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lunedì 16 giugno 2014

§ 093 160614 De' pesi e misure in uso nella Sicilia Citeriore, e anche al Cirò.

Questo scritto, stante la vastità della materia, avrà una struttura 'in costruzione', segnalata dalle successive numerazioni delle aggiunte e modifiche che ad esso si renderanno necessarie (da 101.0 in poi).
Non nascondo che mi piacerebbe, o che ritengo interessante, che questo patrimonio di culture - in fondo di questo credo si tratti - non andasse perso; magari gli istituti di agraria potrebbero farsi custodi di questo sapere che è non solo un fatto di tecnica delle misurazioni, ma anche un notevole serbatoio di conoscenze storiche.
Tra le nozioni generalmente cadute nell'oblio, ma comunque restie a sparire del tutto dalla memoria popolare - ma anche da quella più 'colta', suppongo - credo si possano annoverare quelle dei pesi e delle misure ancora in uso, fuori dai crismi dell'ufficialità, fino agli anni '60 del XX secolo, e magari, almeno nelle campagne, anche oltre tale data.
Mi è capitato, talvolta, di assistere ad uno spremere di meningi (o forse ad una sollecitazione delle sinapsi), mie e degli occasionali interlocutori, nel tentativo di riassegnare un peso o una misura, sempre scavando nelle comuni memorie, a termini come 'tùminu', 'mittu', 'menzèttu', per non parlare di 'varrìlu', 'vutta', 'cannàta', forse per il fatto che questi ultimi tre termini, indicando rispettivamente il barile, la botte, il boccale (impropriamente, quest'ultimo), cioè qualcosa di tuttora tangibile e diffuso, hanno perso quella loro accezione più tecnica di unità di misura per liquidi che è stata lungamente contemplata nella legislazione delle Due Sicilie.
Rivangando nella memoria, posso aggiungere che la legislazione relativa ai pesi e alle misure in uso nelle Due Sicilie, pur attraversando tante casate dominanti, rimase in vigore dal 6 aprile 1480, sotto Ferdinando I° d'Aragona, fino al 6 aprile 1840, regnante Ferdinando II° di Borbone: una normativa la cui longevità, se da un lato può essere vista come esempio di 'stasi', di immutabiltà, dall'altro potrebbe anche essere letta come una attestazione di validità della stessa, cioè di capacità di rispondere alle esigenze quotidiane delle popolazioni che di quei pesi e e di quelle misure si servivano.
Cominciamo ad entrare in argomento, ricorrendo al Commendatore Carlo Afán de Rivera:
''Le misure ed i pesi sono i primi ministri della giustizia, il cui precipuo attributo sta nel distribuire a ciascuno ciò che gli spetta per diritto o per convenzione.  A questi ministri han dovuto ricorrere i popoli più rozzi dacchè han riconosciuto il dritto di proprietà, benchè nello stato di rozzezza non avessero potuto stabilirne l'esattezza, l'uniformità ed il buon ordinamento. E siccome le leggi che fanno innovazioni nelle antiche consuetudini ed abitudini dell'universale debbono superare gravi ostacoli nell'applicazione, così la riforma delle misure e dei pesi che concerneva gl'interessi materiali dell'universale ha fatto presentire in tutti i tempi a' legislatori la più pertinace opposizione. A queste difficoltà vuolsi attribuire che quando in Europa la civiltà faceva rapidi progressi e s'immegliavano tutte le civili instituzioni, non si osava intraprendere la necessaria riforma del respettivo sistema metrico. La Francia, che nella sua rivoluzione innovava tutte le instituzioni civili ad onta delle incessanti cure del governo e ad onta del concorso delle persone colte e degl'impiegati in tutti i rami dell'amministrazione pubblica, non ha potuto dopo mezzo secolo in circa riuscire a rendere generale l'applicazione del nuovo perfezionato sistema metrico. Le commozioni popolari avvenute nel corso di questo anno, quando la legge prescriveva che dal 1° gennaio 1840 si dovesse rendere generale l'applicazione del sistema metrico, porgono un luminoso esempio della pertinace resistenza del popolo quando si vuol costrignere a divezzarsi dalle idee di grandezza e di quantità che ha acquistato co' sensi fin dall'infanzia.
