Giorgio Rajani, magistrato cirotano, è autore di 'Gli ultimi della Magna Grecia', racconto lungo, più che romanzo, edito da Vallecchi, Firenze, 1971. Di Giorgio Rajani non sono riuscito a sapere molto altro, neppure tramite il web, dove spesso si trova di tutto, a volte un 'di tutto' veramente trascurabile, mentre notizie di altre persone, e fatti, degni di ben altra visibilità, come nel caso del Rajani, rimangono inarrivabili o quasi, purtroppo. E allora non mi rimane che immaginare, facendo ricorso magari al solito clichè del 'nessuno è profeta in patria', che prevede, spesso, una fortunata carriera lontano dal paesello natìo, o cercare, per saperne di più, conoscenti o parenti di questo amabile giudice-scrittore, autore di una pubblicazione che, dall'idea che mi sono fatto, deve essere stata una specie di libro di testo per gli addetti - o adepti, mi verrebbe da dire - della materia di cui tratta: 'La disciplina normativa della Comunità economica europea in materia sociale', Giuffrè 1963; altre pubblicazioni dello stesso autore: 'Problemi giuridici dell'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile auto e natanti', editrice dell'Automobile, 1977, e poi 'Giada', V. Bianco ed. 1976.
Prima parlavo di 'nessuno profeta in patria', non a caso, e di immaginazione. In fondo credo di non sbagliare e di non dover troppo immaginare se suppongo che il Giorgio Rajani appartenga ad una di quelle famiglie borghesi, positivamente borghesi, che hanno comunque dato lustro ai loro luoghi d'origine, pur raggiungendo posizioni di prestigio in ambiti distanti da quelli di partenza. Da un trafiletto della 'Tibuna di Treviso' (22 febbraio 2007) leggo dell'addio ad Antonio Rajani, ammiraglio della Marina Militare e doppia medaglia d’argento al valor militare. Figura conosciuta in paese, Antonio Rajani, spirato lunedì all’età di 96 anni, era un uomo colto e di disciplina liberale. Originario di Cirò, antico borgo calabrese, aveva vissuto per molti anni a Roma. Poco più di vent’anni fa si era trasferito con la figlia Maria Chantal e la nipote Denyse a Casale, in una villa secolare posta sulle rive del Sile. Sarà stato un fratello del nostro 'giudice-scrittore'? Giudice-scrittore... così il Rajani viene definito alla voce 'L'onda di Temi' (dove per 'Temi' si intende la dea della giustizia), nel volume di G. Francione 'Il tocco e la penna (ovvero dei giudici-scrittori)', Sapere 2000, Roma.
Bene, qui mi fermo, sperando di non aver troppo indagato, a rischio di risultare molesto.
Prima parlavo di 'nessuno profeta in patria', non a caso, e di immaginazione. In fondo credo di non sbagliare e di non dover troppo immaginare se suppongo che il Giorgio Rajani appartenga ad una di quelle famiglie borghesi, positivamente borghesi, che hanno comunque dato lustro ai loro luoghi d'origine, pur raggiungendo posizioni di prestigio in ambiti distanti da quelli di partenza. Da un trafiletto della 'Tibuna di Treviso' (22 febbraio 2007) leggo dell'addio ad Antonio Rajani, ammiraglio della Marina Militare e doppia medaglia d’argento al valor militare. Figura conosciuta in paese, Antonio Rajani, spirato lunedì all’età di 96 anni, era un uomo colto e di disciplina liberale. Originario di Cirò, antico borgo calabrese, aveva vissuto per molti anni a Roma. Poco più di vent’anni fa si era trasferito con la figlia Maria Chantal e la nipote Denyse a Casale, in una villa secolare posta sulle rive del Sile. Sarà stato un fratello del nostro 'giudice-scrittore'? Giudice-scrittore... così il Rajani viene definito alla voce 'L'onda di Temi' (dove per 'Temi' si intende la dea della giustizia), nel volume di G. Francione 'Il tocco e la penna (ovvero dei giudici-scrittori)', Sapere 2000, Roma.
Bene, qui mi fermo, sperando di non aver troppo indagato, a rischio di risultare molesto.
