sommario dei post

martedì 1 novembre 2016

§ 255 011116 In memoria, affinché nel cimitero di Cirò Marina si affermino il sacro e il decoro.

Per una volta chiedo a chi avesse la benevolenza di leggere queste paginette, di condividerle sui loro contatti 'social' al solo ed unico scopo di far giungere la richiesta in esse contenuta a chi può attivarsi per rimediare al crescente degrado di un luogo tanto sacrale. Per quanti non fossero 'pratici' di blog come questo, basta cliccare sulla voce 'altro' posta in alto, e poi, nella tendina che si apre, cliccare sul tipo di condivisione che si preferisce. (Come nell'immagine). Grazie.






giovedì 27 ottobre 2016

§ 253 271016 A Giuseppe Gangale, una stele.


Per leggere la 'Preghiera della sera' senza andare fino al cimitero, a seguire il link di una 'cosaredda' che tempo fa postai sull'altro mio blog 'sedimenti': http://krimisa.blogspot.it/2013/02/normal-0-14-false-false-false.html




giovedì 13 ottobre 2016

§ 252 131016 Lugete, o veneres cupidinesque... Catullo o Catuddu?

'Cur?' - inquit ille... 'Perché?' mi domandi, caro amico, non scrivo più nulla, o quasi, su questo breve spazio ('spatio brevi' ecc.). Sicché, fortasse requiris, ti devo una risposta. Una risposta semplice: troppo facile è scrivere, addirittura, a volte, naturale: come bere un bicchiere d'acqua, o vuotarlo, definitivamente, con la coscienza che nessuna altra acqua sarà quella appena versata: potrà prenderne il posto, certo, ma è altra 'cosa', sempre, come è giusto che sia. Mi limito nello scrivere per motivi dei quali forse ti renderò edotto in privato, motivi seri, non le frottole o le pinzellacchere oziose di paese, quelle che inducono a polemiche o liti tanto per avere un po' di visibilità, un po' di tornaconto... Del resto, sono un quasi perfetto sconosciuto - e ben sai quanto mi dolga quel 'quasi', amico mio carissimo! Non appartengo, poi, a Dio piacendo, a tale fatta di individui,e se qualcosa scrivo è solo perché mi va di farlo, senza nemmeno rivedere o correggere quanto dico: parlo agli amici, ex abrupto, o 'così come viene', per essere meglio inteso. E scrivo anche sciocchezze, queste sì oziose, ma di un ozio senza pretese... vedere alle voci 'otium', 'negotium'.
E se poi in questi miei scherzi parlo del paese delle mie origini (o colà 'traspongo cose'), non credo che alcuno possa sentirsi offeso... peraltro sono finiti, o almeno dovrebbero esserlo, i tempi in cui politicanti o mestatori generici aizzavano le genti alla protesta facendo leva su una malintesa nozione di 'fierezza' regionale, o provinciale, o paesana. Ergo, se scrivo un carme di Catullo in cirotano, qualche mio paesano sorriderà, qualcun altro storcerà il naso, ma nessuno si sentirà offeso o toccato nell'intimo, almeno spero... Del resto, si può sempre imparare a sorridere: si dice che solo gli esseri umani siano in grado di farlo. Oltre alle iene, quelle vere, che almeno fanno il loro mestiere e non possono da ciò riuscire esecrande. 


domenica 25 settembre 2016

§ 251 250916 'Corriera della Scienza': Una straordinaria scoperta dell'Accademia di Malocutrazzo!!!




Con queste 'trovate' ('cazzate', se si vuole) estemporanee ho cercato, per mio personale piacere e per quello dei pochi amici o benevoli lettori, che con il sottoscritto hanno condiviso questa 'avventura', di suscitare un sorriso, sebbene i tempi che sto vivendo (personalmente, dico) non sono i più indicati per far nascere l'ilarità. Forse, però, sono proprio i problemi che affliggono le persone, la molla che può, o deve, spingere alla ricerca della distrazione, del passatempo, 'a far spurijar', si direbbe in cirotano (ma non solo). Forse ho scherzato troppo, ma senza mai offendere nessuno, cosa che da certe parti non sempre riesce agevole. Di sicuro ho peccato di ingenuità, non tanto perché io lo sia, quanto perché vorrei sperare in un mondo dove l'ingenuità possa esistere senza subire aggressioni. Ad ogni modo, spero che questa 'fesseria' sia l'ultima davvero: è tempo sprecato. E del resto, a lavar a capa aru ciucciu... meglio farsi uno shampo, per chi ha i capelli, o si passar na sciucaman subb'a crozzula.
PS: queste mie considerazioni non sono rivolte a nessuno, questo blog è un mio spazio dove, nel rispetto verso chicchessia, scrivo quello che mi pare. Spero non sia chiedere troppa libertà...


























