sommario dei post

domenica 3 luglio 2022

§ 359 030722 Gio:Battista di Nola Molisi, Cronica dell'antichissima, e nobilissima città di Crotone; IV, cap. XI-XII.

 

    Quarta puntata.

Capo delle Colonne detto anco Nao, detto Promontorio Lacinio,

et più anticamente chiamato stortingo.

CAPITOLO XI: 67

   Questo Capo delle Colonne, che hora diciamo, fù primieramente detto Promontorium stortingum, come dice Isacio Interprete di Licofrone, e sta detto di sopra, e che poi fu detto Lacinio da Lacinio Corcirio Socero di Crotone, e l'Interprete di Teocrito dice così detto da Lacinio, che diede la sua figlia Laura per moglie à Crotone: Plinio, Pomponio, Mela, Tolomeo, e altri, Lacinio lo chiamorno, Diodoro nel 13. lib. dell'historie, e Appiano Alessandrino nel quinto, e Servio dichiarando quelle parole del 3. lib. di Virgilio, Attollit se Diva Lacinia contra, affermano che fù detto Lacinio da Lacinio Rè, il quale dal suo nome diede il nome al Promontorio, e al Tempio della Dea Giunone Lacinia, che vi edificò: ancorche Isacio dice, che i Crotoniati fecero quel Tempio dedicandolo alla Dea Theti Giunone per li molti benefici ricevuti; altri dicono, che Ercole havesse edificato questo Tempio, e postole il nome di Lacinio, come frà l'altri dice il Boccaccio lib. 13 della Genealogia degli Dei parlando di Ercole, e se n'è ragionato altrove.

   Tito Livio parlando di questo Tempio nel 14. così dice: Sex millia aberat Urbe (parlando per Crotone) nobile Templum ipsa Urbe erat nobilius, Lacinia Iunonis, Sanctum omnibus circa populis. Lucus ibi frequenti sylva , & proceris abirctis arboribus septus. Lata in medio pascua habuit, ubi omnis generis sacrum Dea pascebatur pecus sine ullo pastore, separatimque egressi cuiusque generis greges nocte remeabant ad stabula; nunquam insidijs ferarum, non fraude violari hominum; magni verò fructus ex eo pecore capti, columnaque inde aurea solida facta, et sacrata est, inclitumque Templum divitijs etiam non tantum sanctitate fuit, ad miracula aliqua affinguntur, plerumque tàm insignibus locis. Fama est aram esse in vestibulo Templi, cuius cinerem nullas unquam moveat ventus. Tutto questo affermano anco Plinio lib. 2. cap. 100. & Valer. Maſſ. nel primo.

   Da queste parole di Livio s'intende, che questo Tempio era sei miglia discosto dalla Città di Crotone, che il Tempio era più nobile dell'istessa Città, venerato molto da tutti li popoli convicini, vi era un bosco folto d'alberi, questo bosco hoggi chiamasi la fossa dello Lupo come sta detto, nel cui mezzo erano pascoli fecondissimi, dove senza pastore pascevano ogni sorte d'animali dedicati alla Dea, e separati di ogni spetie la sua grege uscivano a pascere, e la sera se ne ritornavano nel medesimo bosco, dove giacevano; questi animali da insidie de fiere, ò inganno di mal'huomini non furo danneggiati giamai, e essendosi fatta una gran massa di denari dal frutto di quelli animali, se ne fondò una colonna d'oro massiccia, e consacrata alla Dea, tanto fù inclito, e superbo questo tempio di ricchezze, più che di santità; per li tanti miracoli si affigenano tanti voti; è fama publica, che nel vestibolo del Tempio vi era un'altare, sopra il quale erano certe cenere, quale nessuno vento potè mai movere, come sta detto, con l'auttorità detta di sopra.

   Et Isacio dice, che il Sacerdote sacrificava sopra un picciolo scudo. Strabone afferma, che questo Tempio fù sontuossimo, e ricchissimo. Dionisio Alicarnasio dice, che Enea passando per questi luoghi smontò in Crotone, e andato a visitare il Tempio, le fece dono d'una tazza di bronzo, nella quale si leggeva, come quella era stata data alla Dea da detto Enea, in queste parole tradotte in lingua latina dal Greco:

Aeneas in Templo Iunonis pateram aneam reliquit.

   Girolamo Bardi, e il Doglioni nel Teatro de Prencipi prima parte, volume primo dice che Enea venne in Italia nell'anni del Mondo 2786. Livio nel 28. lib. dice, che Anibale conduttore dell'esercito Cartaginese vi dimorò un'estate, e vi fece erigere un'ara dedicandola al Tempio, e in uina tavola di bronzo vi fece scolpire in lettere Cartaginese, e Greche tutte le guerre, vittorie, e gesti fatti da lui, la quale tavola con dette inscrittio dice haver visto in questo Tempio Polibio nel 3 lib. delle sue historie, e altroue; mà nell'istesso lib. dice detto Livio Anibale havervi fatto anco erigere una colonna, dove si vedeva descritto il numero dell'esercito suo, ancorche Plutarco dice nella vita di Anibale non havervi fatto erigere un'ara, mà uno arco con detta inscrittione.

   Detto Livio nel 14. dice, che Anibale volse riconoscere se quella colonna d'oro, già detta fosse d'oro massiccia, e che perciò la fece perforare, ritrovandola tutta d'oro, se la voleva già portar via; ma l'istessa notte (secondo Celio appresso Marco Tullio nel primo della divinatione) l'apparve la Dea admonendolo molto turbata che non havesse ciò fatto, altrimente l'haverebbe fatto perdere quell'occhio bono, che l'era rimasto, mentre l'altro l'havea perso in Toscana; inteso questo Anibale pentito di quanto haveva fatto, fece fare una bacchetta di quella polvere d'oro, che si era fatta nel pertugiar la colonna, e la fece ponere nella sommità di quella; mà poi detto Anibale, conforme dice Livio nel 39.volendo passare in Africa disperato delle cose d'Italia volevaſi portar seco molti italiani, dico gente di questo paese, quali ricusando, se ne fuggirono in questo Tempio, e egli sdegnato dentro l'istesso Tempio li fece miseramente morire; non essendo stato mai più prima da persona veruna violato.

