ma come scusa non mi sembra nemmeno tanto malvagia, tutt’altro: una scusa dolcissima!

   Prima di lasciarvi, se vorrete, alla lettura del pezzo in cui G. F. Pugliese, nella sua DEIN (acronimo che i quattro-cinque benevolenti amici che leggono si frašcàtuli d’i mèj sanno cosa significa), mi domando se non sia il caso di riconsiderare, da parte di qualche istituzione, la possibilità di ridare vita a quella ‘festa da sbarro’ che animava Cirò nella notte della vigilia del Primo Maggio... se ne riscoprono - e a volte se ne inventano di sana pianta- così tante di feste e tradizioni in giro per lo Stivale... almeno questa una sua verità storicamente accertata la possiede e come!
  
    Dico ancora, sempre per quei quattro-cinque delinquenti che mi hanno voluto così bene da spronarmi a metter mano ‘definitivamente’ all’opera completa del Pugliese che ormai siamo alle rifiniture... sarà un altro fiasco, e lo berremo insieme, magari la prossima vigilia del Primo Maggio, a Cirò, durante la Festa dello Sbarro!

    Dice il Pugliese, Descrizione ed istorica narrazione, ecc. Napoli, Stamperia del Fibreno, 1849:

    Nella mezza notte precedente al primo maggio fin che durò la feudalità si costumava di salutarsi l’ingresso del mese con un tiro di grosso mortaretto in mezzo la piazza. Si andava quindi cantando a suono di varii strumenti, e si piantava il maggio, consistente in lunghi rami di alloro, e di sambuco fiorito innanzi a più case, dopo che si era cantata un’intiera canzona in ciascun sito e dispensata, o sia diretta alla prosperità del padrone di casa. Il mastro-Giurato diriggeva questa festa notturna che durava fino all’alba. Ciascun padrone di casa apriva e dispensava complimenti non solo di spiriti, e mostacciuoli, ma di qualche frutto da dispensa. La serenata fruttava una provistella al mastrogiurato per la propria dispensa. Comunque questa festa sia antichissima in più popoli, e gli albanesi nostri vicini continuassero a farla in onore delle fidanzate, e per le quali s’impianta e si canta il maggio; pure per Cirò io trovo la ragione nella circostanza che trovandosi allora occupato l’uso di pascolo di tutte le vaste tenute Demaniali dell’università dal Barone, la consuetudine e le varie convenzioni portavano che al primo maggio seguisse lo sbarro di tali pascoli a comune uso di tutti i cittadini. Ecco che ciò portava lo sbarro o scoppio del mortaretto, e la festa; ed era tanto grato per tal libertà di pascoli l’ingresso del mese di maggio, che per esprimersi il gradimento dell’arrivo di un amico, o di un forastiere non poteva né sapeva dirsi meglio del «ben venuto come la prima di maggio». Potrebbe mai dispensarsi la legislazione di meditare, ed aver riguardo a queste usanze nel prescrivere i regolamenti per la buona economia rurale in armonia co’ bisogni relativi di ciascuna contrada?