La trascrizione, come richiesto....
Ad rivum eundem lupus et agnus venerant, siti compulsi.
Superior stabat lupus, longeque inferior agnus.
Tunc fauce improba 
latro incitatus iurgii causam intulit: 
"Cur -  inquit - turbulentam fecisti mihi 
aquam bibenti?"
Laniger contra timens :
"Qui possum - quaeso - facere quod quereris, lupe? 
A te decurrit ad meos haustus liquor."Repulsus ille veritatis viribus:
"Ante hos sex menses male - ait  - dixisti mihi". 
Respondit agnus:
"Equidem natus non eram!"
"Pater, hercle, tuus - ille inquit  - male dixit mihi!" 
Atque ita correptum lacerat iniusta nece.
Haec propter illos scripta est homines fabula qui fictis causis innocentes opprimunt.



lunedì 12 settembre 2016

§ 248 120916 Vittorio Lascala: 'Dio salvi la Reggina!'

    Vittorio, questo mio giovane amico... - quando penso che è più giovane dei miei due figli più grandi, da un lato mi sento vecchio, dall'altro no: se ci capiamo così bene un motivo ci sarà, penso - questo mio giovane amico, dicevo, non è poeta o scrittore, almeno non che io sappia, e nemmeno 'se la tira' per le cose che fa o dice; a volte tira fuori qualche 'chicca' che trovo su facebook, dalla quale evinco quanto profondi siano i suoi pensieri, spesso decisamente improntati ad una poesia del vissuto, che va a prendere forma, saltuaria, sulla lavagnetta azzurra dei social. Vittorio manovra i treni merci, ama le ferrovie, il calcio, la Calabria, a zita, - immagino, anzi ne sono sicuro- e quelle cose che, chi più, chi meno, tutti apprezziamo, o detestiamo, con gli ovvi distinguo dovuti ai personali spazi e tempi. Vittorio, mi pare di capire, ama tutto ciò che gli sa di Calabria, è un altro malato delle proprie radici, insomma. Un giovane malato di Calabria, anch'egli nemico di quanti quell'amore ogni giorno attaccano... alle radici, appunto. 
    In questo ci rassomigliamo, pur nella enorme differenza di età, ma somigliarsi, qui, non è quel marchio che ad altre latitudini diventa troppo spesso 'complicità amorale', qui ci somigliamo e basta, siamo liberi, tra esuli, di somigliarci.
    Per quanto riguarda il calcio, poi, - e forse gliel'ho anche detto - ... ce n'è voluta, ma alla fine a me la voglia è passata, mi è tornata un po' solo ultimamente, ma non per la A conquistata dal Crotone, bensì solo perché è il Crotone, ma poteva essere il Polistena o la Rossanese, sarebbe stata la stessa cosa: 'esse est percipi', per dirla con J. L. Borges, questo è quanto, almeno a me, rimane del calcio giocato, un avvitamento virtuale al verosimile. Tutta una farsa, insomma: me ne accorsi quando andai, impiegandoci quasi una giornata intera, a vedere per la prima volta una partita di serie B, al vecchio 'Militare' di Catanzaro, tra Catanzaro e Palermo: crollo di tutti i sogni, di tutte le illusioni su quei miei eroi in calzoncini e maglietta! 'Tuttu chissu era?', pensai... con Francesco Rizzo da Rovito (CS), primo calabrese in nazionale, che reduce da tante battaglie su scenari molto più importanti, cercava le liti con gli avversari, in quella partita che vedevo a sprazzi, tra i rami dei pini del 'Militare'. Dopo quella partita, solo figurine... e tanti saluti a Renovales! http://krimisa.blogspot.it/2012/11/quadernetto-di-traduzioni-2-esse-est.html

