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martedì 10 giugno 2014

§ 091 100614 Zavarroni, Pulicicchio, Leoni, Croce; ...anche Cristo! 'Sti calabresi...

Premessa 'successiva': mi rendo conto che questa esposizione di brani vari ha il sapore di una accozzaglia di elementi diversi e forse poco congruenti... pazienza. Ero partito con l'idea di presentare l'opera di Zavarroni e i cirotani in essa annoverati, ma poi mi sono lasciato andare a qualche divagazione... e mi sa che a questo punto dovrò continuare con le considerazioni illuminanti di Augusto Placanica. 
Ci penserò...

Frontespizio della 'Biblioteca Calabra, ovvero degli uomini illustri di Calabria', di Angelo Zavarroni (1705-1767), in pratica un repertorio, elenco, almanacco, di calabresi illustri non solo nelle lettere, come sembrerebbe dal sottotitolo, ma meritevoli in genere di menzione per l'opera da loro svolta; questa antica 'biblioteca' è utile per attingere notizie difficilmente reperibili altrove, ed è spesso citata quando si parla delle vicende del sapere calabro. L'opera, in latino, è dedicata a Jacobum Salutium, cioè Saluzzo, signore di Corigliano Calabro. Dice di questo nostro 'critico', nel VI tomo delle 'Vicende della coltura nelle Due Sicilie', Napoli 1811, Pietro Napoli Signorelli: 'dobbiamo ad Angelo Zavarroni, nato in Montalto nel 1705 ed ivi morto nel 1767, la Biblioteca Calabra sive Illustriorum virorum Calabriae, qui literis claruerunt Elenchus' uscita in Napoli nel 1753, opera pregevole sebbene tratto tratto l'autore sulle tracce del Barrio vi inserisce alcuni scrittori tolti a' Siciliani ed anche a' Lucani. Angelo Zavarroni insieme con Antonio Zavarroni vescovo di Tricarico sostenne che la patria di S. Tommaso d'Aquino fosse stata Belcastro in Calabria, là dove il Pratilli stimò essere stata Roccasecca nella Campagna felice. Difese ancora il Zavarroni i compatrioti dalle imputazioni dell'autore anonimo delle dissertazioni 'de tortoribus Christi' nel libro pubblicato in Venezia nel 1738 intitolato 'Epistolae apologeticae criticae. ec.'. 
La 'difesa' dello Zavarroni non nasceva da una querelle di poco conto: qualcuno voleva far passare per calabresi anche i 'tortores Christi', carnefici di Cristo, cosa che all'epoca doveva avere un notevole impatto sull'immaginario popolare. Se aggiungiamo anche Maramaldo, e che so io... magari un Marco Tullio Catizone, non rimane che rendersi conto che il razzismo ha radici profonde e che vengono da lontano, e che non si tratta di essere solo, in ordine crescente di disprezzo, meridionali, terroni, calabresi. Ma questo vorrei dirlo con la massima serenità, sapendo che si tratta, purtroppo, di sciocchezze pericolosissime.
A rappresentare il Cirò, troviamo in questo 'elenchus' almeno un paio di viri cirenses:
 

Torniamo allo Zavarroni e al 'de tortoribus Christi', e vediamo cosa dice Gaetano Melzi nel suo 'Dizionario di opere anonime e pseudonime di scrittori italiani o come che sia aventi relazione all'Italia', Milano 1848:




Ecco la 'voce' della 'Biblioteca calabra' alla quale fa riferimento il Melzi, e dove lo Zavarroni afferma essere lo zio Giordano Pulicicchio l'autore del 'de tortoribus Christi':




Ma scaviamo ancora un po' nella vita dello Zavarroni, andando a leggere dalla 'Biografia universale antica e moderna ossia Storia per alfabeto della vita pubblica e privata..., Volume 65', Venezia 1831:


 

E Nicola Leoni, 'Della Magna Grecia e delle tre Calabrie, ricerche...' 1844:

 
Insomma... ''La Calabria  fu sempre bersaglio di satira mordace'', dice Benedetto Croce, ricordando, oltre ai giudizi taglienti di Alfonso d'Aragona e di Enea Silvio Piccolomini, una ''bizzarra accusa storica: che i Bruzii, per essersi alleati con Annibale contro i Romani, fossero stati condannati a prestar servizi di schiavi, e perciò anche di carnefici, ai magistrati romani nelle provincie, e che, di conseguenza, calabresi fossero stati i carnefici di Cristo'' (B. Croce, Saggi sulla letteratura italiana del Seicento).

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