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mercoledì 4 giugno 2014

§ 089 040614 P. Giannone, Emendazione del Calendario Romano.


 La correzione, 'emendazione', del Calendario, nelle parole di Pietro Giannone (1676-1748), autore dell'opera 'Dell'istoria civile del Regno di Napoli' (1723), alla cui stesura egli si dedicò per circa vent'anni. Nulla di nuovo, probabilmente, ma altre conferme, non tanto scientifiche (anzi: assolutamente nessuna), ma una sorta di 'consolidamento', o ulteriore attestazione, della 'letteratura' formatasi intorno alla vicenda della riforma gregoriana - o liliana - del calendario. Ritroviamo, tra le amenità, l'aneddoto relativo al sangue di San Gaudioso, che un po' di anni più tardi riporterà anche il Botta nella sua 'Storia...' 
A sottolineare lo straordinario interesse (forse non solo scientifico) suscitato dalla necessità di realizzare la riforma, in questo testo del Giannone troviamo addirittura un presunto omicidio...
Il testo proposto è stato ripreso dalla 'Biblioteca Enciclopedica Italiana', di Achille Mauri, di cui costituisce il libro XXVIII.

                                               Cap.III. § II. Emendazione del Calendario Romano.
   Merita, che fra le cose memorande accadute nel governo del Principe di Pietrapersia non si tralasci questa emendazione, che rese l'anno 1582 per tutti i secoli memorabile; tanto più che non meno negli altri Regni della Cristianità, che nel nostro, prima di riceversi, fu nella appo noi ben esaminata e discussa. L'anno antico de' Romani, non già di dieci mesi, come vollero Giunio Gracco, Fulvio Varrone, Ovidio e Svetonio, ma di dodici si componeva, siccome per sentenza di Licinio Macro, e di L. Fenestella scrisse Censorino, de' quali il primo era il mese di marzo e l'ultimo quello di febbrajo.
   I mesi di marzo, maggio, luglio ed ottobre erano ciascuno di 31 giorni: gli altri erano di 29 eccetto febbrajo, il qual solamente si componeva di 28 giorni, di maniera che l'antico anno de' Romani era di giorni 355, e mancava dall'anno degli Egizj di dieci giorni, onde fu bisogno dell'intercalare, la qual'intercalazione si faceva in ciascun biennio nella maniera, che viene rapportata dal Presidente Tuano. Ma riuscendo questa intercalazione viziosa, si diede ansa ai Sacerdoti, li quali si presero questa briga d'emendar i tempi, di regolare a lor modo il corso dell'anno, mettendovi per supplire il mese intercalare, ch'essi chiamavano Mercedonio, di cui ne facevano autore Numa Pompilio. Ma siccome fece veder Plutarco nella di lui vita, questo aiuto era assai debole per emendar quegli errori e confusioni, che ne nascevano ne' mesi dell'anno: onde i sacrificj e le ferie trascorrendo a poco a poco cadevano, come dice Plutarco nella vita di Cesare, nelle parti contrarie dell'anno: li Sacerdoti per ciò (essendosi quest'affare ridotto al lor arbitrio) come a lor piaceva, e sovente per odio de' Magistrati, ora tardi, ora presto intercalavano. Pertanto Giulio Cesare s'accinse a far egli una più esatta Emendazione dell'anno; ed avendo mentr'era in Alessandria preso il parere da que' valenti Matematici e consultato l'affare con altri Filosofi, con più emendata diligenza notando i Segni celesti, promulgò per mezzo d'un suo editto una nuova Emendazione, e mostrò la propria via, la quale attesta Plutarco, che insino a dì suoi usavano i Romani.
   (La Scuola d'Alessandria fiorì sempre di valenti Astronomi, tal che i Vescovi di Roma per non fallire il dì della celebrazione della Pasqua, secondo il prescritto del Concilio Niceno, solevano ogni anno consultarsi col Vescovo d'Alessandria per sapere il giusto equinozio di Primavera prossimo al plenilunio di che fra gli altri è da vedersi Francesco Balduino.