(Il primo amore non si scorda mai).
    Partivamo di prima mattina, di domenica, quando l'aria ha quel sapore di vaniglia e le uniche auto che incroci sono quelle di chi torna dalla discoteca con la camicia bianca sudata e strappata. Montegiordano, Roseto, Trebisacce, mentre si facevano le 9 e il sole non dava piú fastidio agli occhi. Sibari, Spezzano, l'autostrada, la sosta all'autogrill e i palazzoni di quella Cosenza che mi sembrava chissá che metropoli, poi lo slalom fino al mare che spuntava all'improvviso poco dopo San Mango, Lamezia, Pizzo e quel ponte in curva a strapiombo sul mare, le due ferrovie che poco prima quasi si incrociano, il porto di Vibo e poi le colline fino a Rosarno, gli agrumeti, la vibrazione interiore della distanza che si affievolisce. L'uscita di Palmi, l'indicazione per Seminara, le nostre radici che cercano di fare presa nel paesino che sorvoliamo con l'autostrada poco dopo, e poi lo Sfalassà, e il Pilone, la Sicilia e, un attimo sotto, Villa. L'uscita a Gallico, in piazza Posta per andare a pranzo 'ddu u ziu Gilbertu, dai cugini Nino, Giusy e Sara, magari ci sono pure le zie, alias i' signurini (se mi leggete ogni tanto capirete).
    "Belardi e Bonazzoli". Rispondevo cosí, in ordine di importanza, quando mi chiedevano chi fossero i miei preferiti. Poi Tedesco, i due Ciccio, Cozza e Modesto (che, anni dopo, mi regalerá la gioia calcistica piú grande), Mozart e Paredes, piú avanti Biondini e Missiroli.
    All'una e mezza andavamo via, "Dio salvi la Reggina" esclamava sorridente zio, sfruttando la mia scarsa resistenza al ridere ai piú scontati dei giochi di parole, mentre ci accompagnava al cancello di casa.
     Del pezzo di autostrada tra Gallico e Reggio ricordo la Panda cabriolet con una enorme bandiera amaranto che usciva fuori dal tettuccio, l'Ape con due persone con la maglia di Nakamura sul cassone, le buche, il profumo di mare, l'imponenza dell'Etna li in fondo, la misteriositá della Sicilia li accanto.
Sfilavamo per il lungomare, poi per qualche centinaio di metri lungo l'argine del Calopinace, quindi a destra sul lungo viale che porta all'aeroporto, trovando sempre posto in un enorme piazzale di fronte ad un palasport. Si vedeva giá la copertura della tribuna centrale svettare sopra le case, ed un primo brivido scendeva giú per la schiena. Un brivido, a me che da piccolo il calcio manco piaceva, io che lo consideravo uno sport come gli altri. Consideravo, appunto.
    Le bancarelle, l'odore melmoso dei paninari, "dduj sciarpi deci euru", la via che portava allo stadio piena zeppa di gente, "papà i biglietti li hai?", l'ombra di dubbio, il sole dell'entusiasmo.
    Arrivavamo nel piazzale e gli angoli non coperti dalle tribune lasciavano passare suoni e colori che ti attraevano come una calamita, ti mettevano una fretta cagna, 'iamu, trasimu. A volte andando verso gli ingressi incrociavamo i due bus di Tripodi che portavano le squadre, fermandoci in attesa che scendessero i giocatori, quegli esseri sovrumani che sembrava esistessero solo in televisione. Ricordo i gemelli Filippini che mi passarono a pochi metri, lo sguardo da ebete di Nakamura e quello manesco di Soviero, Mazzarri ca on sapiva mancu cu era, il sigaro consumato di Lillo Foti, Luciano Zauri di cui avevo mille figurine.
    Ed una volta passati i cancelli (i tornelli erano robe da aeroporto ancora) e salite le scale, il campo, il campo e quell'aria tesa di incertezza che lo ricopriva. Prendevamo posto in tribuna, anzi una volta in curva, due nei distinti (Juve 2004 e, soprattutto, quell'indimenticabile 27 Maggio 2007 contro il Milan), seguivamo il riscaldamento cercando di capire chi dei nostri avrebbe giocato o di riconoscere al volo i campioni della squadra avversaria. E a pensarci...Ibrahimovic, Del Piero, Cafu, Ronaldo, Gattuso, forse pure Rivaldo, Cannavaro, Zanetti, tutti li su quel campo che sembrava dovesse ospitarli in eterno. 
    Lo racconterò a mio figlio, semmai un giorno dovesse interessargli, che suo padre, ancor prima di perdere testa e voce per quel gol di Budimir a San Siro, ha visto Ronaldo giocare a Reggio Calabria, col mare dello Stretto di sfondo. Si, quel Ronaldo, quello li, forse il piú forte di tutti, lo ha visto con i suoi occhi fare un doppio passo su Aronica e scappare sulla fascia destra, anche quando ormai era solo una brutta e riccioluta copia dell'originale.
     Sono passati nove anni da quella partita, ci sono voluti un incrocio ed una strada sbagliata per riportarmi davanti a quello stadio, per riportarmi davanti agli occhi alcuni di quei momenti che il tempo non è riuscito e non riuscirá a cancellare, per riportarmi davanti al cuore la nostalgia di quell'aurea magica che copriva quelle quattro tribune strette tra il mare e l'Aspromonte. 
    Non ho potuto fare a meno di accostare e scendere. Lo stadio quella mattina era aperto, la Reggina appena tornata tra i professionisti si stava allenando sotto un sole cocente. Sarei entrato volentieri, anche solo per sedermi cinque minuti su quella tribuna, ma senza tempo a disposizione, giá appoggiare le mani a quelle inferriate rese fresche dall'ombra dei salici è stata una bella riconciliazione.
    Ma tutto questo è passato, tutto questo è nostalgia, bellissima nostalgia.
    E ora?
    E ora...
tan tata tananana tan tata tanana tan tata tananana tan tata...o meglio:
https://youtu.be/NwJL2dSxmJA

domenica 4 settembre 2016

§ 247 040916 Gesumina e Giuvanneddu.