L'esempio della Francia si citava in appoggio da coloro che oppugnavano la convenienza di perfezionare e rendere in tutti i Reali Domini uniforme il nostro antico sistema metrico. Sarebbe per certo cessata la loro opposizione se scevri di prevenzione si fossero convinti che il nostro sistema metrico statuito da sei secoli per lo meno era perfettissimo che l'uniformità delle misure e dei pesi era stata prescritta da Ferdinando I di Aragona coll'editto dei 6 aprile 1480 che non è stato mai abrogato e che depositati in Castelcapuano e spediti in tutte le provincie i campioni delle misure e dei pesi essi soltanto si debbono considerare come legali. Si trattava quindi d'ingiugnere la rigorosa osservanza di una legge patria che restituendo nella sua integrità il nostro antico sistema metrico era in vigore da 4 secoli in circa senza essere stata mai abrogata. Di tale restaurazione era necessaria conseguenza che si fossero vietate le alterazioni e le intrusioni, avvenute nel nostro sistema metrico durante il corso di 360 anni dalla promulgazione del mentovato editto. Siamo altresì certi che gli oppositori saranno i più caldi fautori della restaurazione di una nostra antica patria instituzione, tosto che ne conosceranno gli alti pregi da noi esposti nella seconda edizione dell'opera che porta il titolo della restituzione del nostro sistema di misure pesi e monete alla sua antica perfezione. Dobbiamo per certo esser compresi della più alta ammirazione nell'osservare che quando nel medio evo la barbarie diffondevasi in tutte le regioni soggette al vasto impero romano le due Sicilie conservavano i germi della loro antica splendida civiltà i quali cominciarono a svilupparsi tosto che sotto i principi normanni furono costituite in monarchia indipendente. 
Tra le molte sapienti instituzioni civili che ne rendono luminosa testimonianza vuolsi annoverare quella del loro perfettissimo sistema di misure pesi e monete. Per difetto di documenti storici non si può asseverare se fosse stato inventato ed ordinato da coltissimi Italo-Greci o Greci-Siculi o se più tardi le sue basi fondamentali fossero state tolte dagli Egizi o dagli Arabi. Qualunque però fosse stata la sua origine egli è certo che era comune alle due Sicilie prima della loro separazione avvenuta nel 1282 e la nostra citata opera ne porge inrefragabili prove. Giova qui far cenno dei suoi principali pregi che nella nostra opera sono stati diffusamente esposti e commendati. Unica e tolta dalla natura era la base fondamentale su cui era sapientemente ordinato il nostro sistema metrico. Era per definizione statuito dover il nostro miglio equivalere alla sessagesima parte dell'arco di un grado medio del meridiano terrestre, ossia all'arco di un minuto medio del meridiano medesimo. Dividevasi il miglio in cento catene ed in mille passi ed erano perciò il passo, la catena ed il miglio aliquote esatte degli archi de' minuti primi e dei gradi del meridiano terrestre e di ogni cerchio massimo del nostro globo. Con diligenti osservazioni celesti tracciandosi sur una pianura la linea di un meridiano della lunghezza di più minuti e dividendosi pel numero di questi ultimi la lunghezza misurata con somma accuratezza, si poteva dedurre quella di un miglio corrispondente all'arco di un minuto primo. Suddividendosi il miglio in cento parti uguali, ognuna di queste indicava la lunghezza della catena e la decima parte di quest'ultima rappresentava il passo, il quale era il modulo delle misure tolto dalla natura, ossia dalle dimensioni che la sapientissima mano della Creazione avea assegnato al nostro globo. Egli è ben da notarsi che le anzidette divisioni del miglio seguivano la progressione decimale, cioè il passo, la catena di dieci passi, il decuplo della catena di cento passi ed il miglio di mille passi.
