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domenica 25 settembre 2016

§ 251 250916 'Corriera della Scienza': Una straordinaria scoperta dell'Accademia di Malocutrazzo!!!




Con queste 'trovate' ('cazzate', se si vuole) estemporanee ho cercato, per mio personale piacere e per quello dei pochi amici o benevoli lettori, che con il sottoscritto hanno condiviso questa 'avventura', di suscitare un sorriso, sebbene i tempi che sto vivendo (personalmente, dico) non sono i più indicati per far nascere l'ilarità. Forse, però, sono proprio i problemi che affliggono le persone, la molla che può, o deve, spingere alla ricerca della distrazione, del passatempo, 'a far spurijar', si direbbe in cirotano (ma non solo). Forse ho scherzato troppo, ma senza mai offendere nessuno, cosa che da certe parti non sempre riesce agevole. Di sicuro ho peccato di ingenuità, non tanto perché io lo sia, quanto perché vorrei sperare in un mondo dove l'ingenuità possa esistere senza subire aggressioni. Ad ogni modo, spero che questa 'fesseria' sia l'ultima davvero: è tempo sprecato. E del resto, a lavar a capa aru ciucciu... meglio farsi uno shampo, per chi ha i capelli, o si passar na sciucaman subb'a crozzula.
PS: queste mie considerazioni non sono rivolte a nessuno, questo blog è un mio spazio dove, nel rispetto verso chicchessia, scrivo quello che mi pare. Spero non sia chiedere troppa libertà...


























La trascrizione, come richiesto....
Ad rivum eundem lupus et agnus venerant, siti compulsi.
Superior stabat lupus, longeque inferior agnus.
Tunc fauce improba 
latro incitatus iurgii causam intulit: 
"Cur -  inquit - turbulentam fecisti mihi 
aquam bibenti?"
Laniger contra timens :
"Qui possum - quaeso - facere quod quereris, lupe? 
A te decurrit ad meos haustus liquor."Repulsus ille veritatis viribus:
"Ante hos sex menses male - ait  - dixisti mihi". 
Respondit agnus:
"Equidem natus non eram!"
"Pater, hercle, tuus - ille inquit  - male dixit mihi!" 
Atque ita correptum lacerat iniusta nece.
Haec propter illos scripta est homines fabula qui fictis causis innocentes opprimunt.



lunedì 12 settembre 2016

§ 248 120916 Vittorio Lascala: 'Dio salvi la Reggina!'

    Vittorio, questo mio giovane amico... - quando penso che è più giovane dei miei due figli più grandi, da un lato mi sento vecchio, dall'altro no: se ci capiamo così bene un motivo ci sarà, penso - questo mio giovane amico, dicevo, non è poeta o scrittore, almeno non che io sappia, e nemmeno 'se la tira' per le cose che fa o dice; a volte tira fuori qualche 'chicca' che trovo su facebook, dalla quale evinco quanto profondi siano i suoi pensieri, spesso decisamente improntati ad una poesia del vissuto, che va a prendere forma, saltuaria, sulla lavagnetta azzurra dei social. Vittorio manovra i treni merci, ama le ferrovie, il calcio, la Calabria, a zita, - immagino, anzi ne sono sicuro- e quelle cose che, chi più, chi meno, tutti apprezziamo, o detestiamo, con gli ovvi distinguo dovuti ai personali spazi e tempi. Vittorio, mi pare di capire, ama tutto ciò che gli sa di Calabria, è un altro malato delle proprie radici, insomma. Un giovane malato di Calabria, anch'egli nemico di quanti quell'amore ogni giorno attaccano... alle radici, appunto. 
    In questo ci rassomigliamo, pur nella enorme differenza di età, ma somigliarsi, qui, non è quel marchio che ad altre latitudini diventa troppo spesso 'complicità amorale', qui ci somigliamo e basta, siamo liberi, tra esuli, di somigliarci.
    Per quanto riguarda il calcio, poi, - e forse gliel'ho anche detto - ... ce n'è voluta, ma alla fine a me la voglia è passata, mi è tornata un po' solo ultimamente, ma non per la A conquistata dal Crotone, bensì solo perché è il Crotone, ma poteva essere il Polistena o la Rossanese, sarebbe stata la stessa cosa: 'esse est percipi', per dirla con J. L. Borges, questo è quanto, almeno a me, rimane del calcio giocato, un avvitamento virtuale al verosimile. Tutta una farsa, insomma: me ne accorsi quando andai, impiegandoci quasi una giornata intera, a vedere per la prima volta una partita di serie B, al vecchio 'Militare' di Catanzaro, tra Catanzaro e Palermo: crollo di tutti i sogni, di tutte le illusioni su quei miei eroi in calzoncini e maglietta! 'Tuttu chissu era?', pensai... con Francesco Rizzo da Rovito (CS), primo calabrese in nazionale, che reduce da tante battaglie su scenari molto più importanti, cercava le liti con gli avversari, in quella partita che vedevo a sprazzi, tra i rami dei pini del 'Militare'. Dopo quella partita, solo figurine... e tanti saluti a Renovales! http://krimisa.blogspot.it/2012/11/quadernetto-di-traduzioni-2-esse-est.html

