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mercoledì 20 luglio 2022

§ 362 200722 Esperimento grafico sulle 'Memorie historiche' del D'Amato.

 Due versioni dello stesso brano, 1670 vs 2022. Se proprio qualcuno avesse voglia di dirmi cosa ne pensa... grazie. Ma la domanda che mi pongo è: ha senso 'modernizzare' un testo pubblicato circa tre secoli e mezzo fa? Peraltro, quel testo ai suoi tempi non era scritto in maniera più errata di quanto possa esserlo un testo redatto oggi. Ovviamente, il testo rieditato (termine orribile!) andrebbe corredato di una serie 'non ordinaria' (per usare il lessico del D'Amato) di note e avvertimenti e quasi di un manualetto che esplichi la maniera di scrivere nel '600, ad esempio l'uso delle maiuscole iniziali nei sostantivi (che sono tanti, ovviamente). Chissà, ci penserò: del resto, rendere una lettura più fruibile è buona cosa, togliere il piacere di leggere e interpretare un testo antico, questo non è buona cosa.

Catavuru.

Versione del 1670, Vincenzo D'Amato, Memorie historiche dell'Illustrissima, Famosissima, e Fedelissima Città di Catanzaro.

Poscia che con la sua virtù Carlo Magno la fortuna abbattè di Desiderio Rè de' Longobardi, che per più anni infestò all'Italia tentava sù le rovine della medesima Chiesa erger il tempio della Gloria al suo Nome: combattuto c'hebbe l'ardimento de' Mori nella Spagna: Posta in libertà Terra Santa da' Saraceni occupata: Assunto alla dignità Imperiale nell'Occidente da Leone Terzo Pontefice di questo Nome, aspirava con gli sponsali d'Irene Imperatrice di Costantinopoli all'assoluto comando di quell'Imperio, dall'ambitione de' passati Regnanti in due parti diviso.
Era sù la conchiusione il trattato, quando Niceforo Patritio, ò che stimasse indecenza, che la potenza tutta in un straniero si rivolgesse, ò da stimoli punto del dominare, non solo con improvisi tumulti sturbò il concerto mà imprigionando l'istessa Irene, indi esiliandola in Lesbo, si fè' da' Congiurati gridar Regnante.
Assiso appena sù l'altezza di quel Trono, dal quale havea precipitato quell'Infelice, applicò l'animo allo stabilimento di quello, con far offrire à Carlo pronto l'accordo pattuito pria con Irene, ch'era di divider nella seguente forma l'Imperio. Ch'appartenesse al dominio Greco ciò che quindi da Napoli, indi da Manfredonia scorre ver l'Oriente, & resto, che à terminar và con l'Alpi, soggetto rimanesse al Latino. Lasciando in libertà Venetia, in vano da Niceforo istesso combattuta anni doppo.
Stabilito in ciò l'accordo, parve all'afflitta Italia di respirare, stanca homai da invecchiate guerre, che fatto haveano il suo seno Campo di Marte: Mà dalla perfidia Romana, dalla malvagità de' Toschi, e Lombardi fatto della lingua privo, e de gli occhi il Santo Pontefice Leone, restituitigli poscia da quell'Immensa Mano, alla quale và giunta l'Onnipotenza; stimolata la Divina Giustitia, chiamò dall'arse contrade dell'Africa un numero così incredibil di Barbari, che quasi spaventoso Torrente da per tutto inondando, non trovò argine di ben munita Fortezza, ò riparo di franco petto, che l'arrestasse, fin che sboccato nella Metropoli dell'Universo, abbattè di quella le mura, spiantò le Case, le Chiese tutte sconfisse, quella parte degli abitanti avanzati al ferro disperse, il tutto di spavento empiendo, e d'orrore, non cessando tanta tempesta, che doppo lunghissime guerre, e gran spargimento di sangue.
Versione modernizzata (in lavorazione), 2022.
Dopo che con la sua virtù Carlo Magno abbattè la fortuna di Desiderio, Re dei Longobardi, che per più anni infestò l'Italia, tentava sulle rovine della medesima Chiesa erger il tempio della Gloria al suo Nome: combattuto ch'ebbe l'ardimento dei Mori in Spagna, posta in libertà Terra Santa dai Saraceni occupata, assunto alla dignità Imperiale nell'Occidente da Leone Terzo pontefice di questo nome, aspirava, grazie agli sponsali d'Irene Imperatrice di Costantinopoli, all'assoluto comando di quell'Impero, a causa dell'ambizione dei passati regnanti diviso in due parti.
Era in via di conclusione il trattato, quando Niceforo Patrizio, o che stimasse indecenza, che la potenza tutta in un straniero si rivolgesse, o da stimoli punto del dominare, non solo con improvvisi tumulti mise in forse la concertazione, ma addirittura imprigionando la stessa Irene, ed esiliandola poi in Lesbo, si fece dai congiurati gridar (1) regnante.
Appena assiso (2) sul'altezza di quel trono, dal quale aveva precipitato quell'infelice, applicò l'animo allo stabilimento di quello, con far (3) offrire a Carlo pronto l'accordo pattuito prima con Irene, ch'era di divider nella seguente forma l'imperio, e cioè che appartenesse al dominio greco ciò che quindi da Napoli, indi da Manfredonia scorre verso l'Oriente(4), e il resto, che a terminar va con l'Alpi, rimanesse soggetto al Latino. Lasciando in libertà Venezia, in vano da Niceforo stesso combattuta anni dopo.
Stabilito in ciò l'accordo, parve all'afflitta Italia di respirare, stanca ormai da invecchiate guerre, che fatto avevano il suo seno Campo di Marte (5): ma dalla perfidia romana, dalla malvagità dei toschi, e lombardi fatto privo della lingua e degli occhi, il Santo Pontefice Leone, restituitigli poi da quell'Immensa Mano, alla quale va aggiunta l'Onnipotenza, stimolata la Divina Giustizia, chiamò dall'arse contrade dell'Africa un numero così incredibile di barbari, che quasi spaventoso torrente da per tutto inondando, non trovò argine di ben munita fortezza, o riparo di franco petto, che l'arrestasse, fin che sboccato nella metropoli dell'universo, abbattè di quella le mura, spiantò le case, le chiese tutte sconfisse, quella parte degli abitanti avanzati al ferro disperse, il tutto di spavento empiendo, e d'orrore, non cessando tanta tempesta, che dopo lunghissime guerre, e gran spargimento di sangue.
1 Acclamare.
2 Appena insediatosi.
3 Con, seguito dall'infinito, equivale all'odierno gerundio: facendo offrire.
4 Tutto quanto si trovava ad est di una immaginaria linea di demarcazione da Napoli a Manfredonia, secondo il trattato approntato, doveva andare a far parte dell'Impero d'Oriente ('greco'), il resto nel dominio 'latino'.
5 Finalmente, essendo stato raggiunto un accordo sulla spartizione dell'Italia tra impero d'oriente e d'occidente, lungo una linea immaginaria che la tagliava a mo' del famoso trattato di Tordesillas (quello che spartì il nuovo mondo tra spagnoli e portoghesi), orbene sembrava che l'Italia, stanca di annose guerre che avevano fatto del suo seno una piazza d'armi, potesse finalmente respirare... Notare l'accostamento tra seno e respiro.

lunedì 11 luglio 2022

§ 361 110722 MEMORIE HISTORICHE DELL'ILLVSTRISSIMA, FAMOSISSIMA, E FEDELISSIMA CITTA' DI CATANZARO di V. D'Amato, p.te III.

   Riprendiamo la trascrizione dell'opera del D'Amato... ma non ditelo a nessuno: infatti di visualizzazioni delle puntate precedenti non vi è traccia, per cui vado avanti non visto. 

   Progredendo la riedizione del testo, mi corre l'obbligo di annotare che il D'Amato non si esprimeva male, tutt'altro: a mio modestissimo parere usava un italiano abbastanza corretto e fluente per l'epoca, e infatti molti autori a lui coevi sono molto, ma proprio molto, più oscuri nella prosa e affetti da prosopopea e prolissità nel dire di quanto non sia il nostro D'Amato.

CatavurAmurus.

(Rielaborazione dell'A. da file di Google)

Questi, & altri, se non in tutto, in parte prosperi successi a' Greci, e Saraceni,che unicamente in Italia militavano, somministrandoli ardire, gli portò fin presso Salerno, ove da Arrigo secondo incontrati, e combattuti, furon sconfitti, e dispersi; e con ciò parve si quietassero tanti travagli. Mà a capo di cinque anni cominciaro à farsi sentire in Regno i Normandi. Questi passati in Italia sotto honorati stipendij poco prima, vi si fermarono con l'occasione del guadagno, che fatto haveano d'alcuni Stati. Uno di costoro detto Guglielmo, ò Ferabac (secondo alcuni) doppo d'haversi per causa d'interesse di stato disgustato con Molocco in Sicilia,ove collegati, havevano di mano a' Mori tolta quell'Isola, passò in Calabria, occupò molti luoghi, poscia rivolse l'armi contro i Pugliesi; onde fù d'uopo all'Avversario Molocco passare alla ricuperatione delle Terre occupate; mà venuto con Ferabac à battaglia, rotto, e fugato lasciò senza contesa l'acquistato al Normando, che da 16indi in poi nominossi Conte di Puglia.

   E' probabile, che in quei tempi si mantenesse per l'Imperio Greco ancor Catanzaro, non essendo spediente à Ferabac contornar le sue forze sotto le mura d'una Città inespugnabile, e numerosa, che difendendosi havrebbe dato esempio al resto della Calabria di non ceder senza contratto, à tempo, ch'ei pur sapeva, che dissipato l'uno, male hauria possuto formare il secondo Esercito, Signor di picciol Stato, e di nascente fortuna: E tanto più deve credersi, che non hauendo questi, che alquanti luo­ghi soggettati della Calabria (come concordemente scrivono tutti) non si deve comprendere nelle Piazze perdute una Fortezza difficile ad espugnarsi senza il favor delle congiunture, e degli anni.

   A Ferabac successe Drogo di lui fratello, il quale nella Puglia il suo dominio ampliando col torlo a' Greci, la strada aprì a' suoi posteri all'acquisto di due Corone.

   Roberto Guiscardo fu il primo de' Normandi, che doppo d'haver la Calabria sottomessa al di lui dominio, n'hebbe da Nicolò Secondo Papa pacifica l'investitura col titolò di Ducea, promettendo un'annuo tributo: Dal che ne nacque l'esser questa Provincia di nuovo feudo di S. Chiefa. Costui non hebbe Catanzaro, che per via di lunghissimo assedio. Mantenevasi questa Città per ancora per l'Imperio Orientale, quale in tutto mancato nella Calabria, unica 'nella Provincia rimasta, una Republica ella sembrava con proprie leggi vivente. A lei rivolse Roberto cupido di dominarla la mente, e l'armi. La richiese d'obedienza; gli fu negata. Li protestò la guerra; gli fu riposto, che bastava esser ella Città di Soldati per non temere. Fu assediata, combattuta più mesi, resistè intrepida senz'agiuto, perche Squillace caduta, Reggio sorpresa, Locri oppugnata, Costantinopoli trop­po lontana, non haveva d'onde sperarlo; che perciò ri­dotta a penuria di viveri, & astretta dalla guerra civile, che dentro era già nata fra' Greci, e Latini, che l'abitavano, tra lor discordi, si refe à patti. Questo fu il primo assedio, ch'ella sostenne, e questa l'ultima volta, che aperse 17al nemico, da hostil violenza astretta, le porte.