Dalla pagina 'Note di dialetto cirotano', una acquaforte cirotana di Quintino Farsetta, e una mia breve chiosa o aggiunta, tanto per scherzare tra amici. Non si tratta, ad ogni modo, solo di scherzo, ché rimane sempre quell'obbiettivo, quanto raggiunto non tocca a me dirlo, di ricordare parole e situazioni dialettali.

Quintino Farsetta:
Gesumina eva na fimmina varcottedda e china 'e faccia. Bona comu u panu.
S'ava bolutu spurar a forza cu Giuvanneddu u stronghilisu. I genti soi u' bolivini, ma idda tosta si ci avia trovata e s'eva volutu spusari a forza.
Giuvanneddu dopp spusatu ha cacciat 'e fora tutti i vizzi. Faciva 'ncuna jurnata appressa i fravicaturi, ma i sordi , emmeci d'i dari a ra mugghiera si jiva a biviva 'nta cantina.
Nu jurnu Gesumina jiva a ra Missa cu nu scoddinu subba a capa,ligatu suttu u gangareddu. 
A mamma 'e Gesumina a sconta e l'addumanna pecchì si cummogghia ra faccia.
Idda : s'ammuccia de chiù .
A mammisa li scippa u scoddinu e vida a figghja ccu ra faccia china 'e bummuni e rascuni.
- Chin è statu ...' Maritita ?. Mo c'u sa paitta.... un ti l'evi 'e pijiari su vacabbunnu.... E mo ti minta puri i mani 'ncodda.. Nui ca t'ami crisciuti comi na rigina...-
E ccussì, tutti i jurni Giuvanneddu , quanni si ricojjiva d'a cantina, trovava na scusa ppe minari a mugghiera.
U patru 'e Gesumina eva na perzuna canusciuta e bona. Eva jutu a dduvi i carbuneri, ma u marasciallo voliva a denuncia. Gesumina quanni jiva dduvi i Carbuneri diciva c'avia sbattuta a faccia a ru stipu.
U patru nu jurnu si trova a caccia ccu certi amici e li cunta ru fattu.
- Mo va finiscia che li scarricu u dibottu 'nta faccia a chiru 'npamu.
I cumpagni 'e caccia evini genti c'aviini i mani quant i paletti 'e ficunniani. - Senza dire nenti a ru patri 'e Gesumina na sira aspettini a Giuvanneddu ca nescia d'a cantina. U pijini e pisu e ru portini a ru mari.
U pijini d'i peri e ru calini 'nta l'acqua e li fani vommicari tuttu i vinu.
Quannu eva bellu lucidu e rifriscati :
- Si nata vota tocca a mugghierta ti mollamu a mari e ti facimi annecari.
Giuvanneddu si ricogghia vagnatu e tuttu lordu pecchì l'eva benuta pur a sciorta d'a paura. Manzu comi nu pecureddu li cerca ri cosi a ra mugghiera ppe piaciri. 
'E tannu Giuvanneddu un ha chiù toccata a mugghiera ccu nu jitu.
A mamma 'e Gesumina, vidennu su canciamentu.
- U Signuru m'ha fatta a grazza. Tantu l'è pregatu...
                                              ...............................................................
Cataldo Antonio Amoruso:
- Gesumì, jam a curcàmini.
- Mo' vegnu, Giuvà... quant abbot a bussula e cummogghju u piattu di pisci ppe' domani.
Gesumina si curca ara banna du maritu, citta citta e riddutta nu pizzulunu... Tra si far cùnchjr 'e palati e dormir ara banna 'e chiru scumunicatu un zapiva cchi scegghjr... o penzica u sapiva ma si vrigognava de l'ammettir.
Giuvanneddu rimana ntisicatu, ccu l'occhj sbarrati, guarda a ntravata e manchi rapa a vucca.
Gesumina un'za cchi penzar... va tro' si fossa mortu, maritima, penza...
Giuvanneddu unn'è mortu, e pur iddu penza, penza a chiru ca l'han ditt aru barru e penza pur ara mugghjera, a senta ca jata a malappena, com na vurpa nta nu ruvettaru ca senta i cani vicini e un sinni po' fujir.
Giuvanneddu penza... penza 'cornutu e mazzijatu!'.
E quasi quasi a Gesumina li manca na bedda scarrica 'e palati... ma no ppe' mancanza 'e rascuni e de' bummuni, sul ppe' un zi sentir 'ntortu du tuttu.

martedì 30 agosto 2016

§ 246 300816 Q. Farsetta: 'Hi focu nta panza!'. Per la serie: 'acqueforti marinote'.