   Livio istesso dice, che nel sudetto Tempio solevasi ogn'anno fare una solennità chiamata da’ Greci Panegiris; ciò è uniuersale conventione, perche venivano da tutte le parti d'Italia, non solo dalla Magna Grecia, l'huomini & le donne ad honorare la Dea Lacinia, & in una Festa, nella quale conforme al solito erano concorsi infinite migliaia d'huomini, e di donne, vi si mostrò, secondo anco dice Aristotile nel suo lib. delle mirabile Auscultationi, la veste d'Alcistone Sibarita, la quale era lavorata con tanto magisterio, e arteficio, che recò non poca admiratione a chiunque la mirò; fù questa veste comprata da’ cartaginesi cento vinti talenti (quale viene valutata in questa nostra moneta in ducati settanta dui milia, perche ogni talento importava seicento scuti), vendutali da Dionisio, il che afferma anco Nicolao Leonico Thomeo de varia historia lib. primo, cap 88. ella era tutta purpurea di amplitudine di quindeci cubiti lavorata con certi animalucci di Susa dalla parte di sopra & dalla parte di sottodi Persia, nel mezzo si vedeva dipinto, Giove, Giunone, Themi, Minerva, Apolline & Venere, & nelli lati Alcistone dell'una parte, & dall'altra Sibare sua patria, tutta lavorata ad aco, & era anco, secondo Giovanne Tzetze, ornata di bellissime, & ricchissime margarite, e altre pietre pretiose. Testore nella seconda parte della sua officina raggiona di questa veste ancora.

   Quel dottissimo D. Antonio de Ponte, che tanto tempo resse scuola di Grammatica in Crotone in un certo suo scritto à penna, raccontando un suo viaggio, così disse parlando della spiaggia di Italia da questa parte: A Crotoniarum salubri Lacinio quod hodie Naum a mirabili Iunonis templo appellant, vada, enim id sonat noster maritimus cursus vela primum pandat in altum, ubi Populi Romani fulmen Anibal columnas res belli sua ordine continentes erexit, inde in primo Italia cornu Orientem quod, et Divae Mariae caput, & Leuca dicitur attollit se Promontorium Salentinum &c.

   Cicerone nel secondo dell'inventioni dice, che voIendono i Crotonesi fare abellire questo Tempio, e ornarlo di bellissime figure, fecero venire in essa Città Zeusi il più illustre Pittore di quella età, costui pinse bellissime pitture, delle quali una gran parte per inſino à suoi tempi per honor de la Dea si conservavano; & volendo pingere un'imagine di Giunone, studiò per farla una delle più belle, che mai fosse stata, perilche disse à Crotonesi egli in tal quadro voler dipingere il simulacro d'Elena, costoro, come che ben haveano inteso Zeusi nel dipingere un corpo di donna avanzare tutti i Pittori del mondo, diedero orecchie alla grata domanda, giudicando, che se s'havesse preso fatica nel pingere un tal corpo di donna, conforme la sua peritia in questa arte, sarebbe stata poscia questa pittura una cosa mirabile al Religioso, e ben forbito Tempio, nè l'ingannò punto tal pensiero; perche Zeusi li domandò voler vedere le vergini belle della città, eglino subbito senza tardare, lo trassero in una palestra, mostrandoli molti fanciulli di gran leggiadria, & bellezza, li quali visti Zeusi così belli, e di tale corporea dispositione adorni, restò quasi attonito, e stupefatto, confessando in tutto il mondo non possersi trovare, nè lui havere visto giamai tale dispositione di corpi: soggiunsero i Crotonesi, che le sorelle di quelli fanciulli erano à loro simili: perilche Zeusi le domandò queste verginelle; acciò nel dipingere s'havesse servito della loro sembianza, à proportione, i Crotonesi subito ridussero in uno luoco quelle Vergine, dando potesta al Pittore, che sciegliesse di quelle quali esso voleva: n'elesse cinque delle cui nomi molti Poeti ne fanno mentione, come dice Cicerone, esistimando Zeusi, che in uno sol corpo, non posseano stare tutte insieme quelle dispositioni, che si ricercano per formare una perfetta bellezza in un simolacro.

   Le parole di detto Marco Tullio Cicerone nel detto secondo lib. dell'Inventioni sono queste, così poste in latino per maggior sodisfattione de’ curiosi Lettori: Crotoniata quondam cùm florerent omnibus copijs, et in Italia cùm in primis beati numerarentur, Templum lunonis, quod religiosissime colebant egregis picturis, locupletare voluerunt; Itaque Eracleotem Zeusim, qui tum longe caeteris excellere pictoribus existimabatur magno pretio conductum adhibuerunt is, et caeteras tabulas complares pinxit, quarum nonnulla pars usque ad nostran memoriam propter sani religionem remansit; & ut excellentem muliebris forma pulcritudinem muta in sese imago contineat, Helenae se pingere simulacrum velle dixit; quod Crotoniata, qui eum muliebri in corpore pingendo plurimum alijs praestare saepe accepissent, libenter audierunt. Putaverunt.n. eum, si quo in genere plurimum posset, in eo magnoperè elaborasset, egregiam sibi opus illo in sano relicturum, neque tamen cosilla opinio sesellit: nam Zeusis illicò quaesivit ab eis, quas nam virgines formosas haberent, illi autem statim hominem duxerunt in palestram, atque ei pueros ostenderunt multos magna praeditos dignitate. Etenim quodam tempore Crotoniate multum omnibus, corporum viribus; & dignitatibus antesteterunt, atque honestissimas, et gymnico certamine victorias domum cum maxima laude retulerunt, &c. per il resto rimetto il curioso Lettore al detto lib. di Cicerone.