Questa è quella Fortezza, che incerta al Marafioti, & al Sumonte, dicono solo esser eretta su la Cima d'un'alto Monte, nella quale non permettevano gli Abitanti, che sorastieri a forza vi entrassero, e che fu per inganno prefa da Roberto, fingedo di voler ivi sepellir un mor­to: Cosa in tutto ridicola, e favolosa, mentre non è da credere, che per così frivolo pretesto ad un nemico aprisse le porte, che tutta la Calabria hauea corso con l'armi: E se bene non vuole il Summonte esser questo Forte da lui sorpreso stato quattro miglia da S. Marco discosto, dice supponerlo, e non l'afferma.

   Entrò vittorioso Roberto, si giurare homaggio; e conoscendo, che il dominio della Calabria dependeva assolutamente dall'assicurarsi di questa Piazza, sì per esser in sito naturalmente inespugnabile, come per star situata nel centro della Provincia, per dove con facilità si può tramandar à gli altri luoghi soccorso in tempo di guerra, vi fondò un fortissimo Castello in quell'estremo della Città, che risguarda il Pezzano, sopra un masso di scoglio al di fuori tagliato, con Torri, e Bastioni sì bene intesi, che alla fortezza sua naturale congiunti, lo resero sicuri di batteria, e di scalate. Quella parte però, che risguarda la Città, benché inefpugnabile per all'hora fù soggetta col tempo all'Artiglieria de' Cittadini medesimi, portata su la cima del Monte di mezo della Città per combatter il Tiranno Centelles, ivi dentro fortificato.

    Stabilito con ciò Roberto il suo dominio nella Cala­bria, rivolse l'animo ad altri affari; e Catanzaro mirata con occhio favorevole dal novello Regnante (arte po­litica per guadagnarsi gli affetti d'una Nation bellicosa) fè applicar i suoi Cittadini ad abbellir lei con le fabriche, à fondar Academie di Studi, ad introdurvi ogn'arte, specialmente le più pregiate: E perche fin dal tempo di Giustiniano Imperadore d'Oriente erasi in Costantinopoli l'uso di far la seta introdotto per via di due Monaci frati in India, ove dicono haver havuto origine questo mestiere, benche prima per la comunicatione s'haveva 18con le genti Orientali sapevasi il modo benissimo di nutrir il Verme della Seta, le continue turbolenze della Calabria non havevano permesso, la pianta degli Alberi necessari al nutrimento di quello: Hora godendo Catanzaro una perfettissima quiete, diedesi alla cultura delle piante sudette, appellate Celsi, ò come alori dicono Mori, e col beneficio dell'acque, che l'irrigavano, crebbero in breve: con le foglie poi delle quali cominciossi à nutrir il Verme; indi da' gusci del detto à cavar nell'acquabollente la seta; con la prattica d'alcuni Orientali nella Città commoranti imparando molti la testura di quella, ne fecero drappi di varie sorti: onde in modo vi si stabilì l'Arte, ch'oggi si numerano da mille Telari, che non solo tessono Velluti piani, e di lavoro, ma tele di seta d'ogni conditione, alle quali mescolando l'oro, l'argento, in sottilissime lamette tirati, formano i più ricchi, vaghi, e dispendiosi Drappi, ornati di artificiosità fuori; e per tutta Europa tramandansi con invidia non ordinaria di molte Nationi, che di quest'Arte fanno professione.

   Descrittione del serico. La nutridura di questo Verme à coloro che non è nota, par favolosa. Da minutissima semenza posta nel fin della Primavera à covar in caldo nasce il Bombice della picciolezza d'una formica, e nelcorso di quaranta giorni, ch'egli hà di vita, quattro volte à dormir si pone, & altretante (sempre  crescendo) lascia à guisa delle serpi la spoglia, e questo per ogni dieci giorni. Indi giunto alla grandezza d'un dito di fanciullo, abbandonando le foglie del Moro, ò Celso, che si dica quell'Albero, che, lo nutrisce, monta sù certi ramoscelli d'alcune piante, che li li pongono sopra, & ivi fabricadosi da per se stesso la sepoltura con fila, ch'ordisce con la sua bocca à guisa bianco del Ragnodella, forma un guscetto del color dell'oro, overo grande poco meno d'un Dattilo, rimanendo lì dentro egli imprigionato, dal quale si cava la seta. Dal medesimo doppo alquanti giorni da una parte da lui forata col picciol dente esce nuova Fenice risorto, non più nella sua forma di prima, mà alato, e con19giungendosi maschio à femina, partoriscono quella semenza, dalla quale l'anno appresso rinasce; onde non soggetto (per così dire) alla comune corruttione, continuamente in vita conservasi .

   Stanno impiegate in questa professione da settemila persone, parte delle quali tessono i Drappi, conciano parte la seta, prima posta à dritto filo dalle Donne, poscia ritorta in un'ingegnoso artificio, volgarmente Filatorio appellato: Altri la colorano; diversi assistono a' Maestri nelli Telari, che girando alternamente alcune fila, formano i lavoridel Drappo. Da questa industria cavano i Cittadini non ordinario guadagno, poiche da per tutto, insino alle Spagne, in Francia, in Inghilterra, & in Venetia tramandandosi queste tele, entra nella Città giornalmente il danaro: oltreche havendosi ivi à buon prezzo cagionano un lusso universale nel vestir nobilmente di seta, fatto oggimai comune fin’alle genti più infime.

    Abitavano in questa Provincia, sì come in molte parti del Mondo (doppo che furono dispersi) gli Ebrei. Questi industriosi per loro natura, e dediti alle mercantie, & ad ogni genere di negotij, volentieri venivano ammessi nelle Città più famose: onde disegnarono i Catanzaresi chiamarne qualche parte, accioche aprendo Fondachi di mercantia, gli cogliessero l'incommodo di mendicar da lontano i panni, & altre cose al vestir necessarie; e per più facilmente condurceli, gli offrirono una perpetua franchigia. In tal guisa allettati, ne vennero buon numero: E perche vollero haverenella Città luogo à parte, gli assegnarono un Quartiero nel mezo d'essa,confine  à quella strada, c'hoggi dicesi Capuana, e fù dal loro nome detto Giudeca. Giunti, aprirono botteghe di ricchissime mercantie; e mescolando con i loro negotij i drappi medesimi di seta, che ivi si lavoravano, cagionarono  un grand'utile a' Cittadini, & aprendo la strada al concorso di tutta la Provincia per via de' loro negotij, partorinano alla Città molti commodi, oltre il danaro, che in abbondanza vi entrava.

   Militava con Roberto Duca di Calabria Roberto Conte 20di Loritello, figlio d'Unfrido. A questi diede una figlia naturale di Ruggiero suo fratello per moglie, al quale poi Roberto morendo lasciò la Sicilia con  anteporlo a' proprij figli. Hebbe il Loritello in dote la città di Catanzaro, con molte altre Città, e Terre al di lei contorno col titolo di Contea, e con assoluto dominio soggetto alle conditioni servili degli hodierni Baroni. Lo testificano chiaramente i Privilegi del Secondo Roberto suo figlio alla Città, & ad altri particolari concessi in quelle parole: Deigratia Comes Catanzarij. Titolo solamente usato da' Signori liberi, & independenti, come egli era: Ancorche poscia dall'ambitione di molti usurpato in Regno, fù da' successori Regnanti per Prammatica speciale levato.

   Morì Roberto di Loritello dieci anni doppo, che prese per moglie la figlia di Ruggiero, & à lui successe il secondo Roberto suo figlio, il quale dalla madre allevato fin’all'età d'anni quattordici, prese il dominio dello Stato, riserbandosi ella il Titolo, & alcune rendite solamente, con le quali passò a secondo matrimonio col Conte Ugo di Molisi.

   Da Roberto Guiscardo, che morì l'anno 1085. ò secondo altri 82. rimasero frà gli altri due figli, Boemondo  primogenito, e Ruggiero. Questi, ancorche nato secondo, in mano hauendo il governo della Calabria, e  di Puglia, conferitoli dal Padre mentre viveva, fù per le sue rare virtù, & ottime qualità nell'una, e nell'altra Provincia con plauso universale acclamato; ottenendone ancora da Urbano Papa Secondo l'investitura, perloche sdegnato Boemondo, mosse un numeroso Esercito a’ danni di Ruggiero: Mà stimolato poscia da nuova gloria, accompagnò le sue armi a quelle di Francia, e di molti altri Principi, che con occasione della Crociata dal Pontefice publicata passarono all'acquisto di Terra Santa, ove egli si portò con tanto valore, che nella divisione dell'acquistato hebbe Antiochia: E così libero cesse al fratello il dominio della Calabria, e di Puglia. 


lunedì 4 luglio 2022

§ 360 040722 Memorie historiche di Catanzaro, V. D'Amato. 2.

 Seconda puntata delle Memorie historiche 'catanzaresi' del D'Amato. Numeri fra parentesi e qualche tratto evidenziato fanno parte dei miei 'mezzi di servizio', non vi si faccia caso.

Catamor.                                                              ...................                   

        

(Stemma della famiglia Amato, dal sito www.nobilicalabresi.it, che ringrazio).

   Sodisfatti quei fuggitivi dell'amenità non meno del luogo, che de' commodi al lor bisogno vi scorsero, stabilirono di fondarvi perpetuamente la residenza: onde datisi con partite vicende à necessarie fatiche, assicurarono il sito inespugnabile da per se stesso con Trincee d'ogn'intorno, e vi piantaron le Tende, indi ne disegnaron la Pianta.

    Partito da quei contorni il nemico per l'altre parti scorrere della misera Italia, raccomandato il governo delle genti, e dell'armi a' compagni di più sperimentata virtù, inviaronsi Cattaro, e Zaro (fratelli come vogliono molti) alla volta di Costantinopoli, ove doppo un viaggio prospero giunti, furono all'udienza di Niceforo Imperadore introdotti. Della causa richiesti della venuta, doppo non senza lacrime haverli dato distinto ragguaglio della deplorabil caduta della Gran Grecia; giunti al particolar di Paleopoli, di quella li dipinsero le ruine. Delle miserande reliquie nel Triavonà salvate lo ragguagliaro, in nome delle quali nella Cesarea mano posero una supplica, con la quale la facoltà chiedeano, e l'assenso di poter in quel luogo una Città fabricare per lor rifugio; gli descrissero il luogo, e gliene dimostraron la pianta. Questa fatta da Niceforo da' periti Ingegnieri ben considerare, fù lodata, ammirata, & egli diede l'assenso. Stava per dissancorare dal Porto di Bizantio con carta (6)di Procurator di Niceforo in Italia Flagitio Conte di Benevento: onde data fù a lui l'incumbenza dall'Imperadore dell'edificatione di questa disegnata Città. Sodisfatti dell'ottenuto Cattaro, e Zaro , doppo d'haver baciato à Cesare il piede, con la di lui licenza s'accompagnaro col Conte, e date le vele al vento, con prospero viaggio giunsero a' lidi della già fù Magna Grecia.