Il signor Quintino Farsetta vive a ..., in provincia di Varese (spero con ciò di non violare la sua vita privata: mi perdonerà, immagino), ben lontano dalla sua amata Marina, dove credo abbia vissuto pochi anni, ma sufficienti ad imprimere nella sua sensibilità ricordi ed immagini indelebili. Spesso ce ne offre, su 'Note di dialetto cirotano', un saggio brevissimo, quasi saettante, come le ali destre dei campionati che furono (mi concedo questo paragone), fatto di poche righe che non necessitano nemmeno di troppa fantasia... tutt'altro: nei nostri paesi (e Cirò Marina non si sottrae a questa regola) abbiamo visto e sentito 'cose che voi umani'...
Quintino rappresenta un po' la categoria di noi (così ci definisco) 'stravijati', che nelle mie intenzioni, qui, significa semplicemente 'coloro che per un motivo o l'altro hanno vissuto, tutta o in parte, la propria esistenza in un posto che in origine era un 'altrove', e che tale, molto spesso, è rimasto. Nessuna accezione negativa per la definizione 'stravijati', quindi.
Per la cronaca, non conosco personalmente Quintino, ma, come quelli che hanno comuni radici, credo di 'saperlo': non è difficile. 
Mo' avasta ccu sa tòtula, e leìti, si volìti.
Cià.
                                             ********************************************
Za' Parma appena si ricogghiva d'a Missa jiva trovann' a gaddinedda ca li faciva n'oviceddu tutti i matini. 
A gaddina scavava na fossa 'nta rina , sutti i vrichi d'u piazzolu e ci faciva l'ovu. I vicini sapivini ch' eva d'a gaddina 'e za Parma e nissunu u toccava. Za Parma u ricogghiva e su sucava friscu friscu.
Chira matina Za' Parma un trova nè l'ovu nè a gaddina. 
Addimmanna a tutti i cummari d'a ruga... gira 'ntunnu u piazzolu...
piu..piu..piu... ma a gaddina un si trova..
Oramai ha perzi i speranzi d'a trovari 
- Vo vidiri ca si l'hani arrobbata ?!Ccu tutti si stracquati ca stani venenni morti 'e fama...-
Ccu su penseru fa n'ata vota u giru d'u piazzolu e vida nu munzedduzzu 'e rina. Scava ccu nu scorpulu e scummogghia r i pinni d' a gaddina.
A povira za' Parma parica l'ha ghiaccata nu tronu. Si minta 'ncinocchiu e si caccia ri minni 'e fora e ccu tutta a raggia manna na jiestigna brutta a chini s'ha r arrobbata a gaddina.
- Signuru meu.. chini s'ha r arrobbata a gaddina meia un s'inn'he dde vidiri benu. Li vo pijiari nu malu 'nta panza ca c'è de restari...

Vicina a Za' Parma evini venuti d'a muntagna na famigghia 'e jieigghi
ca un ligavini ccu nissunu. Vasetti longhi, capiddi russi. E nessunu 'nta chira famigghia fatigava. 
A menzi jiurnu za Parma 'ntregulannu sentiva ca 'nta casa d'i jiegghi
hurriavini e parivini tutti 'mbriachi.
- U vi'... si stani mancianni a gaddinedda mea... Hi focu 'nta panza...!

A sira na murra 'e genti fujia verz' a casa d'i jiegghi. I figghi ccu ri cavizi a ri mani fujiennupi verzu u piazzoli. I fimmini arretu u lettu... cacaredda e vommicu... U mericu....i carbuneri... nu burdellu.
Za' Parma si ricogghia 'nta nu pizzilunu ... -Signuru meu perdunimi...ma penzica l'è cota a jiestigna mea....

Chidè ch'eva successu...!? Ca i jiegghi s'avivini manciata a gaddina 'e za Parma... ma ccu funci c'avini trovati a ra Sila, ca l'aviini 'ntossicati a tutti.

I genti d'a ruga mò stani attenti a za Parma : -Stapitivi accorti ca i jestigni soi cogghini.


martedì 2 agosto 2016

§ 245 020816 Legge 2 agosto 1806, la grande occasione fallita.

