Siamo agli inizi del 'Decennio Francese' (1806-1815), e gli effetti dell'occupazione dei 'napoleonidi' cominciano ad essere più tangibili, a partire da quella grandissima occasione mancata che fu la legge eversiva della feudalità del 2 agosto 1806; il cambio di sovranità comportò ovvie modifiche dovute al diverso sistema amministrativo preferito e imposto dai nuovi governanti. I francesi non andarono, sembra di poter dire, tanto per il sottile nell'esigere i tributi dai loro nuovi sudditi... Infatti, l'oscuro cronista, in questo passo dove parla - cosa che fa raramente - anche di se stesso, ci dice che:
''Intanto nel 1807
e 1808 si preparava nel bujo, e nel modo il più tenebroso, ed oppressivo la
contribuzione fondiaria. Venne in Cirò il controloro per grassarci, non per
tassarci. Messa in mani venali di giovinotti datisi al governo Francese per far
fortuna, l'esecuzione di una legge enigmatica ne derivò la più grande sciagura
che immaginar si possa. Il Governo Francese per conciliarsi l'affetto de'
Popoli proclamò una contribuzione mite ed unica gravitante su' fondi, e
liberando per sempre le persone e le industrie da' pubblici pesi. Io non dico
che doveva attener la parola minorando le antiche imposizioni, ma almeno far
sussistere le antiche imponendole sui beni.''
Sì, Pugliese distingue tra fondi e beni... è proprio vero che la storia si ripete!
''Quale si
fu lo sbigottimento de' Cirotani ognuno si figuri; quintuplicato il dazio, in
un anno di scarsezza generale se ne rendeva impossibile il pagamento. La legge
di questa nuova istituzione non si capiva, quindi i clamori, le suppliche al
Governo ed all'Intendente venivan restituite colla provvista: «Di uniformarsi
il ricorrente alle formalità prescritte nel decreto de' 16 febbraio 1808». E
queste formalità non si sapevano mettere in pratica.''
Dopo due anni, le cose peggiorarono, fino a precipitare:
''Nel 1810 la scena fu delle più serie. In
maggio, vale a dire dopo che era già maturo un terzo della contribuzione nuova,
e la vecchia era appena esatta per metà venne spedito da Rossano il commissario
D. Antonio Scalerce con diversi soldati, e ci recò il ruolo nuovo. Arrivò in
giorno di Domenica, e si diresse al Castello; divulgata la voce del nuovo
ruolo, ciascuno cercò di vedere la propria partita, e la trovò un quinto
dippiù, poiché il totale ascendeva a duc. 12069:75. La collera e l'indignazione
scosse tutti gli animi, ed una fu la voce. «Si rifiuti il ruolo: non può
accettarsi una sentenza così barbara che si pronunzia contro una pacifica popolazione
da uno scellerato finanziere». Dalle voci si passò a' fatti, ed una ragionata
rimostranza di moltissimi proprietarj avvalorata da una formale deliberazione
del decurionato rifiutò il ruolo. Il commissario Scalerce ne riferì al
ricevitore distrettuale di Rossano D. Paolo Labonia: il sindaco portò a nome
del pubblico le lagnanze al sotto-Intendente Vanni. Costui ne riferì
all'Intendente di Cosenza, dal quale fu preso questo atto per un movimento
rivoluzionario, per cui si dispose che una forza imponente si recasse sul
luogo. I paesi limitrofi anzi la
Provincia intera bolliva, ma tutti tenevan rivolti gli occhi
a Cirò, e aspettavano l'esito. Venne il sotto-Intendente D. Domenico Vanni con
circa 300 uomini di linea, coi quali ingombrò la piazza. Altiero gridò al
sindaco che chiedeva un alloggio: si presentò D. Giuseppe Sabatini giudice di
pace invitandolo a recarsi in casa sua, ma egli rispose che non era venuto
l'amico, ma il sotto-Intendente. Vanni aveva il fondo del cuore ben fatto, ma
un esteriore aspro, ed altiero. Fu fatto il biglietto in casa di Sabatini, e fu