   Plinio nel 35. delle ſue historie naturali dice, che a Zeusi fece questa pittura alli Agrigentini in Sicilia, e questo forse per errore di stampa, la quale pittura così ben proportionata, e perfettionata Zeusi non aspettò, come dice Valer. Massimo nel capitolo settimo del terzo lib. il giuditio, che di tal'opra l'huomini far dovessero; mà subito vi scrisse di man propria alcuni versi greci d'Homero, li quali secondo la translatione d'Oliverio Arziganese sonano in latino:

Haud turpe est frons, fulgenteque aere pelasgos

Coniuge pro tali diuturnos ferre laboris

Aeternis facies nimis est aequanda Deabus.

   Perilche si vede chiaramente Zeusi tanto havere attribuito alla sua destra, e tenuto per fermo egli con quella pittura haver compreso ciò che la detta figliola di Tindaro, e madre d'Elena ingravidata da Giove havesse partorito, & ciò che potè mai esprimere Homero col suo acuto ingegno, e Ludovico Ariosto Poeta eccellentissimo al nostro proposito, raggionando delle bellezze di Olimpia nel suo vindecimo canto così và dicendo:

E si fosse costei stata à Crotone,

Quando Zeusi l'imagine far volse,

Che por dovea nel Tempio di Giunone,

E tante belle nude insieme accolse,

E che per una farne in perfettione,

Da ch'una parte, e da ch'un'altra tolse

Non dovevasi torre altra, che costei,

Che tutte le bellezze erano in lei.

Et Lodovico Dolce nel Tempio della Signora Donna Geronima Colonna così disse:

Zeusi già per formare una figura,

In cui locasse ogn'eccellenza d'arte,

Da cinque belle con estrema cura

Tolse sciegliendo la più bella parte;

Onde tal poscia fù la sua pittura,

Che l'honorano ancor tutte le carte;

Perche in un corpo, veder non potea

De la vera beltà la propria Dea.

  Licofrone nella sua Cassandra dice in questo Tempio essere venuto Menelao, & Achille, & altri Greci, & Troiani ancora ad offerire alla Dea pretiosissimi doni, così dicendo in latino il suo Interprete tradotto dal Greco:

Venietgue ad Syrim, et Lacinij recessus

In quibus inventa ortum parabit Dea

Hoploſomia plantis ornatum

Mulieribus vero lex incolis semper

Lugere noctem cubitorum Aeaci tertium,

Et doridis flammam miserae pugnae,

Et neque auro pulchra armare membra,

Neque tenuissimo filo contexta inducere Pepla

Purpura variegata quanto Dea Deus

Terra magnum stortingum donauta condere.

   In questo Tempio scrive Livio nel 23. havervi sbarcato Senofane con altri legati da Filippo Rè di Macedonia mandati ad Anibale, il quale caminando per la Puglia verso Capua, capitò nel mezzo delli presidij Romani, e fù menato à Marco Valerio Pretore, che all'hora stava accampato a Nocera; mà egli sottofintione d'essere mandato da Filippo à trattar pace co’ Romani, hebbe luoco di passare nel campo d'Anibale, con il quale concluse la pace, e la lega, e poi tornaro nel detto Tempio, dove havea lasciato la nave con detti suoi compagni s'imbarcò, e soggiunge detto Autore, che non solamente si vedeva ornato detto Tempio di tante eccessive ricchezze, ma vedeasi rilucer gran reverenza, & osservanza da’ servitori & persone che lo servivano essendo tutti legali, e fedeli senza fraudarle cosa veruna.

  In questo Tempio violato da Quinto Fulvio, come si legge appresso Livio nel quarantesimo secondo, dove racconta, che havendo fatto voto detto Quinto Fulvio Flacco Censore Romano in Spagna nella guerra Celtiberica di edificar alla Fortuna Equestre un Tempio, usò ogni studio di farlo il più magnifico, & pomposo Tempio, che in Roma fosse giamai veduto. Quindi, giudicando esser di non poco ornamento alla fabrica di quello se le tegole fossero state marmoree, havendo visto quelle in questo Tempio, lo fè scoprire per la metà, giudicando quella parte bastare per coprire il suo (tanto era grande questo Tempio) & carricate le navi, tosto nel destinato luoco furono le tegole conforme l'ordine del Censore portate nel tempio, ch'egli edificava, & quantunque facesse ciò con ogni secretezza possibile, subito nulladimeno se ne sparse la fama per tutto Roma, talche nacque in Corte un romore, che d'ogni parte si sentivano voci, che li Consoli ciò dovessero al Senato proponere; erano Consoli Lucio Postremio Albino, & Mario Papilio Lenate; onde per tal causa chiamato il Censore, & venuto dentro al Senato fù da tutti molto aspramente di tal cosa commessa biasimato, ributtandole in faccia che fosse parso poco haver violato il più religioso, devoto & il più gran Tempio di tutta Italia, & che nè Pirro, nè Anibale odiosi, & inimici del nome Italiano l'havevano voluto violare per la riverenza, che portavano alla Dea Giunone, il che per cosa di poco momento reputata sarebbe, s'egli non l'havesse, così obbrobriosamente senza risguardo alcuno, quasi rovinato, non che discoperto; posciache di forte rimaneva spogliato del Pinnacolo, che restava ad esser tutto infracidito, & guasto per le pioggie, & le tempeste, dicendoli ancora, che l'officio del Censore a questo fine da’ loro maggiori era stato instituito, acciò havesse constretto altri à far racconciare i tetti dell'edifici sacri, e quelli accuratamente mantenesse, e non che andasse per le Città loro confederate, rovinando i Tempij, & denudando quelli; il che quando, pur nelli privati edifici dei confederati si facesse, sarebbe degno di riprensione, supplicio, quanto maggiormente nelli Dei immortali, obligando il Popolo Romano à così grave peccato edificando Tempij con rovinar altri Tempij, come che li Dei immortali non fossero per tutto; ma alcuni si dovessero honorare con le spoglie dell'altri dell'inimici, & fatta questa reprensione ordinorno, che sottoformidabile pene le tegole si riportassero, e riponessero nel Tempio al luogo loro con fare a Giunone sacrifici per purgare così fatta sceleraggine, e dopò non molto tempo riferirno i conduttori, à quali era stato il carico di riportarle al detto Promontorio Lacinio, le dette tegole haverle lasciato nella piazza del Tempio, per non haversi possuto ritrovare artefice, ch'avesse possuto ritrovar il modo di riponerle al luogo loro. Soggiunge detto Livio, che detto Quinto Fulvio Flacco la pena di tal sacrilegio pagò molto miseramente, perciò che di due suoi figli, li quali erano per all'hora stipendiarij nell'Illirico, gli fu riferito, uno essersi passato dal campo, e l'altro di grave, & pericolosa infermità ritrovarsi aggravato, le quali cattive novelle subito ch'egli l’intese di pianto, & di timore grandissimo assalito, fù tale, che, entrati i suoi seruitori la mattina, conforme al solito, nella camera, ritrovorno quello pendere per un laccio al collo, così infelicemente terminando la sua vita; benche era fama, che deposto dell'officio di Censore divenne pazzo, lo che publicamente si diceva esserli avvenuto per ira, & sdegno della detta Dea Giunone Lacinia; il tutto racconta detto Livio, & anco Valer. Maſſ. nel secondo cap. del primo libro.