    Posero à terra il piede, & avvicinatisi per la via, che al Triauonà li scorgeva, vi giunsero doppo alquante hore di camino, dove con segni di non ordinario contento accotci furono, e festeggiati. Preceduti alquanti giorni di riposo, volle il Conte osservare il sito, quale scortolo con suo stupore un de' più forti, ch'egli visto mai havesse, diè l'ordine s'allestissero à dar principio.

    Con questa gente d'arme era il Vescovo refuggito della destrutta Paleopoli, la di cui antica Chiesa restando illesa dal furor de' Barbari, magnifica per le fabriche, e per lo disegno, oggi detta Roccella, è Tempio dedicato alla Vergine, appartenente al Vescovo di Squillace. Era Paleopoli una delle tre Città principali situate trà il fiume Croci, e quel di Squillace, eccedente però l'altre in grandezza di sito; ciascheduna di loro per special privilegio in trè feste più cospicue dell'anno, ch'erano la Natività del Signore, la Pasca, e l'Assuntione, con partite vicende obligavano il Vescovo à celebrar gli uffici hor in una, hor in un'altra delle loro Chiese, in modo che di queste trè funtioni una per luogo far ne doveva, tenendo per tal'effetto una Catedrale per ciascheduna d'esse, che però venne detto Episcopus Trium Tabernarum, cioè di trè Tabernacoli, titolo che ritenne anco doppo la rovina delle sue Chiese; e così vana è di coloro l'opinione, che vogliono, che la Città di Trichine havesse havuto trè Vescovadi, ne' quali doveva il Vescovo nelle feste sudette compartirsi nel modo sopra accennato. Trè Chiese Vescovali in una Città, e picciola poi com'era Trichine, non si legge di esser mai state, nè si ritrovano: Due Terre, ò trè con le loro Chiese, che oblighino il Vescovo à celebrare vicendevolmente nelle feste, anche in Calabria vi sono, Cariati, e Cerentia. Costui per nome Leon Grande in (7)un'Altare da lui eretto, celebrata la Messa, fè un'efficace oratione nel fine, con la quale esortò, che all'impresa s'accalorassero; e per stimolarli col proprio esempio, haver volle la parte nelle fatiche.

    Così diviso il disegnato luogo in quattro parti uguali, in altre tante classi partissi ancora la gente sotto il comando de' Capi à loro assignati: E perche molto importava, per assicurarsi d'invasione nemica, di muro cingere il sito, prima di por mano ad altro edificio, principiar di quello le fortificationi. Dalla Porta prima detta Granara, forse per­che tutto il frumento per essa entrava, oggi appellata della Marina, circuendo tutta quella parte meridionale, che tira fin'all'acqua di Tubulo, di muro cinsero Zaro, e Pitinto assicurato da trè fortissimi Bastioni. Questi furono i Capi dell'una delle accentiate Classi, e poco una dall'altra distante a vista del Mare, quasi al muro attaccate della Città, ove il Bastione di mezo stà situato, eressero due Chiesuole, quali fin al prefente i nomi de' Fondatori conservano, S. Pantaleo di Zaro, e S. Nicolò di Pitinto. Dall'acqua di Tubulo fin à quella di Cerausto, parte esposta per fianco alla Tramontana, parimente munir di muro Cattaro, e Tubulo, nel quale spatio si contano otto Bastioni, e trè Torri, con una Porta quasi in mezo della distanza detta di Stratò, & un'altra più moderna vicina a Cerausto appellata di S. Agostino, per esser sotto il Convento de' Padri dell'ordine di quello Santo. Tramanda tuttavia la sua memoria a' posteri il pri­mo nel proprio nome, che ritiene una Cappella da lui fondata nella schiena d'un'alta Rupe dedicata alla Vergine detta di Cattaro. Viene del secondo anco il nome in una Fonte da lui fabricata vicino al Muro nel più basso dell' Oriente. Dall'acqua di Cerausto, ove oggi vi è una mediocre fontana d'acque pregiate, abbracciando col resto del fianco di Tramontana la parte tutta Montana, e quel lato esposto al Ponente fin'alla Parocchia oggi appellata S. Ma­ria di Mezogiorno, cinse Favatà con lungo giro di muro, à difesa del quale con ordinata distanza si numerano dieci Bastioni; & una Porta, per dove prima uscendosi per ponte in quel braccio stretto di Terra, che dalla parte montana (8)formano i fiumi, Montanata venne appellata. Et un'altra nel più basso del Ponente detta di Prattica, per la frequenza vi è da' vicini Villaggi, ò forse per esser da' Cittadini il Tempio frequentato di San Leonardo, posto in quei primi tempi fuora di detta Porta, benche oggi per accidente occorso stà situato in una falda del Pezzano. La prima Chie-sa da questo Capitano fondata fù S. Nicolò al presente det­to delle Donne, nel sommo quasi della Città, esposto a Tramontana: Mà perche doppo (come dirassi) vennero in questa parte ad abitar i Latini, ritiratosi nel Quartiero, che per loro i Greci ritennero, un'altra n'eresse, con dedicarla al Santo medesimo; & al presente dicesi S. Nicolò di Favatà, e vedesi all'incontro della Porta maggiore del Convento del Carmine. Munì di fabrica il resto del disegno da S. Maria di Mezogiorno fin alla Porta Granara, luogo parte Occidentale, parte Meridionale, il quarto Capo delle già memorate Classi Malacina di Coracitano, il quale per haver la cura dell'edificatione di quella parte risguarda il fiume Crotalo, diedeli dal suo cognome l'odierno nome Coraci. In questo spatio di mura si veggono sei Bastioni proportionatamente distanti, e più torri; Fabricò costui due Chiese, ambedue dedicate a S. Nicolò, una dicesi di Malacinadi dal proprio nome, l'altra dal suo cognome Coracitano. Non rechi maraviglia, se sotto;il nome di questo Santo s'eressero in quei tempi tante Chiese, perche la devotione de' Greci verso di questo lor Beato Vescovo era non ordinaria.                                          

   Non fù d'uopo assicurar di fosso le mura, perche il sito da per se stesso naturalmente forte, ed elevato, è sodo masso di scoglio, assicurato prima dagl'Antemurali, che li fanno argine al piede, e dalla profondità, con la quale s'abbassano poi le vallate, bastò tagliar quella parte, per dove con gran difficoltà poteasi salire. Questa Città è di figura ovale, & allungasi col restringersi dalla parte Montana volta al Settentrione; Hà il circuito di quattro miglia.

   Assicurato in tal guisa il posto, rivolsero alla struttura degli edifici sollecito l'animo. Per prima edificarono la Chiesa Matrice in quel luogo appunto ove oggi è la Piazza (9)Maestra sotto Titolo di S. Michele Arcangelo, e quella consacrò Stefano Arcivescovo di Reggio ad istanza di Flagitio Procurator di Niceforo, e vi furono di subito trasferiti da Leon Grande primo Vescovo della novella Città dalla desolata Paleopoli i Corpi di S. Ireneo Vescovo di Leone, e di S.Fortunato Vescovo di Todi, quali si conservavano sotto l'Altare Maggiore della Catedrale di quella Città, e dichiarati con plauso universale della Città sorgente Padroni.             

Stabilito ciò che apparteneva allo spirituale, si diedero alla fabrica delle case con tanta asseveranza, che in breve tempo si ridussero gli Abitanti à stantiar nel coperto. Non furono da principio in magnifica forma l'abitationi costrutte, perche il lusso ò non nato, o in fascie in quei tempi, non disegnò superbi edifìci, o dalla fretta, con che s'accomodavano fù bandito. Furono bensì d'honesta grandezza le case con alti, e bassi, di non minor al­tezza di venti braccia, come alcune rimaste in piedi in quel Quartiero, che hoggi dicesi la Grecia, ne fanno fe­de, le quali conservano ancora le Travi di farna, che i boschi all'hora in piedi somministraronli, impossibile ad esser stati posti in altro tempo, per non essere in queste parti, che trenta miglia distanti alberi somiglianti quali non portariansi senza dispendio esorbitante, e riescono incivili per la rozezza; tutti riscontri da non escluder quella legname civilissima, e facile a lavorarsi, che da' vicini boschi non solo a Catanzaro tramandasi, ma à molte parti del Regno, & infino à Genova.

Così ridotta in qualch'ordine questa, che fin dal suo natale fù Città Vescovale, e Capo della Provincia, come non solo nelle nostre antiche Croniche in quel passo in particolare si legge, che parla della fondatione del Pretorio di Flagitio in quella Città fabricato, per render ragione a' Popoli della Calabria, ch'è del tenor seguente. Erexit praetorium suum Flagitiuas propè Ecclesiam S. Michaelis Archangeli, ubi universi Calabri, & Lucani diisdicabantur, ma come Paolo Gualtieri Professor di Filosofia, e Theologia nel glorioso Trionfo de' SS. Martiri di (10)Calabria nel primo libro nel foglio 227. 228. e 229. ove produce ancora una Bolla di Calisto Secondo della Consacrazione della nuova Chiesa.

   Partissi Flagitio doppo d'haver la forma stabilito del governo, & appoggiato da lui medesimo alle persone di Cattaro, e Zaro Capi principali di quelle genti tutte, & Autori dell'edificatione della Città, qual volle,che Roc­ca di Niceforo si dicesse, pcr essere di questo fondata sotto l'Imperio, correndo gli anni della nostra salute ottocento, e quattro.            

   Alla voce, che da per tutto correva dell'edificatione di questo Forte, risolsero d'abitarlo alcuni Latini, quali per le Selve dispersi, l'ira fuggivano di quei Barbari, che parimente te loro patrie havean desolato: Ma dubitando d'esser esclusi, vollero accertarsene per mezo d'honestissimi Ambasciadori inviati da loro doppo la partenza  di Flagitio à Cattaro, e Zaro, supplicandoli di ricovero. Commiserarono quegli huomini pij le sventure di colo­ro, che mendicavano albergo; onde non isdegnaro d'ac­comunar la fortuna, con gente, che corso haveva la medesima loro sventura. L'introdussero, l'accarezzarono, & assegnaronli un capacissimo luogo, ove fondar potessero gli Abituri; e fù quella parte della Città, che a man sinistra si vede per la via, che dalla Porta della Marina corre con quasi dritta linea fin'à S. Giovanni, ultimo termine della Città, ch'è un tiro di vantaggiato miglio.

    Non sì tosto dalla pietà furono introdotti de' Greci, che di quefti emulando l'opre, erfero Abitationi in assai più magnifica forma di quella, che il presente stato li consigliava. Fondaron Chiese: & il modo all'uso Italico stabilirono del governo: Soggetti bensì restarono per all'hora alle leggi comuni, che imponevano i Fondatori, in virtù della potestà lor da Flagitio comunicata. In  quanto all'osservanza de' sacri Riti si praticava con dif­ferenza, ciascheduna delle due Nationi osservando il pro­prio ufo: che però negli antichi Testamenti, che nelle Scede de' Notari di quei tempi conservansi, si legge, che il Testatore lasciava, che intervenisse nel suo funerale il Clero Greco, e Latino.