situata la truppa al magazzino del Monte Pio: gli ufficiali si alloggiarono in
case particolari. Fu invitato il Sindaco, Decurionato, Galantuomini, ed
Ecclesiastici a presentarsi al sotto-Intendente il quale ostentava un contegno
grave; ma niuno si sbigottiva perché l'oppressione era al colmo, e gli spiriti
erano in una posizione affine alla disperazione. Il sotto-Intendente stava
chiuso all'ultima stanza, e non si mostrava, fui chiamato io; entrai, e fui interrogato
presso a poco come siegue: siete voi Francesco Pugliese? Sissignore. Avete voi
scritto questo foglio? Sissignore. Vi è stato dettato da alcuno, o lo avete voi
composto? Io l'ho composto, ma mi fu dettato dalla bocca di quanti lo
sottoscrissero con me e che si trovavano in piazza. Raccontai tutto il vero fil filo, dissi che io era stato il
primo ad esclamare, poiché la mia partita nell'anno scorso era duc. 150, ed ora
si era elevata a duc. 183. Che una fu la voce: non si accetti il ruolo, ed uno
fu il sentimento: si reclami. Chiamò altri dopo di me nell'ordine che eran
firmati, e fummo dichiarati in arresto, e consegnati al capitano francese.
Io,
D. Benedetto Siciliani, D. Michele Zito, D. Tommaso Capoani, D. Francesco
Scala, D. Nicodemo Giglio, D. Giuseppe Franza , D. Giacomo Chiaromonte, D.
Nicodemo Nicastri, D. Antonio Papajanni, e D. Saverio Vitetti. D. Giuseppe
Sabatini, e D. Pietro Arciprete Nicastri dissero a Vanni che temperasse
l'aspetto burbero, e procedesse con prudenza e dolcezza, poiché la popolazione
era irritata, concorsa tutta in piazza, e poteva avvenire qualche più serio
disturbo, di che i galantuomini, e proprietarj non intendevano portar carico.
Allora Vanni disse di uscir tutti in frotta senza truppa, e recarci al Castello
unitamente ai soli uffiziali. Il pubblico attonito ci mirava e seguiva, talché
entrando nel castello, il popolo ci si affollava dietro, e riempiva il vaglio
dello stesso. Fummo ivi lasciati in custodia al Capitano il quale disse a Vanni
che ci trattava da galantuomini, ed uomini d'onore, e che perciò ci lasciava
liberi pel castello, permettendosi solo di metter la guardia alla porta del
ponte. Così fu fatto, e restammo in arresto. Il sotto-Intendente partì il
giorno appresso recandosi a Strongoli per conoscere i sentimenti di quella
popolazione, dapoiché l'oppressione era generale e quindi generale
l'indignazione. In questa occasione si mostrò l'affetto del popolo. Ci fu chi
offrì danaro, e chi esclamò «Siamo veramenti cornuti si lassamu carcerati i
galantuomini», percui più di uno del popolo medesimo consigliava un aperta
rottura massacrandosi la truppa ed il sotto-Intendente; ma queste idee non
potendo restare occulte e perché si divulgavano senza riserba, e perché molti
si riscaldavano per mostrare a' galantuomini un tributo di affetto, ogni
macchinazione fu dissipata per volontà de' galantuomini medesimi, che
dichiararono nulla doversi fare di violento. Dopo pochi giorni ritornava il
sotto-Intendente da Strongoli, ed era Domenica. La popolazione se ne avvide
dalle mura, e donne, ragazzi, ed uomini gli uscirono all'incontro fino all'erta della pigna gridando: «Vogliamo
liberati i galantuomini. Vogliamo disgravio alla fondiaria». Camin facendo la
calca si faceva maggiore unendosi alla gente che si voltava quella che
sopraggiungeva, talché il sotto-Intendente, anche perché era dopo pranzo, e
qualche ubbriaco vi era che eruttava bestemmie, ed esecrazioni, s'intimorì, ed avrebbe
voluto forse ritornarsene; ma l'uffìziale francese lo incoraggì, e giunsero fra