  Fù anco detto Tempio esposto in preda da Sess. Pompeo il Giovane ad Antonino quando fù posto in fuga, come si racconta in Appiano Alessandrino nel quinto lib. delle guerre civili; questo sarà stato intorno all'anni del Mondo 3982. conforme il computo degl'anni di Girolamo Bardi nelle sue età del Mondo.

 

Quanto era grande il Territorio di questa Città, con le Città, & Terre, che stavano sottoil suo diretto dominio.

CAPITOLO XII: 77       

   Habbiamo descritto la grandezza della Città, il Castello, il Porto, la sua Piazza, li Tempij, le statue, le Fontane, li Fiumi, li Torrenti, l'Acque, li Monti, le Valle, li Giardini, li Boschi, & quanto dentro, & suora le mura della Città trovavasi: adesso habbiamo à trattare quanto stendeua il suo Territorio, dominio, & potesta con le Città, Terre, Fiumi, Valle, Monti, & altro di bene, che questi luochi producano, & ne' tempi antichi erano apparenti.

   In quanto alla grandezza del territorio, hò letto in Tucidide nel settimo libro, che l'essercito Atheniese , quando stava sottoil governo di Demostene, & Eurimedonte, havendoſi accoppiato amicitia con quelli della Republica Turina, finita ch'ebbe l'espeditione, per non aggravare con la moltitudine de’ soldati a essi Turini,volle trapassare nel territorio Crotonese, & gionto, che fù con li soldati nel fiume Ilia, hoggi detto Trionte, non permisero Crotonesi, che passassero oltre il fiume, non volendo in modo alcuno concederli luogo nel territorio loro, perloche habbiamo, ch'el fiume Ilia era termine antico del territorio Crotonese, quale fiume Ilia, seu Trionte, conforme si chiama hoggi, è nella parte Orientale di Calabria, già detta Magna Grecia; l'altro termine Occidentale del territorio Crotonese era anticamente, conforme al detto di Plinio, e di Solino, la Città Terina, hoggi detta Nucera di Castiglione, dall'istessi Crotonesi fabricata in una pianura vicino un Castello maritimo, detto Castiglione, dal quale prende il nome, ma perche più oltre della detta città Terina si vede un'altra Città destrutta dall'istessi Crotonesi, chiamata Cleta, qual'hoggi dopò la sua riedificatione è detta Petra Mala, perciò inſino, e per tutto detta Città si stendeva questo territorio.

   E volendo incominciare il camino dal detto fiume Trionte, inſino à detta Terra di Pietra Mala, si ritrova Crisia, falsamente da’ Paesani detta Crosia, penultima prodotta, poi siegue Calopizzati, Caliviti Abbadia, la quale già possedeva l'Abbate D. Giacomo Vezza, Dottore dell'una, e l'altra Legge, Gentil'huomo di detta Città di Crotone, persona molto dotta, e di molta auttorità, ma nel 1646. la diede à pensione all'Abbate Gio: Pietro Suriano, anco Gentil'huomo di essa Città di Crotone. Bocchigliero, Campana anticamente detta Calaserna; & in queste parti si fa la Manna, della quale se ne farà particolare mentione; poi siegue, alla Marina la Città di Cariati del Sign.Prencipe della Casa Spinelli; verso la Montagna è la Terra detta la Scala; appresso viene Crucoli Terra della Famiglia degli Amalfitani, Gentil'huomini della Città di Crotone, delli quali viveno hoggi Diego Francesco il Barone, e Domenico suo fratello; poi siegue il Promontorio Chrimissa, al presente detto dell'Alice; e verso terra sopra un monte si vede la Terra Psicrò, hoggi Cirò, del Sign. Prencipe di Tarsia, con titolo di Marchese, anticamente chiamata Paterno, più sopra la Montagna siede la Città di Umbriatico, adornata del suo Vescovo, anticamente detta Bistaccia, & è Patria di quei due fratelli nominati Aloisio, & Antonio Giglio, valenti Medici, & Astrologi, li quali nel tempo di Gregorio XIII. riformarono l'anno, correndo quello del Signore 1581. come se ne ragionerà a suo luoco. Si vede poco discosto Verzine, seu Vergine, dove sono le minere d'argento, vi è il zolfo, l'alume, il vitriolo, l'alabastro bianco, e negro, la minera del ferro, la terra Samia, che noi diciamo terra di Tripoli, con la quale si poliscono le gemme pretiose; vi sono anco le Saline terrestri, quali rendono alla Regia Corte molte migliaia di docati l'anno; vi nascono molte herbe, e semplici bellissimi. Presso questa è la Città detta anticamente Pumento, hora, Cerenthia, di dove fu Vescovo il Beato Bernardo, che al presente questo Vescovato và congiunto con quello di Cariati & è compresa, come habbiamo detto, in questo territorio, la cui Chiesa Gregorio Magno Pontefice nel libr. 5. scrivendo à Bonifacio Arcivescovo di Reggio, aggregò al suo Ovile, e governo, non parendoli bene mandarci Vescovo, per la poca gente, che all'hora vi si ritrovava, come lo riferisce il Doglioni nel suo Teatro de' Prencipi, che detto Pontefice fa nell'anno 590. & il Politi l'apporta nella sua Cronica di Reggio libro 2. fol. 82.