    (11)Ecco nello spazio di men di quattro anni crestiuta, e popolata quella Città, che inferiore dalla sua nascita non fsi conobbe di forze, ò men di glorie dovitiosa di qualun­que altra, che vanta antichi natali nella Calabria. Di forze, perche bambina ancora il suo sito eminente, e la Virtù degli Abitanti inespugnabil la resero; Di glorie, perche in lei tutte quelle si trasfusero della Gran Grecia per mezo de' suoi Fondatori, di quefta furono heredi. Da quell'accomodamento, che fecesi di Greca gente, e Latiaa, frà poco nacque un disordine, e fù,che mal distinguendosi per l'ignoranza nel conoscersi il Plebeo dal Civile, trapazzato con decoro veniva spesso il rispetto: Onde per riparar à questo inconveniente, divisa fu la Città in quattro Ordini. Coloro nel primiero furono ascritti, che da Parenti illustri la descendenza trahendo, il titolo meritaro di Nobili. Quelli nel secondo successero, che per le propria virtù riguardevoli, Honoratissimi Cittadini appellati vennero. Nel terzo coloro furon descritti, che civilmente con le fatiche delle loro arti vivevano. Costò il quarto di Plebe, che venne d'ogni officio escluso della Città. Ordine in una Republica necessario per non esiliar quel decoro, con l'anima del quale mantiensi.

   Cresciuto poscia col crescere degli Abitanti il maneg­gio de' publici affari, per sottrarsi, da alquanto peso, che grave era homai fatto à due Comandanti; stabilirono, che un numero di quindici Cittadini per il governo della Città s'eligesse, con limitata facoltà di governare non più, che il corso d'un'anno, nel fine del quale di nuovo d'altretanti si facesse la scelta, e così successivamente in perpetuo; e questi nel fine del lor'officio dell'amministrato dessero i conti, acciò quello del Publico convertir non potessero in ufo proprio. Eligevansi perciò un del primo Ordine, & un'altro del secondo, a' quali veniva dal Publico autorità comunicata di sopraintendere à gli affari del Comune, ma non con assoluta facoltà, poiché nella determinatione de' negotij intervenivano dodici altre persone, quattro per ciascheduno Ordine, à tal fine (12)anco detti, nè senza l'assenso della maggior parte potevasi qual sia faccenda determinare. Eligevasi in oltre con nome di Pretore, oggi detto Mastro Giurato, un'altro, e questi havea l'incumbenza della guardia della Cit­tà, e come Capo supremo in tempo di guerra veniva obedito; che perciò li s'assegnava un buon numero di soldati à stipendio mantenuti del Publico, & un'anno eligevasi del primo Ordine, & un'altro del secondo; on­de non mi reca maraviglia, se col tempo poi conosciuto il merito di questi Honorati Cittadini da' Regnanti, che successero, vennero per special privilegio dichiarati uguali nelle prerogative, & honori a' Nobili della Provincia. Questo modo di governo oggi dura, e dicesi il Corpo tutto Magistrato. Si fà per elettione, ma con  variata forma di prima, intervenendovi tutti i trè Ordini.

   Col corso degli anni, giva di punto in punto la Città, in magnificenza aumentando, e nella struttura de' Palagi, quali oggi, ancorche capacissimi, e d'esquisita for­ma, non sono d'estraordinaria altezza, sì per causa de' terremoti, che continuamente travagliano la Provincia: sì perche l'eminenza del sito spesso combattuto da gagliardissimi venti non lo permette: E nelle fabriche di più Chiese: E nell'ordine delle strade. E perche l'acque,che eran dentro, di molta perfettione non erano, si arrese ad accomodar i Fonti alla Città più vicini. Due Fontane si fabricaro, ambedue nella falda del Pezzano, non più, che un tiro d'Arco, dalla Porta Montanara lontane, e poco una dall'altra discoste, ridotte oggi in più bella forma da' Cittadini. Un'altra nel lembo di quel Monte, che à rimpetto della Città sollevasi nella parte di Tramon­tana, la perfezione delle cui acque li diè il nome dell' Acqua buona. E' da questa non molto lungi in più elevato luogo un'altra detta Rossella, con cinque altre attor­no del Monte, sù del quale sta la Città situata, trà le quali una in quel Giardino nella man destra dell'uscita della Città dalla Porta di Stratò, che per esser stato della moglie di Cattaro detta Lencrista, diè nome all'acqua.

    Morto, che fù l'Imperadore, non più Rocca di Nice(13)foro la Città venne detta, perche per rimunerare in par­te i Cittadini le fatiche de' Fondatori, vollero di quelli la memoria eternare con appellarla da' proprii nomi, onde Cattarozaro fu detta; voce, che poi corrotta sonò Catanzaro. Ritenne però il primo nome tuttavia nelle parti  à lei più remote finche il Tempo, padre dell'Oblio, in tutto l'estinse.

    Con la morte poscia de' Fondatori non morì nella Città l'ardimento, anzi che formidabile resa dall'intrepidezza degli Abitanti, potè nel secondo passaggio de' Saraceni in Italia doppo la di lei edificatione, nell'anno 829. in modo rintuzzar di coloro l'audacia con provocarli, che si persuasero quelli per loro meglio il non assalirla: onde con sua estrema gloria quasi che sola in quella seconda invasione vergine nella Provincia rimase. Questa barbara Natione, che par che sempre la mira del suo furore più fiera rivolgesse a' danni della Calabria, e di Puglia, ripassando con numeroso Esercito il Mare, e doppa d'havernel 845. posto l'assedio àTaranto, affondate poco da Cotrone distante molte Navi Venetiane, e buon numero incendiate, quali al soccorso della Calabria eran con altre di Teodosio Imperadore venute, ben che a terra un'infinità di gente ponesse, che tutte quelle parti senza contrasto trascorsero, non trovasi chi dica haver Catanzaro non solo manumessa, mà combattuta. nè meno, così fatta era formidabile fin'à quell'armi, che contrasto in quei tempi non ritrovavano. Si segnalarono ancora, col restar inespugnate nella Provincia, Squillace, Locri, e Reggio con non poca lar gloria.

    Correvano gli anni della nostra salute 914. quando la Calabria, e la Puglia dalle, ceneri delle quali estinte lor glorie la generosità richiamando, non in tutto spenta, benche da' Barbari oppressa, sdegnando di veder Romano dalla bassezza de' suoi natali, asceso per gradi di fortunati incontri all'Imperio Orientale, gli negaro l'obedienza, onde mal potendo quell'huomo vile per all'hora vendicarsi di tanto oltraggio, a' danni di queste Provincie provocò (barbaro) gli Africani, con promessa d'as-(14)sistere à lor favore: Questi, che par che nati siano alle prede, concitati appena dall’Empio, fero il quarto passaggio con sì gran numero d'armati, che non trovando contrasto, la Calabria , Basilicata, e Puglia corsero senza contrasto dalle parti Orientali fin'à quelle, che l'Occidente riguardano. Gli avanzi della preda diedero al fuoco; chi non perì dal ferro, destinaro alle catene. Cosenza istessa , che illesa in due altre invasioni erasi conservata , abbandonata dagli abitanti, soggiacque al sacco. Catanzaro non combattuta mirava da lontano l'esterminio delle Città abbattute, delle Terre spogliate, de' Villaggi fumanti, e dalla fortezza assicurata dell'inespugnabil suo sito, e dal coraggio difesa di coloro, che l'abitavano, potè mantenersi lo spatio di quindici anni, che quei Barbari ivi fermaronsi, anche doppo la morte di Romano, trà le crapole estinto l'anno terzo del suo Imperio , à cui successe il terzo Niceforo, nel qual tempo dal Principe di Capua persuaso Ottone primo Imperadore dell'Occidente à scacciare i Saraceni da’ luoghi oppressi da loro, con mostrargliene la facilità, con che poteva farlo, accinsesi all'impresa, con tanto più di calore, quanto stimolato veniva dallo sdegno verso di Nicefo tro Nicefororo , che per haver à pezzi fatto tagliare un buon numero d'huomini segnalati, da lui inviati dalla Calabria à Costantinopoli per condur la figlia di quello, destinata moglie ad Ottone il giovane, in modo il di lui nome abborriva, che cercava levarlo dalle bocche degl'Italiani, con torli quanto in Calabria possedeva , & in Puglia; se possesso quel potea dirsi in paesi, ove vittoriosi scorreano i Mori: Onde formato un numeroso Esercito, passò in Puglia, indi in Calabria, e scacciando i Saraceni , e soggettando i Greci, doppo d'haver molto sangue sparso nemico, glorioso adietro rivolse il piede. Catanzaro, che col resto della Calabria, e di Puglia mal tollerando il dominio di Romano per la viltà della sua nascita, liberata s'havea dal giogo servile, è da credere (benche si taccia) che con l'istessa generosità sdegnando parimente la codardia, e la vità di Niceforo, che così vilipendioso 14 lo resero, che anni doppo le memorate sciagure fù in Costantinopoli lapidato, indi per ordine della moglie ucciso nel proprio letto da Giovanni Zimisce, ad Ottone aprisse le porte, non sdegnando d'obedire a colui, che doppo il corso di trent'anni d'Imperio chiuse glorioso il periodo della sua vita.

    Si riposò questa Città sotto l'ombra della protettione dell'Aquila Romana per qualche tempo; finche pervenuti all'Imperio d'Oriente Basilio, e Costantino, tolsero di mano a' Barbari l'Isola di Creta; indi, col mezo de' medesimi al loro soldo passati, ricuperarono la Calabria, e la Puglia. E mentre Ottone secondo herede dell'Imperio, non della Virtù, e della fortuna del padre, vuol farli fronte, abbandonato da’ suoi nel più fervido della battaglia, fù miserabilmente rotto, & imprigionato. Mà non servendosi dell'occasione i nemici, perderono con la speranza dell'acquisto di tutt'Italia il prigioniero medesimo, che fuggito loro di mano, si portò à debellar Benevento, e di là condottosi à Roma, dal dolore abbattuto, finì la vita l'anno decimo del suo Imperio.

domenica 3 luglio 2022

§ 359 030722 Gio:Battista di Nola Molisi, Cronica dell'antichissima, e nobilissima città di Crotone; IV, cap. XI-XII.

 

    Quarta puntata.

Capo delle Colonne detto anco Nao, detto Promontorio Lacinio,

et più anticamente chiamato stortingo.

CAPITOLO XI: 67

   Questo Capo delle Colonne, che hora diciamo, fù primieramente detto Promontorium stortingum, come dice Isacio Interprete di Licofrone, e sta detto di sopra, e che poi fu detto Lacinio da Lacinio Corcirio Socero di Crotone, e l'Interprete di Teocrito dice così detto da Lacinio, che diede la sua figlia Laura per moglie à Crotone: Plinio, Pomponio, Mela, Tolomeo, e altri, Lacinio lo chiamorno, Diodoro nel 13. lib. dell'historie, e Appiano Alessandrino nel quinto, e Servio dichiarando quelle parole del 3. lib. di Virgilio, Attollit se Diva Lacinia contra, affermano che fù detto Lacinio da Lacinio Rè, il quale dal suo nome diede il nome al Promontorio, e al Tempio della Dea Giunone Lacinia, che vi edificò: ancorche Isacio dice, che i Crotoniati fecero quel Tempio dedicandolo alla Dea Theti Giunone per li molti benefici ricevuti; altri dicono, che Ercole havesse edificato questo Tempio, e postole il nome di Lacinio, come frà l'altri dice il Boccaccio lib. 13 della Genealogia degli Dei parlando di Ercole, e se n'è ragionato altrove.