Era il passo una misura troppo grande ed incomoda per la misurazione delle piccole estensioni. Per tal ragione fu diviso in sette parti o palmi per ottenersi una misura che un uomo di alta statura avea seco nell'apertura della mano distesa tra l'estremità del mignolo e del pollice. Così ognuno scandagliando la differenza tra l'apertura della sua mano ed il palmo si abituava a tenerne conto nel servirsi della propria mano per misurare discrete lunghezze con prontezza e sufficiente approssimazione. Forse per la divisione del passo in sette parti uguali si volle anche conservare una certa equivalenza coll'antico palmo ed un certo rapporto coll'antico piede. Il palmo quindi si considerò come unità delle misure ed era aliquota esatta del passo, della catena, del miglio e degli archi dei minuti primi e dei gradi del meridiano e di ogni cerchio massimo del globo. Inoltre constando il passo di un numero impari di palmi, la sua metà o la quarta o l'ottava parte era affetta di frazioni di palmo. Per rimediare a questo inconveniente fu prescelta la canna di 8 palmi da adoperarsi come unità nella misurazione delle grandi dimensioni. Ai tempi di Ferdinando I di Aragona trovavasi stabilita la canna come unità delle misure e della sua metà si formarono i campioni. È da credersi che come l'antico palmo dividevasi in dodici once, così si conservò per gli usi comuni la stessa divisione del nuovo palmo. La divisione dell'oncia in cinque minuti mostra bene che tali divisioni erano applicate a grossolani usi comuni. 
Il sapiente che statuì il nostro sistema metrico ben conosceva che due soltanto sono i mezzi esatti per determinare la grandezza de' corpi. Il primo consiste nella misurazione delle dimensioni per conoscerne la lunghezza, la superficie ed il volume. Col secondo se ne deduceva la quantità dal loro peso. Le misure di capacità delle quali aveano fatto e facevano uso tutti i popoli per misurare gli aridi ed i liquidi sono mezzi imperfetti, i quali non possono mai dare l'esattezza nella misurazione, mentre nell'eseguirsi tal operazione porgono facile occasione alle frodi. A' tempi di Ferdinando I di Aragona tutti i liquidi si misuravano col peso e per conseguenza nelle istruzioni de' 6 Aprile 1480 relative all'uniformità delle misure e de' pesi non si fa menzione di alcun campione delle misure di capacità pe' liquidi. Per non contrariare le abitudini del popolo si dava il campione di una sola misura di capacità detta tomolo per la misurazione di alcuni pochi aridi di picciola mole. Intanto sebbene vi fosse l'anzidetta misura legale di capacità, pure in molti luoghi l'universale si serviva del peso per misurare alcuni aridi, pe' quali in altri luoghi si faceva uso della misura di capacità. Quando poi si trattava di un grande interesse nella misurazione di una gran quantità di grano, di grano d'india e di biada si associava sempre il peso alle misure di capacità. Il Real Governo traendo profitto di quest'accorta consuetudine, nelle tariffe doganali fa uso del solo peso per la misurazione di tutti gli aridi. Sotto questi rapporti dunque era perfettissimo il nostro sistema metrico che stabiliva i due mezzi più esatti per la misurazione delle sostanze.'' 
Così dice il commendatore Carlo Afán de Rivera nel 'Discorso preliminare' delle 'Tavole di riduzione dei pesi e delle misure delle Due Sicilie in quelli statuiti dalla legge de' 6 aprile del 1840', Napoli 1840, opera gemella dell'altra, alla quale pure si rimanda nel citato 'discorso', anch'essa pubblicata in Napoli nel 1840 e formanti, le due opere, una sola pubblicazione in due parti: parlo del volume 'Della restituzione del nostro sistema di misure, pesi e monete alla sua antica perfezione'. I titoli di questi libri sono chiaramente esplicativi delle intenzioni del loro eminentissimo autore.
Il problema delle misurazioni, tuttora irrisolto, deve aver costituito un impaccio non indifferente per la vita quotidiana: spulciando le tabelle delle equivalenze delle unità di misura in vigore - o forse in uso quasi fuorilegge, o comunque 'in auge' - nelle sole province, o comuni, anche non distanti tra loro, si rimane stupefatti davanti a tanta varietà d'usi, che tradotti nella pratica erano un bel fastidio per l'economia e i commerci... si aggiunga poi che spesso le denominazioni di base di quei pesi e misure erano simili se non uguali, a dispetto delle differenze di 'entità', e si capirà quante incomprensioni potevano nascere nel vendere, ad esempio, un prodotto calabrese ad un acquirente napoletano, oppure nell'esportare delle caraffe di vino da Cirò a Taranto o, cosa non infrequente, verso un porto estero...

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