(Il primo amore non si scorda mai).
    Partivamo di prima mattina, di domenica, quando l'aria ha quel sapore di vaniglia e le uniche auto che incroci sono quelle di chi torna dalla discoteca con la camicia bianca sudata e strappata. Montegiordano, Roseto, Trebisacce, mentre si facevano le 9 e il sole non dava piú fastidio agli occhi. Sibari, Spezzano, l'autostrada, la sosta all'autogrill e i palazzoni di quella Cosenza che mi sembrava chissá che metropoli, poi lo slalom fino al mare che spuntava all'improvviso poco dopo San Mango, Lamezia, Pizzo e quel ponte in curva a strapiombo sul mare, le due ferrovie che poco prima quasi si incrociano, il porto di Vibo e poi le colline fino a Rosarno, gli agrumeti, la vibrazione interiore della distanza che si affievolisce. L'uscita di Palmi, l'indicazione per Seminara, le nostre radici che cercano di fare presa nel paesino che sorvoliamo con l'autostrada poco dopo, e poi lo Sfalassà, e il Pilone, la Sicilia e, un attimo sotto, Villa. L'uscita a Gallico, in piazza Posta per andare a pranzo 'ddu u ziu Gilbertu, dai cugini Nino, Giusy e Sara, magari ci sono pure le zie, alias i' signurini (se mi leggete ogni tanto capirete).
    "Belardi e Bonazzoli". Rispondevo cosí, in ordine di importanza, quando mi chiedevano chi fossero i miei preferiti. Poi Tedesco, i due Ciccio, Cozza e Modesto (che, anni dopo, mi regalerá la gioia calcistica piú grande), Mozart e Paredes, piú avanti Biondini e Missiroli.
    All'una e mezza andavamo via, "Dio salvi la Reggina" esclamava sorridente zio, sfruttando la mia scarsa resistenza al ridere ai piú scontati dei giochi di parole, mentre ci accompagnava al cancello di casa.
     Del pezzo di autostrada tra Gallico e Reggio ricordo la Panda cabriolet con una enorme bandiera amaranto che usciva fuori dal tettuccio, l'Ape con due persone con la maglia di Nakamura sul cassone, le buche, il profumo di mare, l'imponenza dell'Etna li in fondo, la misteriositá della Sicilia li accanto.
Sfilavamo per il lungomare, poi per qualche centinaio di metri lungo l'argine del Calopinace, quindi a destra sul lungo viale che porta all'aeroporto, trovando sempre posto in un enorme piazzale di fronte ad un palasport. Si vedeva giá la copertura della tribuna centrale svettare sopra le case, ed un primo brivido scendeva giú per la schiena. Un brivido, a me che da piccolo il calcio manco piaceva, io che lo consideravo uno sport come gli altri. Consideravo, appunto.
    Le bancarelle, l'odore melmoso dei paninari, "dduj sciarpi deci euru", la via che portava allo stadio piena zeppa di gente, "papà i biglietti li hai?", l'ombra di dubbio, il sole dell'entusiasmo.