   Tito Livio parlando di questo Tempio nel 14. così dice: Sex millia aberat Urbe (parlando per Crotone) nobile Templum ipsa Urbe erat nobilius, Lacinia Iunonis, Sanctum omnibus circa populis. Lucus ibi frequenti sylva , & proceris abirctis arboribus septus. Lata in medio pascua habuit, ubi omnis generis sacrum Dea pascebatur pecus sine ullo pastore, separatimque egressi cuiusque generis greges nocte remeabant ad stabula; nunquam insidijs ferarum, non fraude violari hominum; magni verò fructus ex eo pecore capti, columnaque inde aurea solida facta, et sacrata est, inclitumque Templum divitijs etiam non tantum sanctitate fuit, ad miracula aliqua affinguntur, plerumque tàm insignibus locis. Fama est aram esse in vestibulo Templi, cuius cinerem nullas unquam moveat ventus. Tutto questo affermano anco Plinio lib. 2. cap. 100. & Valer. Maſſ. nel primo.

   Da queste parole di Livio s'intende, che questo Tempio era sei miglia discosto dalla Città di Crotone, che il Tempio era più nobile dell'istessa Città, venerato molto da tutti li popoli convicini, vi era un bosco folto d'alberi, questo bosco hoggi chiamasi la fossa dello Lupo come sta detto, nel cui mezzo erano pascoli fecondissimi, dove senza pastore pascevano ogni sorte d'animali dedicati alla Dea, e separati di ogni spetie la sua grege uscivano a pascere, e la sera se ne ritornavano nel medesimo bosco, dove giacevano; questi animali da insidie de fiere, ò inganno di mal'huomini non furo danneggiati giamai, e essendosi fatta una gran massa di denari dal frutto di quelli animali, se ne fondò una colonna d'oro massiccia, e consacrata alla Dea, tanto fù inclito, e superbo questo tempio di ricchezze, più che di santità; per li tanti miracoli si affigenano tanti voti; è fama publica, che nel vestibolo del Tempio vi era un'altare, sopra il quale erano certe cenere, quale nessuno vento potè mai movere, come sta detto, con l'auttorità detta di sopra.

   Et Isacio dice, che il Sacerdote sacrificava sopra un picciolo scudo. Strabone afferma, che questo Tempio fù sontuossimo, e ricchissimo. Dionisio Alicarnasio dice, che Enea passando per questi luoghi smontò in Crotone, e andato a visitare il Tempio, le fece dono d'una tazza di bronzo, nella quale si leggeva, come quella era stata data alla Dea da detto Enea, in queste parole tradotte in lingua latina dal Greco:

Aeneas in Templo Iunonis pateram aneam reliquit.

   Girolamo Bardi, e il Doglioni nel Teatro de Prencipi prima parte, volume primo dice che Enea venne in Italia nell'anni del Mondo 2786. Livio nel 28. lib. dice, che Anibale conduttore dell'esercito Cartaginese vi dimorò un'estate, e vi fece erigere un'ara dedicandola al Tempio, e in uina tavola di bronzo vi fece scolpire in lettere Cartaginese, e Greche tutte le guerre, vittorie, e gesti fatti da lui, la quale tavola con dette inscrittio dice haver visto in questo Tempio Polibio nel 3 lib. delle sue historie, e altroue; mà nell'istesso lib. dice detto Livio Anibale havervi fatto anco erigere una colonna, dove si vedeva descritto il numero dell'esercito suo, ancorche Plutarco dice nella vita di Anibale non havervi fatto erigere un'ara, mà uno arco con detta inscrittione.

   Detto Livio nel 14. dice, che Anibale volse riconoscere se quella colonna d'oro, già detta fosse d'oro massiccia, e che perciò la fece perforare, ritrovandola tutta d'oro, se la voleva già portar via; ma l'istessa notte (secondo Celio appresso Marco Tullio nel primo della divinatione) l'apparve la Dea admonendolo molto turbata che non havesse ciò fatto, altrimente l'haverebbe fatto perdere quell'occhio bono, che l'era rimasto, mentre l'altro l'havea perso in Toscana; inteso questo Anibale pentito di quanto haveva fatto, fece fare una bacchetta di quella polvere d'oro, che si era fatta nel pertugiar la colonna, e la fece ponere nella sommità di quella; mà poi detto Anibale, conforme dice Livio nel 39.volendo passare in Africa disperato delle cose d'Italia volevaſi portar seco molti italiani, dico gente di questo paese, quali ricusando, se ne fuggirono in questo Tempio, e egli sdegnato dentro l'istesso Tempio li fece miseramente morire; non essendo stato mai più prima da persona veruna violato.

   Livio istesso dice, che nel sudetto Tempio solevasi ogn'anno fare una solennità chiamata da’ Greci Panegiris; ciò è uniuersale conventione, perche venivano da tutte le parti d'Italia, non solo dalla Magna Grecia, l'huomini & le donne ad honorare la Dea Lacinia, & in una Festa, nella quale conforme al solito erano concorsi infinite migliaia d'huomini, e di donne, vi si mostrò, secondo anco dice Aristotile nel suo lib. delle mirabile Auscultationi, la veste d'Alcistone Sibarita, la quale era lavorata con tanto magisterio, e arteficio, che recò non poca admiratione a chiunque la mirò; fù questa veste comprata da’ cartaginesi cento vinti talenti (quale viene valutata in questa nostra moneta in ducati settanta dui milia, perche ogni talento importava seicento scuti), vendutali da Dionisio, il che afferma anco Nicolao Leonico Thomeo de varia historia lib. primo, cap 88. ella era tutta purpurea di amplitudine di quindeci cubiti lavorata con certi animalucci di Susa dalla parte di sopra & dalla parte di sottodi Persia, nel mezzo si vedeva dipinto, Giove, Giunone, Themi, Minerva, Apolline & Venere, & nelli lati Alcistone dell'una parte, & dall'altra Sibare sua patria, tutta lavorata ad aco, & era anco, secondo Giovanne Tzetze, ornata di bellissime, & ricchissime margarite, e altre pietre pretiose. Testore nella seconda parte della sua officina raggiona di questa veste ancora.

   Quel dottissimo D. Antonio de Ponte, che tanto tempo resse scuola di Grammatica in Crotone in un certo suo scritto à penna, raccontando un suo viaggio, così disse parlando della spiaggia di Italia da questa parte: A Crotoniarum salubri Lacinio quod hodie Naum a mirabili Iunonis templo appellant, vada, enim id sonat noster maritimus cursus vela primum pandat in altum, ubi Populi Romani fulmen Anibal columnas res belli sua ordine continentes erexit, inde in primo Italia cornu Orientem quod, et Divae Mariae caput, & Leuca dicitur attollit se Promontorium Salentinum &c.

   Cicerone nel secondo dell'inventioni dice, che voIendono i Crotonesi fare abellire questo Tempio, e ornarlo di bellissime figure, fecero venire in essa Città Zeusi il più illustre Pittore di quella età, costui pinse bellissime pitture, delle quali una gran parte per inſino à suoi tempi per honor de la Dea si conservavano; & volendo pingere un'imagine di Giunone, studiò per farla una delle più belle, che mai fosse stata, perilche disse à Crotonesi egli in tal quadro voler dipingere il simulacro d'Elena, costoro, come che ben haveano inteso Zeusi nel dipingere un corpo di donna avanzare tutti i Pittori del mondo, diedero orecchie alla grata domanda, giudicando, che se s'havesse preso fatica nel pingere un tal corpo di donna, conforme la sua peritia in questa arte, sarebbe stata poscia questa pittura una cosa mirabile al Religioso, e ben forbito Tempio, nè l'ingannò punto tal pensiero; perche Zeusi li domandò voler vedere le vergini belle della città, eglino subbito senza tardare, lo trassero in una palestra, mostrandoli molti fanciulli di gran leggiadria, & bellezza, li quali visti Zeusi così belli, e di tale corporea dispositione adorni, restò quasi attonito, e stupefatto, confessando in tutto il mondo non possersi trovare, nè lui havere visto giamai tale dispositione di corpi: soggiunsero i Crotonesi, che le sorelle di quelli fanciulli erano à loro simili: perilche Zeusi le domandò queste verginelle; acciò nel dipingere s'havesse servito della loro sembianza, à proportione, i Crotonesi subito ridussero in uno luoco quelle Vergine, dando potesta al Pittore, che sciegliesse di quelle quali esso voleva: n'elesse cinque delle cui nomi molti Poeti ne fanno mentione, come dice Cicerone, esistimando Zeusi, che in uno sol corpo, non posseano stare tutte insieme quelle dispositioni, che si ricercano per formare una perfetta bellezza in un simolacro.

   Le parole di detto Marco Tullio Cicerone nel detto secondo lib. dell'Inventioni sono queste, così poste in latino per maggior sodisfattione de’ curiosi Lettori: Crotoniata quondam cùm florerent omnibus copijs, et in Italia cùm in primis beati numerarentur, Templum lunonis, quod religiosissime colebant egregis picturis, locupletare voluerunt; Itaque Eracleotem Zeusim, qui tum longe caeteris excellere pictoribus existimabatur magno pretio conductum adhibuerunt is, et caeteras tabulas complares pinxit, quarum nonnulla pars usque ad nostran memoriam propter sani religionem remansit; & ut excellentem muliebris forma pulcritudinem muta in sese imago contineat, Helenae se pingere simulacrum velle dixit; quod Crotoniata, qui eum muliebri in corpore pingendo plurimum alijs praestare saepe accepissent, libenter audierunt. Putaverunt.n. eum, si quo in genere plurimum posset, in eo magnoperè elaborasset, egregiam sibi opus illo in sano relicturum, neque tamen cosilla opinio sesellit: nam Zeusis illicò quaesivit ab eis, quas nam virgines formosas haberent, illi autem statim hominem duxerunt in palestram, atque ei pueros ostenderunt multos magna praeditos dignitate. Etenim quodam tempore Crotoniate multum omnibus, corporum viribus; & dignitatibus antesteterunt, atque honestissimas, et gymnico certamine victorias domum cum maxima laude retulerunt, &c. per il resto rimetto il curioso Lettore al detto lib. di Cicerone.

   Plinio nel 35. delle ſue historie naturali dice, che a Zeusi fece questa pittura alli Agrigentini in Sicilia, e questo forse per errore di stampa, la quale pittura così ben proportionata, e perfettionata Zeusi non aspettò, come dice Valer. Massimo nel capitolo settimo del terzo lib. il giuditio, che di tal'opra l'huomini far dovessero; mà subito vi scrisse di man propria alcuni versi greci d'Homero, li quali secondo la translatione d'Oliverio Arziganese sonano in latino:

Haud turpe est frons, fulgenteque aere pelasgos

Coniuge pro tali diuturnos ferre laboris

Aeternis facies nimis est aequanda Deabus.