   Bacon di Verulamio non tralasciò di commendare la suddetta sua Emendazione, chiamandola un perpetuo documento, non meno del suo sapere, che della sua potenza, e che debbia attribuirsi alla sua gloria d'aver conosciuto non meno in Cielo le leggi delle Stelle, che d'averle date in terra agli uomini per governarli. Ma non mancaron degl'invidiosi, che, come dice Plutarco, non biasimassero tal'emendazione; e Cicerone, essendogli da taluno stato detto, che la Libbra nasceva 1'altro giorno, gli rispose, sì secondo il Bando; quasi che questo ancora si dovesse ricevere da Cesare ed accettare dalle persone.
   Ma in decorso di tempo l'editto di Cesare mal interpretato da' Sacerdoti, non fu riputato sufficiente e la sua emendazione ebbe bisogno poi d'altra ammenda; onde Claudio Tolomeo che fiorì intorno a' 180 anni dopo Cesare, considerando la gran varietà de' pareri in determinare l'anno naturale, ne descrisse un'altra tanto che variando dalle prime, ne nacque un grande turbamento ed una grande confusione.
   Nell'Imperio di Costantino Magno i Padri del Concilio di Nicea, volendo stabilire il giorno di Pasqua, ne statuirono un'altra, dal qual tempo seguì di nuovo una gran confusione negli Equinozj. Da poi Dionigi il Piccolo intorno l'anno 526, avanzandosi sempre più il disordine, cercò con nuova computazione darci rimedio, ma quello fu per pochi anni, onde si tornò a' disordini di prima.
   Il Panzirolo scrive, che l'Imperador Andronico Paleologo pensò pure ad una nuova emendazione, ma si sgomentò a porci mano, così per le guerre che gliel'impedirono, come perchè dubitava non fosse stata dagli altri Principi ricevuta: Id antea, e' dice, Andronicus Paleologus Imperator facere cogitavit, sed pluribus bellis impeditus, et quia alios Principes novo anno non assensuros dubitavit, a negotio destitit. Niceph. Gregor. Lib 8. de Paschatis correctione).
   Riputando pertanto i Pontefici romani, dover essere della loro incombenza di rimediarvi, furono per ciò solleciti, per prevenire anche gli altri Principi e l'Imperadore, di fare una nuova Emendazione: e cento anni prima, il Pontefice Innocenzio VIII fece venire in Roma Giovanni Regimontano celebre Matematico di que' tempi perché correggesse gli errori del Calendario; ma fu fama che i figliuoli di Giorgio Trapezunzio, i quali non potevano sofferire che un Germano fosse a' Greci anteposto, 1'avessero allo avvelenare: per la qual cosa non potè soddisfare al desiderio del Papa.
Immagine dal web di 'Regiomontano', 1436-1476, la presunta vittima del calendario... Fu matematico e astronomo di primaria importanza.

   Con tal'occasione scrissero a quei tempi del giusto computo dell'anno Pietro Alliacense Vescovo di Cambray e poi Cardinale, il Cardinal Cusano, e poco da poi Roberto Lincolniense e Paolo Midelburgense Vescovo di Fossombrone, il qusle sopra ciò compose un gran volume, che lo dedicò a Massimiliano I Imperadore.
   Essendosi da poi aperto il Concilio in Trento, credendosi, che que' Padri ad esempio di ciò, che si fece nel Concilio Niceno, volessero stabilire questa Emendazione, s'affaticarono i primi ingegni d'Europa intorno a questo soggetto, fra gli altri Giovanni Gennesio Sepulveda Cordovese, Gioan-Francesco Spinola Milanese, Benedetto Majorino, il famoso Luca Gaurico familiare di Paolo III e Pietro Pilato Veronese, il quale con un particolar suo libro refutò la sentenza del Gaurico. Ma il Concilio, essendosi  terminato con molta fretta, non potè occuparsi ad una cotanto intricata materia, che per diffinirla richiedeva mollo tempo.