La legge 'eversiva della feudalità', del 2 agosto 1806, la grande occasione fallita per il Regno delle Due Sicilie: la libertà, come la democrazia, non si esporta, deve nascere e alimentarsi all'interno delle società che sono poi capaci di curarla, o almeno di permettersela. E pensare che questa grande opera degli invasori francesi rispondeva ai desideri degli stessi Borboni, che infatti, consci di non essere in grado di eliminare i privilegi feudali, confermarono, all'atto pratico, la validità di questa legge, nel senso che non la abolirono, anche se non furono capaci di applicarla. Troppo forte il potere dei 'baroni', termine col quale si indicavano i feudatari in generale. E' un po' il senso di quella immutabilità di cui si parla ne 'Il gattopardo'. Almeno credo.
E per meglio credere, ecco cosa ne dice Piero Bevilacqua ('Breve storia dell'Italia Meridionale dall'Ottocento a oggi', Donzelli 1993), dove definisce il tentativo riformatore dei napoleonidi 'una rivoluzione passiva': ''Il 2 agosto 1806 il governo di Giuseppe Bonaparte, che si era installato a Napoli al seguito dell'esercito napoleonico, abolì, con una sola legge, la feudalità del Regno di Napoli. D'un colpo, l'intera giurisdizione che per secoli aveva attribuito ai baroni un potere quasi assoluto su uomini, terre, castelli, città, fiumi, strade, mulini venne cancellata. In virtù di essa i feudatari, privati degli antichi diritti speciali sulle popolazioni, furono trasformati in semplici proprietari dei loro possedimenti, mentre tutte le altre realtà territoriali, non più sottoposte a usi o a prerogative particolari, vennero a cadere sotto la legge comune del nuovo stato.
I vari progetti di riforma delle istituzioni feudali, tentati inutilmente nella seconda metà del Settecento dai governi ispirati dagli intellettuali illuministi, ebbero dunque finalmente una concreta realizzazione. Ma ciò era avvenuto, non bisogna dimenticarlo, grazie a un intervento esterno, per la forza e la determinazione di una potenza straniera sorretta da un esercito invasore. Tale aspetto, che ci aiuterà a capire, nel prosieguo, i limiti delle innovazioni introdotte nel Regno dai Napoleonidi, serve tuttavia anche a familiarizzarci con un dato decisivo e assolutamente imprescindibile per comprendere la storia di lungo periodo del Mezzogiorno e in parte di quella contemporanea: la posizione politicamente periferica e subalterna del Regno meridionale, rispetto alle grandi potenze dell'Europa, in tutta la fase preunitaria.''
Quanto se ne sappia in giro di questa legge, per la quale dovremmo comunque essere grati all'invasore francese, non saprei dire, come non saprei dire se in qualche libro di testo siano mai stati citati almeno i nomi di quei personaggi di assoluto spessore che furono per il Regno delle Due Sicilie Giuseppe Zurlo o Davide Winspeare, giustamente ricordati dal professor Bevilacqua nel suo libro.
Insomma, se di personaggi illuminati si tratta, perché dimenticarli solo in quanto 'preunitari'? Anche Dante concede la sua ammirazione e stima, nonché dei versi, a personaggi che non hanno conosciuto la gloria di colui che tutto muove, no? Ne consegue che preunitario è peggio di precristiano?
Bando agli scherzi, la legge è la seguente:







giovedì 28 luglio 2016

§ 244 280716 Teresa Gravina Canadè: il convento e la chiesa dei Cappuccini a Corigliano Calabro, p.te II.

Come promesso, ecco la seconda puntata del lavoro di Teresa Gravina Canadè, apparso su Calabria Letteraria nel 1990. Mi ha fatto piacere notare il numero di visualizzazioni di queste pagine, alto per gli standard del mio scalcagnatissimo blog: mi ha fatto piacere non tanto per fini personali (non ne ho) quanto perché evidentemente c'è gente interessata anche alle cose che vado 'scaternannnu', e mi fa soprattutto piacere perché si tratta di un lavoro, quello della signora Gravina Canadè, ben fatto e molto, ma molto meritevole di attenzione. Grazie e buona lettura, se volete.
La prima parte. (link).
Il castello di Corigliano Calabro in una immagine del TCI del 1937 ('Attraverso l'Italia', volume VIII). 






martedì 26 luglio 2016

§ 243 260716 Teresa Gravina Canadè: 'Il convento e la chiesa dei cappuccini a Corigliano Calabro', p.te I.