una intera popolazione alla quale gridava: «non dubitate, non dubitate». Giunto
si credè insultato per parte de' galantuomini stessi, e mostrava qualche
rabbia; ma ricondotto dolcemente alla ragione dal sig. Sabatini si calmò, e si
accordò collo stesso Sabatini nel formare un processetto scusante. Non fu
possibile di ottenere che gli arrestati restassero in Cirò, ma si ottenne che
in vece mia andasse mio padre, in vece di D. Francesco Scala che si finse con
febbre andasse suo fratello D. Simone, che restasse Nicastri, e Siciliani, e
ciò sotto garenzia de' fratelli Terranova che in questa facenda erano i soli
indifferenti, e che non prendevano parte alle comuni agitazioni. Partirono
dunque da qui in istato di arresto D. Michele Zito, mio padre, Capoano,
Chiaromonti, Giglio, Papajanni, e D. Giuseppe Franza, ed invece di fare una
giornata fino a Rossano li portò quasi in ispettacolo di terrore la prima sera
in Cariati, la seconda in Calopezzati, e la terza in Rossano, ove li rilasciò
sotto consegna per abitare in case di parenti e di amici.
Arrivò
in quel tempo in Rossano il principe di Campana, nella qualità di colonnello
Comandante il Distretto. Compianse il caso, e tanto si adoprò con rapporti al
Ministero, e colla sua influenza presso il sotto-Intendente da farne ottenere
la libertà. Non ebbe ritegno il detto Principe di dire e di scrivere che in
vece di punirsi di ribellione onesti cittadini oppressi da tanto peso, dovevano
piuttosto lapidarsi gli agenti delle contribuzioni dirette causa di tanti mali.
Ed in fatti si appiccò contro di quelli un processo criminale, e quel Controloro
venne destituito. Il Governo avea compreso il male, ed aveva ordinato per punto
generale di doversi rettificare le matrici, e formarsi un Catasto provvisorio.
Il primo delle comuni della provincia fu Cirò, perché aveva fatto tanto rumore,
quindi il sotto-Intendente Vanni partiva co' galantuomini arrestati, ed il
Controloro novello arrivava (maggio 1810).''
Mi pare che ancora una volta l'oscuro cronista offra parecchi spunti di riflessione, pure a due secoli di distanza dai fatti narrati; anche sui comportamenti 'istituzionali' sottolineerei quel 'processetto scusante' che credo la dica lunga su come si possano addomesticare leggi e processi... ma almeno ne viene fuori una visione accettabile della prassi: per una volta l'intervento di un potente rimette a posto i piatti della bilancia, rinviando alla sbarra i profittatori al soldo dei francesi e scagionando - pur dietro una parvenza di rispetto della legalità con quel paternalistico 'processetto scusante' - i rivoltosi, o meglio recalcitranti, cirotani. Le cose, per la cronaca, migliorarono col cambio del 'controloro'.
Come si può chiaramente evincere dalle parole del Pugliese, a quel tempo Cirò ricadeva nella Calabria Citra, ovvero l'odierna provincia di Cosenza, comprendente anche la parte della provincia di Crotone a nord del Neto; le province a quel tempo erano denominate 'Intendenze' e quindi il sotto-Intendente era il governatore di un Distretto (sotto-Intendenza), quello di Rossano nel nostro caso.
Complimenti ,allo studioso ,che ci fa conoscere i veri C I R O T A N I ! Che perla, quella specie di processetto ! Ninetto Russo Varese Ciro' Marina
RispondiEliminaGrazie per i complimenti... studioso lo prendo nel senso di uno che si applica su un argomento che gli piace, come uno scolaro diligente che fa i compiti, insomma... i miei 'studi' sono come le ricerche che facevo quando andavo a scuola, nulla di più... se poi interessano a qualcuno mi fa solo piacere. Ciao.
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