  Più sopra alla falda della Sila si vede S. Giovanni de Fiore, dove sono venerate grandissime reliquie, lasciatevi dal Beato Giovanni Gioacchino, appare Cacure, da dove vengono li dignissimi Dottori Francesco, e Giovanni Simonetta, appresso Casabuona, di dove era Marchese Scipione Pisciotta, Gentil'huomo di Crotone, siegue Cinga Castello forte, che fù della Famiglia Malatacca, poi di Pipino, appresso di Lucifero, & ultimamente degli Amalfetani Gentil'huomini Crotonesi, e Belvedere, Malapezza, e Montespinello anco de' Luciferi, Melissa viene appresso, e la Città di strongoli, anticamente detta Petilia, dove è il Tempio di Filottete, e molti antichi scritti in marmo si trovano, anco molti edificij diruti vi appareno. Il Sign. D. Francesco Campitello è Prencipe di strongoli, e Conte di Melissa, Fameglia de' Gentil'huomini Crotonesi, dove ancora alcuni poderi tengono il nome di Campitella. In questa Città di strongoli si conservano due marmi, quali hò visto lo; dove sono inscritte queste lettere: M. Megonio M. / F. M. N. M. Pron. Cor. Leoni,/ Ac. IV. Vir. Leg. Cor. Q.P.P.IV. Vir./ Decuriones Augustales, Populusque ex/ aere conlato obmerita eius.

E nell'altro: M. Megonio M./ F. Cor.Leoni Aed. IV. Vir. Leg./ Cor. Quaest. Pec P. Patrono Municipi/ Augustales ob merita eius L.D.D.D.

  Volendo dire, che li Petelini havevano fatto statue à Marco Megonio Municipi, alli quali per decreto fù dato il luogo delli Decurioni. questa Città fù edificata da Filottete, conforme riferisce Strabone, e Solino; fù poi fortificara da’ Sanniti; Livio descrivendo la seconda guerra de' cartaginesi, loda quella della grandissima fede, che servò à Romani, quando erano stati rotti à Canne da Annibale, dal quale fù assediata, e  combattuta molto tempo; & alla fine non havendo possuto havere aiuto, si brugiarono da se stessi: & Annibale, non li Petelini soggiogò, mà il loro sepolcro nel fine della guerra acquistò. Val. Mass. nel libr. 6 capit. 6. de Petelinis. Itaque Anibali non Peteliam, sed fidei Petelinae sepulchrum capere contigit. Dimostra Strabone, che ella fosse ben popolata ne' suoi tempi, ma hora è molto picciola: ancorche altri dicano, che Petelia sia Belcastro, & altri Policastro. Sia come si voglia, mi rimetto al curioso Lettore, che potria essere havesse letto più di me. Ma io dico, che fosse strongoli, essendovi stato personalmente, e riconosciuto il tutto, necessa-riamente la chiamo Petelia. Vi sono anco in queste parti tre Casali di Albanesi, l'uno detto Scarfizzi, Santo Nicola l'altro, & il terzo Palagoria, la Rocca di Neto più à basso vicino il fiume Neto, che è Baronia della famiglia de' Protospatari Gentil'huomini di Crotone, del qual fiume perche se n'è pienamente ragionato di sopra, non occorre dirne altro.

   E queste sono le Terre situate attorno detta città dalla parte di Tramontana nella marina, e dalla parte di Ponente nella montagna seguendo appresso l'altre Terre similmente nella montagna, e dalla parte di mezzo dì nella marina, tutte nel territorio di Crotone.

   Habbiamo descritto la metà del Territorio, e giurisdittione che teneva anticamente Crotone, dico per la parte, che hoggi si dice Calabria Citra, adesso ragionaremo dell'altra parte che sta al presente in Calabria Ultra; & seguendo Strabone nel 6. diremo, che dalla retroscritta Terra, detta Pietra Mala, sita nella marina di Ponente, tirando per dirittura nel fiume verso Levante detto Cecino, stendeva il Territorio di Crotone, dopò si restrinse ſino al fiume Crotalo, il quale divideva i termini frà Crotone, e Locri; e Squillace era dentro il Territorio di Crotone; ancorche l'istesso Strabone altrove dica, che dopò Squillace veniva il Territorio di Crotone: mà Dionisio Tiranno de Sicilia tolse detto Squillace a’ Crotonesi, e la concesse a’ Locreſi. Così sta riferito dal Barreo, che fa la descrittione di Calabria, della quale ci serviremo in questo scritto per detta materia, dicendo così nel lib. quarto.