   Perilche si vede chiaramente Zeusi tanto havere attribuito alla sua destra, e tenuto per fermo egli con quella pittura haver compreso ciò che la detta figliola di Tindaro, e madre d'Elena ingravidata da Giove havesse partorito, & ciò che potè mai esprimere Homero col suo acuto ingegno, e Ludovico Ariosto Poeta eccellentissimo al nostro proposito, raggionando delle bellezze di Olimpia nel suo vindecimo canto così và dicendo:

E si fosse costei stata à Crotone,

Quando Zeusi l'imagine far volse,

Che por dovea nel Tempio di Giunone,

E tante belle nude insieme accolse,

E che per una farne in perfettione,

Da ch'una parte, e da ch'un'altra tolse

Non dovevasi torre altra, che costei,

Che tutte le bellezze erano in lei.

Et Lodovico Dolce nel Tempio della Signora Donna Geronima Colonna così disse:

Zeusi già per formare una figura,

In cui locasse ogn'eccellenza d'arte,

Da cinque belle con estrema cura

Tolse sciegliendo la più bella parte;

Onde tal poscia fù la sua pittura,

Che l'honorano ancor tutte le carte;

Perche in un corpo, veder non potea

De la vera beltà la propria Dea.

  Licofrone nella sua Cassandra dice in questo Tempio essere venuto Menelao, & Achille, & altri Greci, & Troiani ancora ad offerire alla Dea pretiosissimi doni, così dicendo in latino il suo Interprete tradotto dal Greco:

Venietgue ad Syrim, et Lacinij recessus

In quibus inventa ortum parabit Dea

Hoploſomia plantis ornatum

Mulieribus vero lex incolis semper

Lugere noctem cubitorum Aeaci tertium,

Et doridis flammam miserae pugnae,

Et neque auro pulchra armare membra,

Neque tenuissimo filo contexta inducere Pepla

Purpura variegata quanto Dea Deus

Terra magnum stortingum donauta condere.

   In questo Tempio scrive Livio nel 23. havervi sbarcato Senofane con altri legati da Filippo Rè di Macedonia mandati ad Anibale, il quale caminando per la Puglia verso Capua, capitò nel mezzo delli presidij Romani, e fù menato à Marco Valerio Pretore, che all'hora stava accampato a Nocera; mà egli sottofintione d'essere mandato da Filippo à trattar pace co’ Romani, hebbe luoco di passare nel campo d'Anibale, con il quale concluse la pace, e la lega, e poi tornaro nel detto Tempio, dove havea lasciato la nave con detti suoi compagni s'imbarcò, e soggiunge detto Autore, che non solamente si vedeva ornato detto Tempio di tante eccessive ricchezze, ma vedeasi rilucer gran reverenza, & osservanza da’ servitori & persone che lo servivano essendo tutti legali, e fedeli senza fraudarle cosa veruna.

  In questo Tempio violato da Quinto Fulvio, come si legge appresso Livio nel quarantesimo secondo, dove racconta, che havendo fatto voto detto Quinto Fulvio Flacco Censore Romano in Spagna nella guerra Celtiberica di edificar alla Fortuna Equestre un Tempio, usò ogni studio di farlo il più magnifico, & pomposo Tempio, che in Roma fosse giamai veduto. Quindi, giudicando esser di non poco ornamento alla fabrica di quello se le tegole fossero state marmoree, havendo visto quelle in questo Tempio, lo fè scoprire per la metà, giudicando quella parte bastare per coprire il suo (tanto era grande questo Tempio) & carricate le navi, tosto nel destinato luoco furono le tegole conforme l'ordine del Censore portate nel tempio, ch'egli edificava, & quantunque facesse ciò con ogni secretezza possibile, subito nulladimeno se ne sparse la fama per tutto Roma, talche nacque in Corte un romore, che d'ogni parte si sentivano voci, che li Consoli ciò dovessero al Senato proponere; erano Consoli Lucio Postremio Albino, & Mario Papilio Lenate; onde per tal causa chiamato il Censore, & venuto dentro al Senato fù da tutti molto aspramente di tal cosa commessa biasimato, ributtandole in faccia che fosse parso poco haver violato il più religioso, devoto & il più gran Tempio di tutta Italia, & che nè Pirro, nè Anibale odiosi, & inimici del nome Italiano l'havevano voluto violare per la riverenza, che portavano alla Dea Giunone, il che per cosa di poco momento reputata sarebbe, s'egli non l'havesse, così obbrobriosamente senza risguardo alcuno, quasi rovinato, non che discoperto; posciache di forte rimaneva spogliato del Pinnacolo, che restava ad esser tutto infracidito, & guasto per le pioggie, & le tempeste, dicendoli ancora, che l'officio del Censore a questo fine da’ loro maggiori era stato instituito, acciò havesse constretto altri à far racconciare i tetti dell'edifici sacri, e quelli accuratamente mantenesse, e non che andasse per le Città loro confederate, rovinando i Tempij, & denudando quelli; il che quando, pur nelli privati edifici dei confederati si facesse, sarebbe degno di riprensione, supplicio, quanto maggiormente nelli Dei immortali, obligando il Popolo Romano à così grave peccato edificando Tempij con rovinar altri Tempij, come che li Dei immortali non fossero per tutto; ma alcuni si dovessero honorare con le spoglie dell'altri dell'inimici, & fatta questa reprensione ordinorno, che sottoformidabile pene le tegole si riportassero, e riponessero nel Tempio al luogo loro con fare a Giunone sacrifici per purgare così fatta sceleraggine, e dopò non molto tempo riferirno i conduttori, à quali era stato il carico di riportarle al detto Promontorio Lacinio, le dette tegole haverle lasciato nella piazza del Tempio, per non haversi possuto ritrovare artefice, ch'avesse possuto ritrovar il modo di riponerle al luogo loro. Soggiunge detto Livio, che detto Quinto Fulvio Flacco la pena di tal sacrilegio pagò molto miseramente, perciò che di due suoi figli, li quali erano per all'hora stipendiarij nell'Illirico, gli fu riferito, uno essersi passato dal campo, e l'altro di grave, & pericolosa infermità ritrovarsi aggravato, le quali cattive novelle subito ch'egli l’intese di pianto, & di timore grandissimo assalito, fù tale, che, entrati i suoi seruitori la mattina, conforme al solito, nella camera, ritrovorno quello pendere per un laccio al collo, così infelicemente terminando la sua vita; benche era fama, che deposto dell'officio di Censore divenne pazzo, lo che publicamente si diceva esserli avvenuto per ira, & sdegno della detta Dea Giunone Lacinia; il tutto racconta detto Livio, & anco Valer. Maſſ. nel secondo cap. del primo libro.

  Fù anco detto Tempio esposto in preda da Sess. Pompeo il Giovane ad Antonino quando fù posto in fuga, come si racconta in Appiano Alessandrino nel quinto lib. delle guerre civili; questo sarà stato intorno all'anni del Mondo 3982. conforme il computo degl'anni di Girolamo Bardi nelle sue età del Mondo.

 

Quanto era grande il Territorio di questa Città, con le Città, & Terre, che stavano sottoil suo diretto dominio.

CAPITOLO XII: 77       

   Habbiamo descritto la grandezza della Città, il Castello, il Porto, la sua Piazza, li Tempij, le statue, le Fontane, li Fiumi, li Torrenti, l'Acque, li Monti, le Valle, li Giardini, li Boschi, & quanto dentro, & suora le mura della Città trovavasi: adesso habbiamo à trattare quanto stendeua il suo Territorio, dominio, & potesta con le Città, Terre, Fiumi, Valle, Monti, & altro di bene, che questi luochi producano, & ne' tempi antichi erano apparenti.

   In quanto alla grandezza del territorio, hò letto in Tucidide nel settimo libro, che l'essercito Atheniese , quando stava sottoil governo di Demostene, & Eurimedonte, havendoſi accoppiato amicitia con quelli della Republica Turina, finita ch'ebbe l'espeditione, per non aggravare con la moltitudine de’ soldati a essi Turini,volle trapassare nel territorio Crotonese, & gionto, che fù con li soldati nel fiume Ilia, hoggi detto Trionte, non permisero Crotonesi, che passassero oltre il fiume, non volendo in modo alcuno concederli luogo nel territorio loro, perloche habbiamo, ch'el fiume Ilia era termine antico del territorio Crotonese, quale fiume Ilia, seu Trionte, conforme si chiama hoggi, è nella parte Orientale di Calabria, già detta Magna Grecia; l'altro termine Occidentale del territorio Crotonese era anticamente, conforme al detto di Plinio, e di Solino, la Città Terina, hoggi detta Nucera di Castiglione, dall'istessi Crotonesi fabricata in una pianura vicino un Castello maritimo, detto Castiglione, dal quale prende il nome, ma perche più oltre della detta città Terina si vede un'altra Città destrutta dall'istessi Crotonesi, chiamata Cleta, qual'hoggi dopò la sua riedificatione è detta Petra Mala, perciò inſino, e per tutto detta Città si stendeva questo territorio.

   E volendo incominciare il camino dal detto fiume Trionte, inſino à detta Terra di Pietra Mala, si ritrova Crisia, falsamente da’ Paesani detta Crosia, penultima prodotta, poi siegue Calopizzati, Caliviti Abbadia, la quale già possedeva l'Abbate D. Giacomo Vezza, Dottore dell'una, e l'altra Legge, Gentil'huomo di detta Città di Crotone, persona molto dotta, e di molta auttorità, ma nel 1646. la diede à pensione all'Abbate Gio: Pietro Suriano, anco Gentil'huomo di essa Città di Crotone. Bocchigliero, Campana anticamente detta Calaserna; & in queste parti si fa la Manna, della quale se ne farà particolare mentione; poi siegue, alla Marina la Città di Cariati del Sign.Prencipe della Casa Spinelli; verso la Montagna è la Terra detta la Scala; appresso viene Crucoli Terra della Famiglia degli Amalfitani, Gentil'huomini della Città di Crotone, delli quali viveno hoggi Diego Francesco il Barone, e Domenico suo fratello; poi siegue il Promontorio Chrimissa, al presente detto dell'Alice; e verso terra sopra un monte si vede la Terra Psicrò, hoggi Cirò, del Sign. Prencipe di Tarsia, con titolo di Marchese, anticamente chiamata Paterno, più sopra la Montagna siede la Città di Umbriatico, adornata del suo Vescovo, anticamente detta Bistaccia, & è Patria di quei due fratelli nominati Aloisio, & Antonio Giglio, valenti Medici, & Astrologi, li quali nel tempo di Gregorio XIII. riformarono l'anno, correndo quello del Signore 1581. come se ne ragionerà a suo luoco. Si vede poco discosto Verzine, seu Vergine, dove sono le minere d'argento, vi è il zolfo, l'alume, il vitriolo, l'alabastro bianco, e negro, la minera del ferro, la terra Samia, che noi diciamo terra di Tripoli, con la quale si poliscono le gemme pretiose; vi sono anco le Saline terrestri, quali rendono alla Regia Corte molte migliaia di docati l'anno; vi nascono molte herbe, e semplici bellissimi. Presso questa è la Città detta anticamente Pumento, hora, Cerenthia, di dove fu Vescovo il Beato Bernardo, che al presente questo Vescovato và congiunto con quello di Cariati & è compresa, come habbiamo detto, in questo territorio, la cui Chiesa Gregorio Magno Pontefice nel libr. 5. scrivendo à Bonifacio Arcivescovo di Reggio, aggregò al suo Ovile, e governo, non parendoli bene mandarci Vescovo, per la poca gente, che all'hora vi si ritrovava, come lo riferisce il Doglioni nel suo Teatro de' Prencipi, che detto Pontefice fa nell'anno 590. & il Politi l'apporta nella sua Cronica di Reggio libro 2. fol. 82.

