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martedì 24 giugno 2014

§ 095 240614 G. Rajani, 2. Gli odori delle strade di Cirò.

Le parole del Rajani, unitamente alle foto da me fatte, sono state riprese senza troppi scrupoli e pubblicate su una pagina facebook su Cirò Marina, alquanto 'visitata', mi sembra. Che si citi oppure no il sottoscritto quale autore delle foto e dei post mi interessa poco, che si ometta la paternità dell'autore del brano tratto da 'Gli ultimi della Magna Grecia' mi sembra una occasione mancata per ricordare o far conoscere questo libro e il suo autore. Il fatto che una foto, uno scritto, una canzone, un video, vengano resi pubblici in rete non vuol dire che chiunque possa appropriarsene e farne ciò che vuole, né, tantomeno, l'uso del web autorizza la mancanza di rispetto verso gli altri e le 'cose' che essi producono. Rimane, di fondo, la differenza tra l'originale e la copia, tra chi produce e chi si appropria; in pratica: è questione di serietà... Nessuna novità, lo sapevo da tanto tempo.
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Gli odori delle strade di Cirò, nelle parole di Giorgio Rajani, da ‘Gli ultimi della Magna Grecia’ (Vallecchi 1971). Sono gli odori delle strade della Cirò del 1931, anno in cui è ambientato il romanzo, o racconto lungo, di Rajani. Da qualche giorno vado ripetendo, con cautela e senza voler risultare insistente, che quello di Rajani è un libro che merita, in senso assoluto. Non si tratta di nulla di eccezionale, ma certamente di qualcosa di profondamente sentito dall’autore, una memoria che il Nostro cerca umanissimamente di condividere, scoprendo e offrendo particolari che spesso sfuggono alla comune sensibilità, o, per meglio dire, dando dignità a particolari e situazioni che comunemente – parlo di un tempo che fu ma non troppo – non erano, e non sono tuttora, ritenute degne di considerazione, se non, addirittura, passibili di condanna ad una cancellazione ‘scientemente’ ricercata, accettata e consigliata, quasi si trattasse di peccati o panni sporchi da lavare in famiglia, o al più all’interno di un gruppo sociale o di una specifica comunità… parlo di quel ‘non facciamoci conoscere’ nel quale troppo spesso a sproposito ci si rifugia, negandoli e condannando ad un sommario oblio tanti tratti caratteristici, ‘paesani’, che non meriterebbero un simile trattamento, poiché ben altri sarebbero i modi e gli usi dai quali emendarsi.

  Ed ecco cosa dice Rajani di vinedde e cavaredde.
… la sera in cui arrivai, ap­pena passata la porta di Mavilo, la prima cosa che avvertii fu l'odore delle strade; non c'è aggettivo atto a renderne l'idea; era dato: dal mare, il cui jodio una brezza lieve portava fin lassù; dai boschi intorno; dagli aranceti e dalle vigne; dal mosto chiu­so nelle cantine; dal letame degli animali, che, di giorno, passeggiavano indisturbati nelle vie e, la sera, venivan chiusi nelle case o nelle stalle; dal latte delle capre e delle pecore appena munto; dal pelo dei somari e dei muli bagnato di sudore; dal fumo della legna che bruciava nei focolari; dal pane infor­nato; dalle abitazioni ove gli esseri umani vivevano stretti stretti e spesso insieme agli animali; dalla terra riarsa dal sole o inzuppata dalla pioggia; e da tante altre cose, mescolate fino a disperdere i loro sin­goli odori per fonderli tutti in uno, nel quale sem­brava di riconoscere quello stesso della natura,
Generalmente le strade dei paesi sono strette e io, a Roma, avevo sentito dire più volte che quelle del mio lo erano in modo particolare, ma anguste fino a quel punto non l'avrei mai supposto; bastava un uomo di media statura, posto al centro a brac­cia larghe e nemmeno troppo stese, a toccare coi polpastrelli le case dell'uno e dell'altro lato.
Eppure, arrivando, vidi, per fortunata combina­zione, le due vie principali: il Corso e quella della Timpa, chiamata così perché, dopo una salita che toglieva il respiro tanto era ripida, si arrivava, su­perata una curva stretta da passarci attaccando i go­miti ai fianchi, in cima alla collina su cui sorgeva il paese, ed essendo questa tronca sul dietro, la strada terminava con un burrone, ove, a finir dentro, non si sarebbero ritrovate neppure le ossa, tanto cadeva a precipizio sulla strada sottostante.


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