Sa vota a vrascera a riminijàmi a Crugghjàn.
Stavolta diamo una rimescolata alla braciera (traduzione inadeguata, lo so) in quel di Corigliano Calabro, proponendo (sempre diritti d'autore permettendo e confidando nella benevolenza dell'editore) un testo della cara Teresa Gravina Canadè, che è per me come parlare, in primis, di amore per la storia e di passione per i propri luoghi d'origine, con la profondità e la perizia che la studiosa coriglianese dispensa a piene mani. 
Ho ritenuto fosse meglio suddividere il testo in due parti. La seconda riguarderà la 'Chiesa dei Cappuccini o Sant'Anna'.
Una considerazione previa: l'autrice ha scavato nella storia di un monumento coriglianese andato perduto, con grande bravura e attenzione ai particolari (è una studiosa di varie discipline)... nel mio piccolo (faccio il ferroviere) ho cercato di non far smarrire il lavoro della Gravina Canadè, come dire: lei ha salvato una memoria storica dissolta tra i rifacimenti di un ospedale, io ho cercato di salvare l'articolo dal buio delle riorganizzazioni di qualche scaffale di libreria o biblioteca... unicuique suum. Spero di non risultare presuntuoso, e soprattutto di essere riuscito nell'intento.
L'articolo di Teresa Gravina Canadè è apparso su 'Calabria Letteraria', anno XXXVIII, n°1-2-3, gen-feb-mar 1990, Calabria Letteraria editrice, Soveria Mannelli.
La seconda parte. (link).
PS: le note al testo si trovano in calce alla seconda parte.





sabato 23 luglio 2016

§ 242 230716 Note di padre Giovanni Fiore da Cropani. A proposito di 'roba cirogena'.

Nel luogo di un post che ha dato la stura, mio malgrado, ad una interminabile polemica della quale ammetto di non avere avuto e di non avere tuttora, forse, piena contezza, recupero questo spazio per dare la parola a due grandi: padre Giovanni Fiore da Cropani e Sant'Agostino (addirittura!), i cui insegnamenti dovrebbero giungere sempre graditi e riuscire, si spera, profittevoli. Le polemiche, come ben sa chi mi conosce, non mi si addicono, al pari dell'ingiuria, dell'invettiva o della mancanza di rispetto per chicchessia. 
Della polemica di cui parlo, e le cui parole chiave sono 'cultura', 'sapere', 'roba cirogena' non voglio tornare a parlare: il frutto sterile delle polemiche produce solo inutili accanimenti, l'attaccamento al nulla o poco più, ma sempre in forma deleteria.
Correrebbe l'obbligo di fare alcune precisazioni, ma mi atterrò a considerazioni che non hanno nulla di personale, per quanto possibile.
Su questo blog ognuno può esporre, spero in forma gradevole o perlomeno educata, e comunque rispettosa, i propri commenti, con una impostazione diversa da quella di quei siti che prevedono una missiva indirizzata all'amministratore o chi per esso (un filtro che personalmente mi lascia un po' perplesso, ad essere sincero, ma questo non ha importanza). Le modalità per la pubblicazione di commenti su questo blog sono due (o forse tre, non ho voglia di controllare): con o senza l'approvazione preventiva di chi gestisce il blog. Su 'A vrascera' chiunque può postare un commento, poi, eventualmente, posso eliminarlo o lasciarlo: per correttezza elimino solo quelli che ritengo possano risultare offensivi verso terzi (escludo il sottoscritto, quindi, poiché credo di dover rispondere a chi legge). Nessun intento censorio, quindi, ma solo garbo (per quello che posso) nei confronti dei miei quattro-cinque lettori o di chiunque altro abbia a passare da queste righe. In estrema sintesi: i commenti al post in oggetto sono stati eliminati dopo aver atteso invano che giungessero eventuali repliche. Non essendo pervenute, nei giorni successivi alla pubblicazione dei commenti, repliche ai medesimi, ho eliminato il tutto, cioè lo scritto e gli annessi commenti.
Per quel che concerne il resto delle accuse, me ne farò una ragione: per quel che mi riguarda la polemica è veramente chiusa, anzi, a dirla tutta, non è mai esistita. 
Ora chiudo davvero, facendo finta di non sapere nulla di ferrovie, dopo circa quarant'anni di servizio, facendo anche finta di non intendere gli inviti per nulla velati a 'recarmi a quel paese', facendo anche finta di cosa sia quel dire e non dire di manzoniana (ma non solo) memoria che nell'arte retorica si chiama 'preterizione', solo rammaricandomi l'indispensabile, quel tanto che basta, perché dall'ultimo appunto apparso su Cirò Altra, mi sembra di capire che 'la Vascera' sia paragonata ad una dimora per maiali (diciamo così...) e di questo mi scuso coi miei quattro-cinque lettori per le loro oltre quarantamila visualizzazioni: non immaginavo proprio! 
PS: anche a me hanno consigliato vivamente 'di chiuderla qui', questa 'cosa' di cui nemmeno ero al corrente... ma al sotttoscritto non servivano consigli: per natura non inseguo e non seguo polemiche.
Ad ogni modo, roba cirogina, come mi è stato spiegato, non significa in nessun modo 'roba di m...', ci mancherebbe altro! Poi, ognuno è libero di interpretare come più gli aggrada qualsiasi espressione, almeno spero.
Cirò Marina, 17 agosto 2016.