   Pertanto Gregorio XIII dubitando di non esser prevenuto dagl'Imperadori di Germania, come affare appartenente alla ragion dell'Imperio, si pose con molta sollecitudine ad affrettar questa Emendazione, e per ciò mandò per tutte l'Accademie d'Italia, e scrisse al Senato Veneto acciò che da' Matematici e Filosofi di Padova ricercasse il lor parere intorno a correzione. Fu dato prima il pensiero a Giuseppe Molettio Messinese, il quale due prima di quest'Emendazione diede fuori le Tavole Gregoriane. Ma ricercato ancora il celebre Niccolò Copernico, famoso Astronomo di quei tempi, del suo giudizio, insorsero vari pareri, ed essendo ancora venuto in campo Sperone Speroni, s'accesero fra costoro le contese. Matteo Mogino vi ebbe ancora la sua parte, e Giuntino ricercato dal Pontefice, s'uniformò all'opinione di coloro che volevano che diece giorni si scemassero dell'anno: ma Alberto Leonio d'Utrecht, avendo perciò composto un libro, provò, che se ne dovevano scemare undici: il Duca Francesco Maria d'Urbino in grazie del Pontefice ricercò ancora del suo parere Vido Ubaldo peritissimo di questa scienza, il quale lo diede, uniformandosi però alla correzion fatta da' Padri nel Concilio Niceno. Scrissene eziandio Gregorio al Re di Francia, il quale ne diede il pensiero a Francesco Foix Candale, famoso Astronomo, che parimente diede fuori sopra ciò il suo giudizio.
   Papa Gregorio intanto, perchè non si lasciasse perdere sì opportuna occasione d'ingrandire l'autorità della sua Sede, richiedeva sì bene di ciò gli altri Principi, ma voleva che dappoi si dovesse stare a quel che egli sopra ciò stabiliva; onde esaminati tutti i pareri, finalmente per suggestione d'Antonio Lilio celebre Medico di que' tempi, s'appigliò all'emendazione di Luigi Lilio suo fratello, la qual in breve conteneva, che dovessero dell'anno scemarsi diece giorni che per difetto d'intercalazione si trovavano soverchi, e si prescriveva il modo, sicchè tal difetto non accadesse per l'avvenire. Questa correzione in un picciol volume compresa, dopo avutane l'approvazione di Vincenzo Laureo Vescovo di Monreale, il giudicio del quale sopra queste cose egli stimava tanto, la mandò a tutti i Principi Cristiani ed alle più famose e celebri Accademie d'Europa.
   Ma ebbe quest'emendazione del Lilio forti oppositori, fra gli altri Giuseppe Scaligero gran Letterato di que' tempi, il quale in quella sua maravigliosa opera De emendatione temporum scovrì gli abbagli da colui presi. Impugnò parimente il computo Liliano Michele Mestino Professore nell'Accademia di Tubingen con grandi Commentarj. Ma contra costoro in difesa del Lilio sorsero Cristoforo Clavio Gesuita, celebre Professore in Roma, ed Ugolino Martello Vescovo di Glandeves.
   Pubblicata ch'ebbe Gregorio questa sua Emendazione, perchè fosse ricevuta da tutti i Principi Cattolici e sopra ogni altro dall'Imperadore e da' Principi d'Alemagna, spedì a Cesare il Cardinal Lodovico Madruccio Vescovo di Trento; ma essendosi nella Dieta d'Augusta proposto quest'affare, dai Principi quivi assembrati fu riputato un grande attentato del Pontefice d'aver posto a ciò mano, e di grande oltraggio all'autorità di Cesare e dell'Imperio, né doversi permettere la pubblicazione del nuovo Calendario in Germania. Apparteneva ciò agli Imperadori di farlo, siccome fece Giulio Cesare e da poi nell'Imperio d'Occidente Carlo Magno, il qual diede egli a' suoi Germani il Calendario in lingua Tedesca. Ciò che fecero i Padri nel Concilio Niceno, fu per autorità di Costantino Magno Imperadore, per comando del quale s'era convocato quel Concilio: doversi pertanto rifiutare il nuovo Calendario, tanto maggiormente, che quello fu fatto, non ricercati i Principi dell'Imperio, nè il consenso degli Ordini. Cesare vedendo la costante risoluzione de' Principi, e delle città della Germania, che avevano ricevuta la Confessione Augustana, di non riceverlo, differì di trattar quest'affare e comandò che ne' giudizj della Camera s'osservasse l'antica forma sin allora tenuta.