Il libro di cui parlo, 'Gli ultimi della Magna Grecia', non deve aver goduto di tanta risonanza, e, se così sarà stato, mi spiacerebbe, perché è scritto bene, con misura, in uno stile piano, anche se accuso qualche particolarità nell'uso di taluni segni di interpunzione - ma parlo di virgole, in tutti i sensi- e qualche imprecisione storica, anche queste, però, da accertare: mi riferisco agli accenni a Luigi Lilio. Per il resto, possiamo porre, in una ipotetica 'letteraria' cirotana del 900', questo Gli ultimi della Magna Grecia in una posizione mediana tra il Giovanni Fràncica di Luigi Siciliani e La collina del vento di Carmine Abate, e quella posizione 'mediana' alla quale mi riferisco non è solo temporale, ma anche di 'presenza'... nessun calco, ci mancherebbe, ma i richiami comuni dell'opera successiva a quella che l'ha preceduta mi sembrano evidenti. E questa, tra l'altro, è buona cosa, al fine di non perdere un patrimonio precedente, ma di consolidarlo e ampliarlo. Non so se mi spiego, sed... intelligenti pauca.
In definitiva mi sono fatto l'idea che il Rajani scrivesse non per mestiere e che, se di questo si tratta, avrebbe potuto dare molti punti ad altri che l'arte dello scrivere hanno abbracciato per motivi professionali, con una fiducia nelle proprie qualità che spesso risulta difficilmente condivisibile.
Nei prossimi scritti cercherò, in collaborazione con l'amico Francesco Ierise, di presentare più approfonditamente questo libro che, contravvenendo ai tempi biblici delle mie letture, ho letto tutto d'un fiato.
Intanto vediamo cosa ne dice Antonio Piromalli, alle pagine 221-222 de La letteratura Calabrese, Guida editori, Napoli 1977:
La vecchia Calabria che ha cominciato a scomparire è descritta da Giorgio Rajani in Gli
ultimi della Magna Grecia (1971 ). Lo spaccato offerto dallo scrittore è storico-culturale e
umano. A cominciare dagli
interminabili viaggi per giungere in Calabria, in treni affollatissimi, neri di carbone e lenti, dagli
asini e dai muli usati
come mezzi di locomozione, all'ingresso nella regione, nella «desolazione» (era la Sibaritide arsa e
malarica, «una pianura
senza respiro», anche i fichidindia parevano dire «sitio!, sitio!»), è in Rajani un eccezionale
equilibrio di scrittore. Il paese descritto è odoroso di mare, dì arance, di letame, di latte di
pecore e capre, di fumo di legna che brucia nei focolari, di pane infornato, di
terra inzuppata di pioggia, odori della natura o di una società arcaica che produce e consuma
elementarmente. Nella
grande casa un tempo abitavano decine di persone e una folla di persone vestite di nero
attende l'adolescente-protagonista che scende nella terra dei suoi. La Calabria dei poveri e degli agiati di paese vive nel
respiro di un mondo antico e vero, una regione di contadini, artigiani, con una economia patriarcale e una cultura chiusa e
superstiziosa. In quelle strutture emergono anche i cambiamenti che si erano verificati con le rivendicazioni protette dall'alto. Siamo
nell'epoca del fascismo e un
proprietario protesta contro i contratti nazionali in favore delle
raccoglitrici di olive («Noi proprietari siamo stati messi alla colonna peggio di Cristo:
da sopra il governo ci flagella con le tasse e i tamarri, da sotto, avanzano sempre nuove pretese».) Lo scrittore si sofferma sulla
vita familiare, sulle usanze, sul costume: anche il cordoglio, le imprecazioni, collegate con l'istituzione di una società
patriarcale, hanno il vigore tragico e chiuso che avevano al tempo dei Greci. Quel mondo che il Rajani osservava nello sviluppo di
superstizioni, ignoranze, desolazione, disperazione, tende a scomparire o forse è già scomparso. Il Rajani è riuscito a fermare
senza nostalgia il profilo remoto
di una regione che conservava ancora gli ultimi tratti di un passato amaro e pesante causato
da oppressione e autoritarismo
disumani.
Il Piromalli dice bene, e il Rajani dice anche molto altro: di questo vorremmo occuparci e quindi... a presto!
Complimenti per questa bella iniziativa su Rajani. Mi piacerebbe leggere questo libro, ma è introvabile.
RispondiEliminaGrazie.
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