   Dopò Crotalo fiume viene Catanzaro Città Nobile con molti Casali, sita trà il detto Crotalo hoggi nominato Corace, & Alli, ambidue fiumi, fù edificata la Città da Fagitio,procuratore dell'Imperatore Niceforo in Italia, edificandovi anco una Chiesa in honore di S. Michele Archangelo, la quale Chiesa dall'Arcivescovo di Reggio fù consecrata; vi sono anco li telari d'ogni sorte di drappo di seta con privileggi amplissimi, delli Rè di questo Regno. Hoggi vi risiede la Regia Audientia di Calabria Ultra, per lo che è molto accresciuta la Città di ricchezze, di Popolo, e di Nobiltà.

Nella Chiesa Vescovale è il corpo di S. Vitaliano, & il braccio di santo Teodoro: morì ultimamente Gio. Giacomo Pavisi di questa Città, il quale scrisse sopra la prima Filosofia, e sopra il libro de Anima di Aristotele, & altre opere molto degne. Vescovo di quella è Monsign. Levadisio, nativo dell'istessa Città, persona di vita molto esemplare, & è stato Vescovo della Città di Bova. Appresso viene la Città di Taverna verso la montagna detta la Sila; per mezzo di questa passa il già nominato fiume Alli, detto da’ Latini Allium. In questa Città detta Trischines, nobile, e popolosa, cinta di Muri, e Torri; con tutto ciò havendo patito assedio da' Cretesi, da' Mori, e da' cartaginesi più volte, alla fine per insidie fù espugnata; vi fu la Sede Vescovale antichissima, la quale tenne Lucio detto Trium Tabernarum Episcopus, il quale intervenne nel Sinodo Romano, sottoHilario Papa, e Decio Vescovo di Taverna intervenne nel Sinodo Romano sottoFelice Papa, ma dopò che fù rovinata, e destrutta, Gregorio Papa raccomandò detta Chiesa à Giovanni Arcivescovo di Reggio, come si legge nel Codice Vaticano; hoggi è suffraganea del Vescovo di Catanzaro. Fù questa Città detta Trischines, cioè Tres Tabernae, overo Tria Tabernacula, perche essendo ivi tre Chiese principali, il Vescovo della Città costumava celebrare nelle Feste principali in ciascheduna di quelle alternatim: dopò detta ruina Niceforo Imperatore di Costantinopoli mandò Gorgolano in Calabria, ad effetto di rifare le Città distrutte per l'invasioni di tante Nationi straniere, che tutta Italia, non solo Calabria, destrussero, conforme rifece molte nell'istessi luochi, dov'erano; mà questa Trischines, & altre Terre in altri luochi convicini rifece, e stefano Arcivescovo di Reggio consacrò questa nova Chiesa di Taverna, e dopò che morì il Vescovo Nicola, li Tavernesi elessero per loro Vescovo Marino. Nella Chiesa de' Padri Minori è il corpo del Beato Matteo di Mesuraca, che fu di santa vita, e se ne leggono molti miracoli. sono li Tabernesi amici degli huomini Letterati, perciò riescono in ogni scienza molti Valent'huomini, tiene buone acque e buoni frutti; tiene molti Casali, cioè li Nuci, Maranisi, Sabuco, Fossato, Pentone, S. Giovanni, S. Pietro, Albi, Dardanisi, Magisano, Vincolisi, & altri: sopra la montagna è l'Abbadia detta de Altilia dell'Ordine di S. Baſilio, dove sono queste reliquie: una costa di S. Lorenzo Martire, un pezzo di osso di S. Basilio, di S. Senatore, e Cassatore, e Dominatore, di S. Pancratio, di S. Sebastiano, di S. Trifone, e di molti altri Santi.

   Appresso viene un Castello detto la Sellia, luoco picciolo, mà molto forte di sito, e di fabrica, posto in luoco sublime, dove vi sono pietre di oro, e d'argento ammassate con terra, di maniera che nel tempo di Filippo II. furono mandate persone prattiche per ridurre quelle pietre in oro puro, e in puro argento; ma per essere li boschi lontani, era tanta la spesa, per condurre le legna, che non trovandoci utile, lasciarono l'impresa; appresso viene Zagarisi terra picciola, ma dotata d'ogni cosa necessaria al vitto humano, piacevole, e dilettosa, appresso il Casalnuovo detto Sersale, dalla casata del Barone della Sellia, che è detta Sersale, che se ne ragionerà appresso; dopò più basso verso mare è Simmari, in questi territorij si fanno li risi, si coglie la manna, la spina pontica, reupontico, lapis phrigius, & altri semplici: dopò siegue Cropano, il quale essendo alla falda della montagna, soprasta à bellissimi territorij, che si stendono fino al mare, dov'è una fortissima Torre della Regia Corte per defensione di quelle marine, e Terre convicine; dopò è la Città di Belcastro Sede Vescovale, altri la chiamarono Crimissa, edificata da Filottete, come dice Strabone, quando parla di Petelia, così dicendo: Circa loca ipsa Philottetas, & vetustam condidit Crimissam. Apollodoro dice: Ut Philottetas ad Crotoniatum agrum profectus promontorium Crimissam habitari fecerit; perche Filottete nel Territorio di Crotone edificò molte Terre. In questa Città di Belcastro sono acque bellissime, e ogni delitia; perche sta nella falda della montagna superiore alla vista del mare, e poco lungi dalla Sila; dunque e nell'una, e l'altra parte può ciascheduno sollazzarsi à suo modo, vi si coglie la Manna, e abbonda questa Città d'ogni cosa, che serve al vitto humano.