    Arrivavamo nel piazzale e gli angoli non coperti dalle tribune lasciavano passare suoni e colori che ti attraevano come una calamita, ti mettevano una fretta cagna, 'iamu, trasimu. A volte andando verso gli ingressi incrociavamo i due bus di Tripodi che portavano le squadre, fermandoci in attesa che scendessero i giocatori, quegli esseri sovrumani che sembrava esistessero solo in televisione. Ricordo i gemelli Filippini che mi passarono a pochi metri, lo sguardo da ebete di Nakamura e quello manesco di Soviero, Mazzarri ca on sapiva mancu cu era, il sigaro consumato di Lillo Foti, Luciano Zauri di cui avevo mille figurine.
    Ed una volta passati i cancelli (i tornelli erano robe da aeroporto ancora) e salite le scale, il campo, il campo e quell'aria tesa di incertezza che lo ricopriva. Prendevamo posto in tribuna, anzi una volta in curva, due nei distinti (Juve 2004 e, soprattutto, quell'indimenticabile 27 Maggio 2007 contro il Milan), seguivamo il riscaldamento cercando di capire chi dei nostri avrebbe giocato o di riconoscere al volo i campioni della squadra avversaria. E a pensarci...Ibrahimovic, Del Piero, Cafu, Ronaldo, Gattuso, forse pure Rivaldo, Cannavaro, Zanetti, tutti li su quel campo che sembrava dovesse ospitarli in eterno. 
    Lo racconterò a mio figlio, semmai un giorno dovesse interessargli, che suo padre, ancor prima di perdere testa e voce per quel gol di Budimir a San Siro, ha visto Ronaldo giocare a Reggio Calabria, col mare dello Stretto di sfondo. Si, quel Ronaldo, quello li, forse il piú forte di tutti, lo ha visto con i suoi occhi fare un doppio passo su Aronica e scappare sulla fascia destra, anche quando ormai era solo una brutta e riccioluta copia dell'originale.
     Sono passati nove anni da quella partita, ci sono voluti un incrocio ed una strada sbagliata per riportarmi davanti a quello stadio, per riportarmi davanti agli occhi alcuni di quei momenti che il tempo non è riuscito e non riuscirá a cancellare, per riportarmi davanti al cuore la nostalgia di quell'aurea magica che copriva quelle quattro tribune strette tra il mare e l'Aspromonte. 
    Non ho potuto fare a meno di accostare e scendere. Lo stadio quella mattina era aperto, la Reggina appena tornata tra i professionisti si stava allenando sotto un sole cocente. Sarei entrato volentieri, anche solo per sedermi cinque minuti su quella tribuna, ma senza tempo a disposizione, giá appoggiare le mani a quelle inferriate rese fresche dall'ombra dei salici è stata una bella riconciliazione.
    Ma tutto questo è passato, tutto questo è nostalgia, bellissima nostalgia.
    E ora?
    E ora...
tan tata tananana tan tata tanana tan tata tananana tan tata...o meglio:
https://youtu.be/NwJL2dSxmJA