  Più sopra alla falda della Sila si vede S. Giovanni de Fiore, dove sono venerate grandissime reliquie, lasciatevi dal Beato Giovanni Gioacchino, appare Cacure, da dove vengono li dignissimi Dottori Francesco, e Giovanni Simonetta, appresso Casabuona, di dove era Marchese Scipione Pisciotta, Gentil'huomo di Crotone, siegue Cinga Castello forte, che fù della Famiglia Malatacca, poi di Pipino, appresso di Lucifero, & ultimamente degli Amalfetani Gentil'huomini Crotonesi, e Belvedere, Malapezza, e Montespinello anco de' Luciferi, Melissa viene appresso, e la Città di strongoli, anticamente detta Petilia, dove è il Tempio di Filottete, e molti antichi scritti in marmo si trovano, anco molti edificij diruti vi appareno. Il Sign. D. Francesco Campitello è Prencipe di strongoli, e Conte di Melissa, Fameglia de' Gentil'huomini Crotonesi, dove ancora alcuni poderi tengono il nome di Campitella. In questa Città di strongoli si conservano due marmi, quali hò visto lo; dove sono inscritte queste lettere: M. Megonio M. / F. M. N. M. Pron. Cor. Leoni,/ Ac. IV. Vir. Leg. Cor. Q.P.P.IV. Vir./ Decuriones Augustales, Populusque ex/ aere conlato obmerita eius.

E nell'altro: M. Megonio M./ F. Cor.Leoni Aed. IV. Vir. Leg./ Cor. Quaest. Pec P. Patrono Municipi/ Augustales ob merita eius L.D.D.D.

  Volendo dire, che li Petelini havevano fatto statue à Marco Megonio Municipi, alli quali per decreto fù dato il luogo delli Decurioni. questa Città fù edificata da Filottete, conforme riferisce Strabone, e Solino; fù poi fortificara da’ Sanniti; Livio descrivendo la seconda guerra de' cartaginesi, loda quella della grandissima fede, che servò à Romani, quando erano stati rotti à Canne da Annibale, dal quale fù assediata, e  combattuta molto tempo; & alla fine non havendo possuto havere aiuto, si brugiarono da se stessi: & Annibale, non li Petelini soggiogò, mà il loro sepolcro nel fine della guerra acquistò. Val. Mass. nel libr. 6 capit. 6. de Petelinis. Itaque Anibali non Peteliam, sed fidei Petelinae sepulchrum capere contigit. Dimostra Strabone, che ella fosse ben popolata ne' suoi tempi, ma hora è molto picciola: ancorche altri dicano, che Petelia sia Belcastro, & altri Policastro. Sia come si voglia, mi rimetto al curioso Lettore, che potria essere havesse letto più di me. Ma io dico, che fosse strongoli, essendovi stato personalmente, e riconosciuto il tutto, necessa-riamente la chiamo Petelia. Vi sono anco in queste parti tre Casali di Albanesi, l'uno detto Scarfizzi, Santo Nicola l'altro, & il terzo Palagoria, la Rocca di Neto più à basso vicino il fiume Neto, che è Baronia della famiglia de' Protospatari Gentil'huomini di Crotone, del qual fiume perche se n'è pienamente ragionato di sopra, non occorre dirne altro.

   E queste sono le Terre situate attorno detta città dalla parte di Tramontana nella marina, e dalla parte di Ponente nella montagna seguendo appresso l'altre Terre similmente nella montagna, e dalla parte di mezzo dì nella marina, tutte nel territorio di Crotone.

   Habbiamo descritto la metà del Territorio, e giurisdittione che teneva anticamente Crotone, dico per la parte, che hoggi si dice Calabria Citra, adesso ragionaremo dell'altra parte che sta al presente in Calabria Ultra; & seguendo Strabone nel 6. diremo, che dalla retroscritta Terra, detta Pietra Mala, sita nella marina di Ponente, tirando per dirittura nel fiume verso Levante detto Cecino, stendeva il Territorio di Crotone, dopò si restrinse ſino al fiume Crotalo, il quale divideva i termini frà Crotone, e Locri; e Squillace era dentro il Territorio di Crotone; ancorche l'istesso Strabone altrove dica, che dopò Squillace veniva il Territorio di Crotone: mà Dionisio Tiranno de Sicilia tolse detto Squillace a’ Crotonesi, e la concesse a’ Locreſi. Così sta riferito dal Barreo, che fa la descrittione di Calabria, della quale ci serviremo in questo scritto per detta materia, dicendo così nel lib. quarto.

   Dopò Crotalo fiume viene Catanzaro Città Nobile con molti Casali, sita trà il detto Crotalo hoggi nominato Corace, & Alli, ambidue fiumi, fù edificata la Città da Fagitio,procuratore dell'Imperatore Niceforo in Italia, edificandovi anco una Chiesa in honore di S. Michele Archangelo, la quale Chiesa dall'Arcivescovo di Reggio fù consecrata; vi sono anco li telari d'ogni sorte di drappo di seta con privileggi amplissimi, delli Rè di questo Regno. Hoggi vi risiede la Regia Audientia di Calabria Ultra, per lo che è molto accresciuta la Città di ricchezze, di Popolo, e di Nobiltà.

Nella Chiesa Vescovale è il corpo di S. Vitaliano, & il braccio di santo Teodoro: morì ultimamente Gio. Giacomo Pavisi di questa Città, il quale scrisse sopra la prima Filosofia, e sopra il libro de Anima di Aristotele, & altre opere molto degne. Vescovo di quella è Monsign. Levadisio, nativo dell'istessa Città, persona di vita molto esemplare, & è stato Vescovo della Città di Bova. Appresso viene la Città di Taverna verso la montagna detta la Sila; per mezzo di questa passa il già nominato fiume Alli, detto da’ Latini Allium. In questa Città detta Trischines, nobile, e popolosa, cinta di Muri, e Torri; con tutto ciò havendo patito assedio da' Cretesi, da' Mori, e da' cartaginesi più volte, alla fine per insidie fù espugnata; vi fu la Sede Vescovale antichissima, la quale tenne Lucio detto Trium Tabernarum Episcopus, il quale intervenne nel Sinodo Romano, sottoHilario Papa, e Decio Vescovo di Taverna intervenne nel Sinodo Romano sottoFelice Papa, ma dopò che fù rovinata, e destrutta, Gregorio Papa raccomandò detta Chiesa à Giovanni Arcivescovo di Reggio, come si legge nel Codice Vaticano; hoggi è suffraganea del Vescovo di Catanzaro. Fù questa Città detta Trischines, cioè Tres Tabernae, overo Tria Tabernacula, perche essendo ivi tre Chiese principali, il Vescovo della Città costumava celebrare nelle Feste principali in ciascheduna di quelle alternatim: dopò detta ruina Niceforo Imperatore di Costantinopoli mandò Gorgolano in Calabria, ad effetto di rifare le Città distrutte per l'invasioni di tante Nationi straniere, che tutta Italia, non solo Calabria, destrussero, conforme rifece molte nell'istessi luochi, dov'erano; mà questa Trischines, & altre Terre in altri luochi convicini rifece, e stefano Arcivescovo di Reggio consacrò questa nova Chiesa di Taverna, e dopò che morì il Vescovo Nicola, li Tavernesi elessero per loro Vescovo Marino. Nella Chiesa de' Padri Minori è il corpo del Beato Matteo di Mesuraca, che fu di santa vita, e se ne leggono molti miracoli. sono li Tabernesi amici degli huomini Letterati, perciò riescono in ogni scienza molti Valent'huomini, tiene buone acque e buoni frutti; tiene molti Casali, cioè li Nuci, Maranisi, Sabuco, Fossato, Pentone, S. Giovanni, S. Pietro, Albi, Dardanisi, Magisano, Vincolisi, & altri: sopra la montagna è l'Abbadia detta de Altilia dell'Ordine di S. Baſilio, dove sono queste reliquie: una costa di S. Lorenzo Martire, un pezzo di osso di S. Basilio, di S. Senatore, e Cassatore, e Dominatore, di S. Pancratio, di S. Sebastiano, di S. Trifone, e di molti altri Santi.

   Appresso viene un Castello detto la Sellia, luoco picciolo, mà molto forte di sito, e di fabrica, posto in luoco sublime, dove vi sono pietre di oro, e d'argento ammassate con terra, di maniera che nel tempo di Filippo II. furono mandate persone prattiche per ridurre quelle pietre in oro puro, e in puro argento; ma per essere li boschi lontani, era tanta la spesa, per condurre le legna, che non trovandoci utile, lasciarono l'impresa; appresso viene Zagarisi terra picciola, ma dotata d'ogni cosa necessaria al vitto humano, piacevole, e dilettosa, appresso il Casalnuovo detto Sersale, dalla casata del Barone della Sellia, che è detta Sersale, che se ne ragionerà appresso; dopò più basso verso mare è Simmari, in questi territorij si fanno li risi, si coglie la manna, la spina pontica, reupontico, lapis phrigius, & altri semplici: dopò siegue Cropano, il quale essendo alla falda della montagna, soprasta à bellissimi territorij, che si stendono fino al mare, dov'è una fortissima Torre della Regia Corte per defensione di quelle marine, e Terre convicine; dopò è la Città di Belcastro Sede Vescovale, altri la chiamarono Crimissa, edificata da Filottete, come dice Strabone, quando parla di Petelia, così dicendo: Circa loca ipsa Philottetas, & vetustam condidit Crimissam. Apollodoro dice: Ut Philottetas ad Crotoniatum agrum profectus promontorium Crimissam habitari fecerit; perche Filottete nel Territorio di Crotone edificò molte Terre. In questa Città di Belcastro sono acque bellissime, e ogni delitia; perche sta nella falda della montagna superiore alla vista del mare, e poco lungi dalla Sila; dunque e nell'una, e l'altra parte può ciascheduno sollazzarsi à suo modo, vi si coglie la Manna, e abbonda questa Città d'ogni cosa, che serve al vitto humano.