   In questa Città fu nodrito S. Tomaso d'Aquino Dottor Angelico dell'Ordine de' Padri Predicatori; il padre si chiamò Landolfo, la madre Teodora, suo padre fù Conte d'Aquino, di Belcastro, e di Loreto, che anticamente erano de Frangipanis, dopò presero la casata dal nome della Terra d'Aquino, che possedevano, della qual famiglia fù S. Gregorio Papa, conforme si lege in una Cronica antica, che si conserva nel Convento de' SS. Gio. e Paolo in Venetia, e per testimonianza di ciò si porta, che nel Castello di detta Città di Belcastro vi è una pittura antichissima, dove si vede S. Tomaso fanciullo, che mostra al padre il seno aperto pieno di rose fresche in tempo d'horrido inverno: perilche si vede, e conosce, che in questo Castello fù fatto quel miracolo, quando per la gran povertà, e carestia, che era in quel tempo, S. Tomaso di nascosto del padre rubbava il pane, e dava quello a poveri; una delle volte il padre, che vidde il suo seno pieno, gli domandò, che portava e il fanciullo per il gran timore, e riverenza, che portava al padre, dubitando non havesse à disgusto, che lui rubbava il pane per darlo a’ poveri, scusandosi, disse che portava rose & aperto il seno, in vece di pane ritrovaronsi rose, il quale miracolo fù inditio della sua santità. Morì questo Santo nel Monasterio di Fossanova territorio della Città di Terracina nell'anno del Signore MCCLXXIV. mentre andava al Concilio di Leone di Francia, chiamato ivi da Gregorio Decimo.

   Nacque nella Città di Crotone, e questo lo testifica egli stesso, quando nel primo della Meteor. d'Aristotele scrisse, che Pittagora Filosofo Crotonese fu suo conterraneo, e non bisogna testimonianza maggiore, del proprio suo detto; & il Marafiotti fol. 503. apporta che S. Tomaso fù di Crotone. questa Città di Belcastro hà il Casale Andali, seu Villa Ragona. Di questa Città è Duca il Sign. D. Oratio Sersale, come si dirà.

   Il Beato Abbate Giovanni Gioachimo nelli Commentarij sopra Isaia rassomeglia il paese di Calabria à Nazareth Città di Galilea, dove fù salutata la Vergine Maria dall'Arcangelo Gabriele, e dice, che si come in Nazareth fu mandato da Dio l'Angiolo à Maria, così in Calabria dovea da Dio essere mandato Dottore Angelico, per le quali parole appare, che profetizzò, che in Calabria dovea nascere S. Tomaso d'Aquino, chiamato il Dottor Angelico; l'apporta il Marafioti libr. 5. fol. 488.

    Appresso si trova Mesuraca, ò vero Mesurga, anticamente detto Reatio, dalli Enotrij, per il nome del fiume detto Reatio, che vi passa per mezzo, conforme al detto di stefano, tiene due Casali, l'uno detto Rietta, e l'altro Marcedusa, di questa Terra fù il Beato Matteo Vidio, Monaco dell'Ordine de' Minori, il cui corpo è in Taverna, come si è detto. Questi di Mesuraca nell'anno 1517. ammazzorno il loro padrone, ch'era di casa Caracciolo, con tutta la sua fameglia; tutto questo successe, perche quello li maltrattava nell'honore e nella robba senza discrettione, conforme si legge, che fecero li Locresi contro Dionisio Siracusano, e sua famiglia.

    Policastro nella falda anco della Sila fortissima Città di sito, quale alcuni chiamarono Petelia; altri dicono, che strongoli, come si è detto, sia Petelia, sia come si voglia.

   In questa Città di Policastro nella Chiesa de’ Zoccolanti riformati è vina spina della Corona di N. S. Giesù Christo, che perciò S. Maria della Spina viene questa Chiesa nominata; dove ogni anno della metà di Agosto per detta devotione tutte le convicine Terre concorreno.

   In questo Territorio si fà la zaffarana, la manna, e vi sono marmori, vi si fanno tavole, travi, e ogni sorte di legname per case, per vascelli, per galere, e per ogni altro uso.

   In questa città si scrive cancellaresco communemente, e si parla Toscano, nè si sà scrivere nè parlare d'altra maniera indifferentemente da tutti, perciò pare, che Dio habbia voluto così, che ritrovandoſi il Rè Filippo IV. debitore al Gran Duca di Toscana in certa quantità di denari, le diede detta città in sodisfattione.

   Più sopra è una Terra detta li Crotonei, che deriva da Crotone, perche li Crotonesi l'edificarono.

   Hora è tempo di dire, che fin'hora si è trattato di molteTerre, le quali sono del Sign. D. Horatio Sersale; il quale è Duca della Città di Belcastro e Signore della Sellia, di Zagarisi, del Casale nuovo detto Sersale, e delli Crotonei ultimi, come sopra descritti. questo è Cavaliero Napolitano del Seggio di Nido: più à basso è il fiume Tacina, del quale fà mentione Plinio nominandolo Targines, e dopò è la Rocca Bernarda.