   (In Germania presso i Protestanti nella fine del secolo XVII si fece una nuova emendazione del Calendario, togliendone dall'anno 1700 undici giorni, la quale è ancora in uso presso i medesimi, la di cui istoria meglio sarà che qui si noti colle parole istesse di Burcardo Struvio - omissis-.)
   In Francia per la morte del Tuano e l'assenzia d'Achille Arleo non fu sopra ciò fatto lungo esame, ma il Re promulgò egli un Editto che fu ubbidito dal Parlamento, col quale la nuova emendazione fu ricevuta; e scemati i dieci giorni all'anno fu stabilito che li diece di dicembre si contassero per venti, onde in quell'anno il giorno di Natale fu celebrato ai 15 di quel mese. Parimente ad emulazione del Re di Francia, il novello Duca del Brabante Francesco, per cattivarsi la benevolenza del Pontefice, ottenne anche da' Protestanti, che fosse la sua emendazione ricevuta in Fiandra, siccome fu ricevuta in Olanda e nella Frisia Occidentale e nell altre province.
   In Ispagna e ne' Dominj del nostro Re Filippo II particolarmente nel Regno di Napoli, pubblicata che fu da Gregorio questa emendazione, prima che si ricevesse, fu quella esaminata e fu richiesta la permissione e 'l beneplacito del Re Filippo, siccome in tutti gli altri Regni erasi fatto, appartenendo a' Principi, per ciò che riguarda i loro Stati, regolare i giorni e per le celebrità dei loro natali, incoronazioni e per ogni altro, ma sopra tutto per le Ferie de' loro Tribunali. Il Re Filippo informato che con accordo e partecipazione di molti Principi della Cristianità erasi fatta questa emendazione, e che coloro l'aveano ricevuta ne' loro Dominj, così egli fece ne suoi Regni; onde governando il nostro in questi tempi il Principe di Pietrapersia, mandò al medesimo il nuovo Calendario riformato da Gregorio, scrivendogli a' 21 agosto di quest'anno 1582, che avendo il Pontefice Gregorio con matura deliberazione e comunicazione de' Principi Cristiani, ed accordo di tutto il Sagro Collegio dei Cardinali riformato il Calendario, per ridur la Pasqua di Resurrezione ed altre Feste Mobili al giusto e vero punto della loro antica istituzione, perciò l'ordinava che lo facesse eseguire nel Regno Napoli ed in tutte le Chiese di quello.
   Ma contenendosi in quel Calendario alcune cose pregiudiziali alle sue preminenze, scrisse nel medesimo tempo un'altra lettera a parte al suddetto Principe, avvertendogli di mirar molto bene che se in quel che tocca alla proibizione che s'aggiunge in quello, cioè che non lo possa imprimere altri che Antonio Lilio, o altri di suo ordine, vi fosse cosa da notare di pregiudizio alla sua Regal Giurisdizione, e ritrovandosi altro inconveniente o novità di considerazione, trattenga l'impressione, e ne l'informi ed aspetti da lui nuova risposta. In cotal maniera e con tali moderazioni fu il nuovo Calendario appo noi ricevuto ed osservato; e narra il Summonte, che per ciò in questo anno li 4 d'ottobre furon contati per 14 e li pagamenti di tutti gli affitti si fecero per tanto meno, quanto era la valuta di que' diece giorni. Parimente fu osservato che conservandosi nella Chiesa di S. Gaudioso una caraffina di Sangue di S. Stefano portata in Napoli, secondo che scrive il Baronio, da S. Gaudioso Vescovo Affricano, la quale era solita liquefarsi da sé stessa il dì terzo d'agosto secondo il Calendario antico: da poi che Gregorio fece questa emendazione non bolle il sangue che alli 13 di agosto, nel qual dì, secondo la nuova riforma, cade la festa di San Stefano; onde Guglielmo Cave scrisse che questa sia una pruova manifesta, che il Calendario Gregoriano sia stato ricevuto in Cielo, ancor che in Terra alcuni paesi abbiano ricusato di seguitarlo.
   (Lo stesso narrasi esser accaduto nel bollimento del sangue di S. Gennaro a' 19 settembre. E Panzirolo in prova della verità dell'emendazione Gregoriana rapporta nel cap. 177 de Clar. Leg. Interp. una Istorietta che merita esser trascritta colle sue istesse parole - omissis-.)
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