Le parole del Rajani, unitamente alle foto da me fatte, sono state riprese senza troppi scrupoli e pubblicate su una pagina facebook su Cirò Marina, alquanto 'visitata', mi sembra. Che si citi oppure no il sottoscritto quale autore delle foto e dei post mi interessa poco, che si ometta la paternità dell'autore del brano tratto da 'Gli ultimi della Magna Grecia' mi sembra una occasione mancata per ricordare o far conoscere questo libro e il suo autore. Il fatto che una foto, uno scritto, una canzone, un video, vengano resi pubblici in rete non vuol dire che chiunque possa appropriarsene e farne ciò che vuole, né, tantomeno, l'uso del web autorizza la mancanza di rispetto verso gli altri e le 'cose' che essi producono. Rimane, di fondo, la differenza tra l'originale e la copia, tra chi produce e chi si appropria; in pratica: è questione di serietà... Nessuna novità, lo sapevo da tanto tempo.
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Gli odori delle strade di Cirò,
nelle parole di Giorgio Rajani, da ‘Gli ultimi della Magna Grecia’ (Vallecchi
1971). Sono gli odori delle strade della Cirò del 1931, anno in cui è
ambientato il romanzo, o racconto lungo, di Rajani. Da qualche giorno vado ripetendo,
con cautela e senza voler risultare insistente, che quello di Rajani è un libro
che merita, in senso assoluto. Non si tratta di nulla di eccezionale, ma
certamente di qualcosa di profondamente sentito dall’autore, una memoria che il
Nostro cerca umanissimamente di condividere, scoprendo e offrendo particolari
che spesso sfuggono alla comune sensibilità, o, per meglio dire, dando dignità
a particolari e situazioni che comunemente – parlo di un tempo che fu ma non
troppo – non erano, e non sono tuttora, ritenute degne di considerazione, se non, addirittura, passibili di condanna ad una cancellazione ‘scientemente’ ricercata, accettata e consigliata, quasi si
trattasse di peccati o panni sporchi da lavare in famiglia, o al più all’interno di un
gruppo sociale o di una specifica comunità… parlo di quel ‘non
facciamoci conoscere’ nel quale troppo spesso a sproposito ci si rifugia,
negandoli e condannando ad un sommario oblio tanti tratti caratteristici, ‘paesani’, che
non meriterebbero un simile trattamento, poiché ben altri sarebbero i modi e gli usi dai quali emendarsi.
Ed ecco cosa dice Rajani di
vinedde e cavaredde.
… la sera in cui
arrivai, appena passata la porta di Mavilo, la prima cosa che avvertii fu l'odore
delle strade; non c'è aggettivo atto a renderne l'idea; era dato: dal mare, il
cui jodio
una brezza lieve portava fin lassù; dai boschi intorno; dagli aranceti e dalle vigne;
dal mosto chiuso nelle cantine; dal letame degli animali, che, di giorno, passeggiavano
indisturbati nelle vie e, la sera, venivan chiusi nelle case o nelle stalle; dal latte
delle
capre e delle pecore appena munto; dal pelo dei somari e dei muli bagnato di sudore; dal
fumo della
legna che bruciava nei focolari; dal pane infornato; dalle abitazioni ove gli
esseri umani vivevano stretti stretti e spesso insieme agli animali; dalla terra riarsa dal sole
o inzuppata dalla pioggia; e da tante altre cose, mescolate fino a disperdere
i loro singoli odori per fonderli tutti in uno, nel quale sembrava di riconoscere
quello stesso della natura,
Generalmente le strade
dei paesi sono strette e io, a Roma, avevo sentito dire più volte che quelle del mio lo erano in
modo particolare, ma anguste fino a quel punto non l'avrei mai supposto; bastava un uomo di media
statura, posto al centro a braccia larghe e nemmeno troppo stese, a toccare
coi polpastrelli
le case dell'uno e dell'altro lato.
Eppure, arrivando,
vidi, per fortunata combinazione, le due vie principali: il Corso e quella della Timpa, chiamata così
perché, dopo una salita che toglieva il respiro tanto era ripida, si arrivava, superata una curva
stretta da passarci attaccando i gomiti ai fianchi, in cima alla collina su cui
sorgeva il
paese, ed essendo questa tronca sul dietro, la strada terminava con un
burrone, ove, a finir dentro, non si sarebbero ritrovate neppure le ossa, tanto cadeva a precipizio
sulla strada sottostante.
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