   Appresso viene la Città di S. Severina, in greco ΣIBEPHNH, lungi dal mare di Crotone dieci miglia, fortissima di sito, per essere una Rocca come una pigna di pietra fortissima, dove si saglie per stretti sentieri, e nella sommità è un Castello intagliato dentro l'istessa pietra, con fosso, e contrafosso, con due ritirate, conſorme il Castello Nuovo di Napoli, che la rende fortezza inespugnabile. Fù edificata dagli Enotrij, li quali cresciuti in gran quantità nella Città di Crotone, dove incominciaro ad habitare, portati da Noè, il quale da’ Greci fù detto Enos, che in loro lingua vuol dir vino, perche Noè fù inventore del vino, e da detto Enos derivato il nome, furno detti Enotrij i popoli, che lui portò ad habitare in quel luoco, che poi con il tempo dal nome di quell'huomo detto Crotone, fu detta Crotone la Città, che ivi Ercole ordinò si edificasse da Miscello, conforme disse Dionisio Alicarnasseo libr. I. Strabone, Diodoro Siculo nel 5. Antioco, e altri, che questi Enotrij quivi habitassero cinquecento sessantasette anni prima la guerra Troiana, e per l'autorità apportate dal Marafiotti nella sua Cronica di Calabria, si dice, che dalla destruttione di Troia inſino al principio dell'edificatione di Roma corsero quattrocento trentatre anni, il che anco ritrovo in Solino, dall'edificatione di Roma fino alla Natività di Christo N. Signore corsero anni settecento cinquant'uno, di maniera che prima la Nativita di Christo N. S. uniti detti anni sono 1751. e tanti anni erano passati prima della Natività di N. Sign. che fù edificata questa Città di Santa Severina, e non anni 1250. conforme disse stefano; due sorte di monete ritrovo in quel nobil scritto delle medaglie del Dottor Prospero Parisi, che, faceva questa Città; nell'una da una parte è la testa di Pallade armata, e dall'altra la nottola, ucello di notte, appropriato alla detta Dea, dove sta ſcritto ΣIBEPHNH: nell'altra moneta era la testa di Diana coronata d'alloro con la faretra al collo, e dall'altra parte una cerva, animale appropriato à detta Dea, dove anco sta scritto ΣIBEPHNH.

   E hoggi Città Metropoli insignita dell'honore di Arcivescovato, di dove è hoggi Arcivescovo Monsig. Fausto Cafarelli Sign. Romano, il quale è stato Nuntio in Turino nel Pontiſicato di Urbano VIII. & è molto accetto appresso questo Pontefice innocenzo Decimo.

  Và compreso in questo Arcivescovato il Vescovato della Citta detta Leone, anticamente Leonia, già destrutta da’ Saracini; fu poi da’ Sommi Pontefici aggregato questo Vescouato al detto Arcivescovato, del quale l'Arcivescovo se n'intitola Vescovo hoggi dì ancora.

    Nell'Arcivescovato è una sontuosa Cappella con il titolo di S. Leone in memoria di detto Vescovato; quale Città di S. Leone era conforme hoggi se ne vedono le reliquie dishabitate, nell'ultimi conſini del territorio di S. Severina, & quel di Crotone, via publica per il mezzo, vicino le Terre dette Spataro, e Mezzaricotta di Crotone, che anticamente detta Città fù detta Leonia.

   Nell'Arcivescovato si conserva un braccio intiero di S. Anastasia, portato da Roberto Guiscardo primo Duca di Calabria. Produce ogni sorte di frutti, particolarmente agrumi bellissimi, come quelli di Reggio, olive, come quelle di Spagna.

   Appresso sopra un monte è la Terra di Santo Mauro, e più à basso è Scandale, qual'è Casale di Santa Severina.

  Nel territorio prossimo à queste parti era un Casale di Crotone detto strongolito, un'altro S. stefano, hoggi sono destrutti, e non ci sono habitationi.

  Rivoltando à dietro a mare sottoCutri è un luogo detto Santo Lonardo de' Padri Gesuiti, che tengono per il commodo di seminare, e per altri loro usi.

   Dipoi siegue nel mare istesso una picciola Terra detta le Castelle anticamente Castra Anibalis della quale nell'occasione delle guerre successe in questi luoghi, se ne farà relatione più compita. Viene appresso alquanto al piano più dentro terra la Città dell'Isola, della quale essendo Vescovo Luca, il Conte Rugiero Duca di Calabria le concesse molti privileggi, le constituì alcuni territorij, & altri doni li fece, conforme si legge nel privileggio, che io hò visto spedito nel mese di Maggio, Indittione quinta, l'anni del Mondo 6600. tiene un Casale detto S. Pietro, con boschi, acque, & ogni cosa necessaria. Di questa Città furono Baroni antichi quelli di Casa Ricca famiglia molto nobile, & antica, mentre Rè Ferrante Il d'Aragona nell'anno 1495. per li gran servitij prestiti, donò per se, suoi heredi, & successori la Città dell'Isola, e suo distretto a Troilo Ricca, dal quale successivamente venne à D. Antonio Ricca ultimo Barone, dal quale venne la Baronia alla ſamiglia Catalana, descendente dal Consiglier Antonio, e nepoti di Monsign. D. Carlo Vescovo un tempo di Crotone, de' quali vive hoggi il Barone D. Luise Catalano.

   Più sopra dentro terra è la Terra Cutri, del Signor Prencipe dello Sciglio, prima del Sign. Duca di Nocera, che vuol dire Croto, che pure viene derivata da Crotone, credo li Crotonesi anco l'habbiano edificata, mà Razano dice, che deriva da Chitrone, che vuol

dire freddo, per essere posto sopra un'alto monte, che di continuo è combattuto da vari venti, che perciò è luogo molto freddo. Dopò viene S. Giovanni Minagò, & Papaniceforo, Casali de' Greci; mà detto Papaniceforo pochi anni sono pagò ducati quindecimila alla Regia Corte per redimersi d'essere Casale di Crotone, e hoggi viene mandato dall'Eccellenza del Regno il Capitano, da quella parte habbiamo lasciato indietro fra l'Isola, e Cutri la Baronia di Massanova, dove sono bellissime fontane, e pascoli, con buoni territorij, per seminare, ch'è del Signor Prencipe d'Angli di Casa d'Oria Genovese.

   In questa parte del territorio di Crotone è l'Abbadia di Corazzo, l'Abbadia di santa Maria dello Carrà, l'Abbadia di s. Leonardo, l'Abbadia di S. stefano, e l'Abbadia di s. Leonardo a Fregiano.

   Et in tutta Calabria sono quaranta Abbadie, conforme scrive il Dottor Prospero Parisio Romano.

   Appresso viene il già nominato di sopra Capo delle Colonne, nè occorre dire altro del territorio di que Città, solo quello che si dirà appresso nel seguente Trattato.

Nessun commento:

Posta un commento