   In questa Città fu nodrito S. Tomaso d'Aquino Dottor Angelico dell'Ordine de' Padri Predicatori; il padre si chiamò Landolfo, la madre Teodora, suo padre fù Conte d'Aquino, di Belcastro, e di Loreto, che anticamente erano de Frangipanis, dopò presero la casata dal nome della Terra d'Aquino, che possedevano, della qual famiglia fù S. Gregorio Papa, conforme si lege in una Cronica antica, che si conserva nel Convento de' SS. Gio. e Paolo in Venetia, e per testimonianza di ciò si porta, che nel Castello di detta Città di Belcastro vi è una pittura antichissima, dove si vede S. Tomaso fanciullo, che mostra al padre il seno aperto pieno di rose fresche in tempo d'horrido inverno: perilche si vede, e conosce, che in questo Castello fù fatto quel miracolo, quando per la gran povertà, e carestia, che era in quel tempo, S. Tomaso di nascosto del padre rubbava il pane, e dava quello a poveri; una delle volte il padre, che vidde il suo seno pieno, gli domandò, che portava e il fanciullo per il gran timore, e riverenza, che portava al padre, dubitando non havesse à disgusto, che lui rubbava il pane per darlo a’ poveri, scusandosi, disse che portava rose & aperto il seno, in vece di pane ritrovaronsi rose, il quale miracolo fù inditio della sua santità. Morì questo Santo nel Monasterio di Fossanova territorio della Città di Terracina nell'anno del Signore MCCLXXIV. mentre andava al Concilio di Leone di Francia, chiamato ivi da Gregorio Decimo.

   Nacque nella Città di Crotone, e questo lo testifica egli stesso, quando nel primo della Meteor. d'Aristotele scrisse, che Pittagora Filosofo Crotonese fu suo conterraneo, e non bisogna testimonianza maggiore, del proprio suo detto; & il Marafiotti fol. 503. apporta che S. Tomaso fù di Crotone. questa Città di Belcastro hà il Casale Andali, seu Villa Ragona. Di questa Città è Duca il Sign. D. Oratio Sersale, come si dirà.

   Il Beato Abbate Giovanni Gioachimo nelli Commentarij sopra Isaia rassomeglia il paese di Calabria à Nazareth Città di Galilea, dove fù salutata la Vergine Maria dall'Arcangelo Gabriele, e dice, che si come in Nazareth fu mandato da Dio l'Angiolo à Maria, così in Calabria dovea da Dio essere mandato Dottore Angelico, per le quali parole appare, che profetizzò, che in Calabria dovea nascere S. Tomaso d'Aquino, chiamato il Dottor Angelico; l'apporta il Marafioti libr. 5. fol. 488.

    Appresso si trova Mesuraca, ò vero Mesurga, anticamente detto Reatio, dalli Enotrij, per il nome del fiume detto Reatio, che vi passa per mezzo, conforme al detto di stefano, tiene due Casali, l'uno detto Rietta, e l'altro Marcedusa, di questa Terra fù il Beato Matteo Vidio, Monaco dell'Ordine de' Minori, il cui corpo è in Taverna, come si è detto. Questi di Mesuraca nell'anno 1517. ammazzorno il loro padrone, ch'era di casa Caracciolo, con tutta la sua fameglia; tutto questo successe, perche quello li maltrattava nell'honore e nella robba senza discrettione, conforme si legge, che fecero li Locresi contro Dionisio Siracusano, e sua famiglia.

    Policastro nella falda anco della Sila fortissima Città di sito, quale alcuni chiamarono Petelia; altri dicono, che strongoli, come si è detto, sia Petelia, sia come si voglia.

   In questa Città di Policastro nella Chiesa de’ Zoccolanti riformati è vina spina della Corona di N. S. Giesù Christo, che perciò S. Maria della Spina viene questa Chiesa nominata; dove ogni anno della metà di Agosto per detta devotione tutte le convicine Terre concorreno.

   In questo Territorio si fà la zaffarana, la manna, e vi sono marmori, vi si fanno tavole, travi, e ogni sorte di legname per case, per vascelli, per galere, e per ogni altro uso.

   In questa città si scrive cancellaresco communemente, e si parla Toscano, nè si sà scrivere nè parlare d'altra maniera indifferentemente da tutti, perciò pare, che Dio habbia voluto così, che ritrovandoſi il Rè Filippo IV. debitore al Gran Duca di Toscana in certa quantità di denari, le diede detta città in sodisfattione.

   Più sopra è una Terra detta li Crotonei, che deriva da Crotone, perche li Crotonesi l'edificarono.

   Hora è tempo di dire, che fin'hora si è trattato di molteTerre, le quali sono del Sign. D. Horatio Sersale; il quale è Duca della Città di Belcastro e Signore della Sellia, di Zagarisi, del Casale nuovo detto Sersale, e delli Crotonei ultimi, come sopra descritti. questo è Cavaliero Napolitano del Seggio di Nido: più à basso è il fiume Tacina, del quale fà mentione Plinio nominandolo Targines, e dopò è la Rocca Bernarda.

   Appresso viene la Città di S. Severina, in greco ΣIBEPHNH, lungi dal mare di Crotone dieci miglia, fortissima di sito, per essere una Rocca come una pigna di pietra fortissima, dove si saglie per stretti sentieri, e nella sommità è un Castello intagliato dentro l'istessa pietra, con fosso, e contrafosso, con due ritirate, conſorme il Castello Nuovo di Napoli, che la rende fortezza inespugnabile. Fù edificata dagli Enotrij, li quali cresciuti in gran quantità nella Città di Crotone, dove incominciaro ad habitare, portati da Noè, il quale da’ Greci fù detto Enos, che in loro lingua vuol dir vino, perche Noè fù inventore del vino, e da detto Enos derivato il nome, furno detti Enotrij i popoli, che lui portò ad habitare in quel luoco, che poi con il tempo dal nome di quell'huomo detto Crotone, fu detta Crotone la Città, che ivi Ercole ordinò si edificasse da Miscello, conforme disse Dionisio Alicarnasseo libr. I. Strabone, Diodoro Siculo nel 5. Antioco, e altri, che questi Enotrij quivi habitassero cinquecento sessantasette anni prima la guerra Troiana, e per l'autorità apportate dal Marafiotti nella sua Cronica di Calabria, si dice, che dalla destruttione di Troia inſino al principio dell'edificatione di Roma corsero quattrocento trentatre anni, il che anco ritrovo in Solino, dall'edificatione di Roma fino alla Natività di Christo N. Signore corsero anni settecento cinquant'uno, di maniera che prima la Nativita di Christo N. S. uniti detti anni sono 1751. e tanti anni erano passati prima della Natività di N. Sign. che fù edificata questa Città di Santa Severina, e non anni 1250. conforme disse stefano; due sorte di monete ritrovo in quel nobil scritto delle medaglie del Dottor Prospero Parisi, che, faceva questa Città; nell'una da una parte è la testa di Pallade armata, e dall'altra la nottola, ucello di notte, appropriato alla detta Dea, dove sta ſcritto ΣIBEPHNH: nell'altra moneta era la testa di Diana coronata d'alloro con la faretra al collo, e dall'altra parte una cerva, animale appropriato à detta Dea, dove anco sta scritto ΣIBEPHNH.

   E hoggi Città Metropoli insignita dell'honore di Arcivescovato, di dove è hoggi Arcivescovo Monsig. Fausto Cafarelli Sign. Romano, il quale è stato Nuntio in Turino nel Pontiſicato di Urbano VIII. & è molto accetto appresso questo Pontefice innocenzo Decimo.

  Và compreso in questo Arcivescovato il Vescovato della Citta detta Leone, anticamente Leonia, già destrutta da’ Saracini; fu poi da’ Sommi Pontefici aggregato questo Vescouato al detto Arcivescovato, del quale l'Arcivescovo se n'intitola Vescovo hoggi dì ancora.

    Nell'Arcivescovato è una sontuosa Cappella con il titolo di S. Leone in memoria di detto Vescovato; quale Città di S. Leone era conforme hoggi se ne vedono le reliquie dishabitate, nell'ultimi conſini del territorio di S. Severina, & quel di Crotone, via publica per il mezzo, vicino le Terre dette Spataro, e Mezzaricotta di Crotone, che anticamente detta Città fù detta Leonia.

   Nell'Arcivescovato si conserva un braccio intiero di S. Anastasia, portato da Roberto Guiscardo primo Duca di Calabria. Produce ogni sorte di frutti, particolarmente agrumi bellissimi, come quelli di Reggio, olive, come quelle di Spagna.

   Appresso sopra un monte è la Terra di Santo Mauro, e più à basso è Scandale, qual'è Casale di Santa Severina.

  Nel territorio prossimo à queste parti era un Casale di Crotone detto strongolito, un'altro S. stefano, hoggi sono destrutti, e non ci sono habitationi.

  Rivoltando à dietro a mare sottoCutri è un luogo detto Santo Lonardo de' Padri Gesuiti, che tengono per il commodo di seminare, e per altri loro usi.

   Dipoi siegue nel mare istesso una picciola Terra detta le Castelle anticamente Castra Anibalis della quale nell'occasione delle guerre successe in questi luoghi, se ne farà relatione più compita. Viene appresso alquanto al piano più dentro terra la Città dell'Isola, della quale essendo Vescovo Luca, il Conte Rugiero Duca di Calabria le concesse molti privileggi, le constituì alcuni territorij, & altri doni li fece, conforme si legge nel privileggio, che io hò visto spedito nel mese di Maggio, Indittione quinta, l'anni del Mondo 6600. tiene un Casale detto S. Pietro, con boschi, acque, & ogni cosa necessaria. Di questa Città furono Baroni antichi quelli di Casa Ricca famiglia molto nobile, & antica, mentre Rè Ferrante Il d'Aragona nell'anno 1495. per li gran servitij prestiti, donò per se, suoi heredi, & successori la Città dell'Isola, e suo distretto a Troilo Ricca, dal quale successivamente venne à D. Antonio Ricca ultimo Barone, dal quale venne la Baronia alla ſamiglia Catalana, descendente dal Consiglier Antonio, e nepoti di Monsign. D. Carlo Vescovo un tempo di Crotone, de' quali vive hoggi il Barone D. Luise Catalano.

   Più sopra dentro terra è la Terra Cutri, del Signor Prencipe dello Sciglio, prima del Sign. Duca di Nocera, che vuol dire Croto, che pure viene derivata da Crotone, credo li Crotonesi anco l'habbiano edificata, mà Razano dice, che deriva da Chitrone, che vuol

dire freddo, per essere posto sopra un'alto monte, che di continuo è combattuto da vari venti, che perciò è luogo molto freddo. Dopò viene S. Giovanni Minagò, & Papaniceforo, Casali de' Greci; mà detto Papaniceforo pochi anni sono pagò ducati quindecimila alla Regia Corte per redimersi d'essere Casale di Crotone, e hoggi viene mandato dall'Eccellenza del Regno il Capitano, da quella parte habbiamo lasciato indietro fra l'Isola, e Cutri la Baronia di Massanova, dove sono bellissime fontane, e pascoli, con buoni territorij, per seminare, ch'è del Signor Prencipe d'Angli di Casa d'Oria Genovese.

   In questa parte del territorio di Crotone è l'Abbadia di Corazzo, l'Abbadia di santa Maria dello Carrà, l'Abbadia di s. Leonardo, l'Abbadia di S. stefano, e l'Abbadia di s. Leonardo a Fregiano.

   Et in tutta Calabria sono quaranta Abbadie, conforme scrive il Dottor Prospero Parisio Romano.

   Appresso viene il già nominato di sopra Capo delle Colonne, nè occorre dire altro del territorio di que Città, solo quello che si dirà appresso nel seguente Trattato.