domenica 4 settembre 2016

§ 247 040916 Gesumina e Giuvanneddu.

Dalla pagina 'Note di dialetto cirotano', una acquaforte cirotana di Quintino Farsetta, e una mia breve chiosa o aggiunta, tanto per scherzare tra amici. Non si tratta, ad ogni modo, solo di scherzo, ché rimane sempre quell'obbiettivo, quanto raggiunto non tocca a me dirlo, di ricordare parole e situazioni dialettali.

Quintino Farsetta:
Gesumina eva na fimmina varcottedda e china 'e faccia. Bona comu u panu.
S'ava bolutu spurar a forza cu Giuvanneddu u stronghilisu. I genti soi u' bolivini, ma idda tosta si ci avia trovata e s'eva volutu spusari a forza.
Giuvanneddu dopp spusatu ha cacciat 'e fora tutti i vizzi. Faciva 'ncuna jurnata appressa i fravicaturi, ma i sordi , emmeci d'i dari a ra mugghiera si jiva a biviva 'nta cantina.
Nu jurnu Gesumina jiva a ra Missa cu nu scoddinu subba a capa,ligatu suttu u gangareddu. 
A mamma 'e Gesumina a sconta e l'addumanna pecchì si cummogghia ra faccia.
Idda : s'ammuccia de chiù .
A mammisa li scippa u scoddinu e vida a figghja ccu ra faccia china 'e bummuni e rascuni.
- Chin è statu ...' Maritita ?. Mo c'u sa paitta.... un ti l'evi 'e pijiari su vacabbunnu.... E mo ti minta puri i mani 'ncodda.. Nui ca t'ami crisciuti comi na rigina...-
E ccussì, tutti i jurni Giuvanneddu , quanni si ricojjiva d'a cantina, trovava na scusa ppe minari a mugghiera.
U patru 'e Gesumina eva na perzuna canusciuta e bona. Eva jutu a dduvi i carbuneri, ma u marasciallo voliva a denuncia. Gesumina quanni jiva dduvi i Carbuneri diciva c'avia sbattuta a faccia a ru stipu.
U patru nu jurnu si trova a caccia ccu certi amici e li cunta ru fattu.
- Mo va finiscia che li scarricu u dibottu 'nta faccia a chiru 'npamu.
I cumpagni 'e caccia evini genti c'aviini i mani quant i paletti 'e ficunniani. - Senza dire nenti a ru patri 'e Gesumina na sira aspettini a Giuvanneddu ca nescia d'a cantina. U pijini e pisu e ru portini a ru mari.
U pijini d'i peri e ru calini 'nta l'acqua e li fani vommicari tuttu i vinu.
Quannu eva bellu lucidu e rifriscati :
- Si nata vota tocca a mugghierta ti mollamu a mari e ti facimi annecari.
Giuvanneddu si ricogghia vagnatu e tuttu lordu pecchì l'eva benuta pur a sciorta d'a paura. Manzu comi nu pecureddu li cerca ri cosi a ra mugghiera ppe piaciri. 
'E tannu Giuvanneddu un ha chiù toccata a mugghiera ccu nu jitu.
A mamma 'e Gesumina, vidennu su canciamentu.
- U Signuru m'ha fatta a grazza. Tantu l'è pregatu...
                                              ...............................................................
Cataldo Antonio Amoruso:
- Gesumì, jam a curcàmini.
- Mo' vegnu, Giuvà... quant abbot a bussula e cummogghju u piattu di pisci ppe' domani.
Gesumina si curca ara banna du maritu, citta citta e riddutta nu pizzulunu... Tra si far cùnchjr 'e palati e dormir ara banna 'e chiru scumunicatu un zapiva cchi scegghjr... o penzica u sapiva ma si vrigognava de l'ammettir.
Giuvanneddu rimana ntisicatu, ccu l'occhj sbarrati, guarda a ntravata e manchi rapa a vucca.
Gesumina un'za cchi penzar... va tro' si fossa mortu, maritima, penza...
Giuvanneddu unn'è mortu, e pur iddu penza, penza a chiru ca l'han ditt aru barru e penza pur ara mugghjera, a senta ca jata a malappena, com na vurpa nta nu ruvettaru ca senta i cani vicini e un sinni po' fujir.
Giuvanneddu penza... penza 'cornutu e mazzijatu!'.
E quasi quasi a Gesumina li manca na bedda scarrica 'e palati... ma no ppe' mancanza 'e rascuni e de' bummuni, sul ppe' un zi sentir 'ntortu du tuttu.