Le parole dei Grandi non dànno scampo; pure, tanto spesso, sono quei Grandi che ammettono, con straordinaria umanità, repliche, acciocché congiuntamente si dissipino i dubbi, si sciolgano quei rovelli che inducono a meditare, correggere, limare... Cito, con devoto riguardo, questi Grandi, alcuni pensieri dei quali un 'esploratore primo' della nostra terra, padre Giovanni Fiore da Cropani, ha raccolto in questo suo paragrafo. 
State bene.






domenica 10 luglio 2016

§ 241 100716 G. Genovese: 'Il mito di Filottete', Polis 2010, Iiriti editore. Parte III/3.

1: Prologo, Abbandono, sofferenza e redenzione di Filottete: la saga mitica dell'antieroe;
2: La sacra Crimisa. La Mesogaia e la fondazione di Kroton: Filottete archetipo interculturale;
3: Filottete e il suo epilogo: la morte eroica.

Si conclude con questa terza parte la monografia filottetea dell'illustre professor Guglielmo Genovese. Questa terza 'puntata' è quasi interamente dedicata alla bibliografia, oltre che all'epilogo della vicenda del nostro eroe fondatore. Ritengo, seppure da profano, di poter riaffermare, qui, l'importanza delle 'bibliografie', dei cosiddetti 'apparati bibliografici' e anche, perché no?, di quelli 'iconografici'. Essi nascono e insistono 'a latere', per così dire', del corpus dell'opera: sono parte integrante e per nulla da trascurarsi dell'opera che l'autore propone; le bibliografie sono, per intendersi, quella cosa dalla quale nasce cosa, fonti primarie di successive ricerche. Avviene, invece, troppo spesso, che quella parte così importante e frutto di certosino impegno venga saltata a piè pari dai lettori: male, questo è molto male... La bibliografia, al pari delle introduzioni, delle pre e postfazioni, fa parte integrante dell'offerta che gli autori propongono e non di rado competono per importanza con le parti più rilevanti dei testi.








§ 240 100716 Un assaggio di vocabolario marinoto.

Quella che segue è l'immagine di una paginetta abbozzata di vocabolario cirotano marinoto. Rispettoso dei consigli minacciosi dell'amico ormai fraterno Francesco 'Ciccio' Vizza, mi limito nel rendere pubblico questo lavoro, quasi concluso - o almeno a buon punto - che gravi motivi familiari mi hanno impedito di portare a termine (oltre alla mia accidia che mi fa dimenticare, spesso, anche cosa stavo facendo). Fatevi due risate, se volete, se potete...se quello che vi pare, tanto siamo fra amici (spero).


sabato 9 luglio 2016

§ 239 090716 Eroi di Calabria.

Ieri sera, 8 luglio 2016, è andato in onda lo speciale di Rai1 'Cose nostre', un programma imperdibile, non solo per noi calabresi, ma per chiunque senta dentro di sé anche un minimo anelito verso la libertà, la democrazia, la convivenza civile, le forme di vita socialmente organizzate, anche nei confronti di una terra 'altrui', ma che comunque insiste su questo lembo di una compagine chiamata 'Italia' (nome che, forse con una certa ironia della sorte, è nato proprio qui). Per chi in Calabria è nato, per chi vi è vissuto, per chi da quella terra è andato via, per chi a quella terra ripensa, per chi quella terra sente, non è facile credere alla possibilità che esistano eroi come il dottor La Rosa (e signora, vorrei dire, anziché 'vedova'), o come gli imprenditori De Masi e Saffioti, o come il sindaco Bartuccio, e relative famiglie - senza dimenticare quegli uomini delle scorte ai quali sono affidate -demandate!- le possibilità di esistere di quegli eroi civili.
Una convinzione antica ci dice della sfortunata condizione di quelle terre che hanno bisogno -ancora bisogno!- di eroi... Ma forse tutte le terre libere, libere in misura almeno accettabile, hanno avuto i propri eroi: non a tutte le latitudini quel numero di eroi basta o è bastato, in Calabria direi che non è bastato, e che non può più bastare: siamo in ritardo, in fortissimo ritardo, e non è più tempo di eroi, da eroi, mentre la stanchezza, unita alle crisi di ogni genere, alle carenze e alle assenze più profonde e radicate, sta prendendo -ha preso- il sopravvento. Quella stanchezza non genera che abbandono, non induce che alla deposizione delle 'armi' (quelle della lotta civile, ahimè, non quelle delle organizzazioni mafiose...), alla fuga, alla rassegnazione.
Esorto i miei due-tre lettori a riguardare quello 'speciale' Rai, che è fatto bene, nonostante la materia sia a dir poco spinosa. Potete rivederlo collegandovi a questo link:
Dimenticavo, nel guardarlo non fatevi distrarre dalla bellezza degli sfondi paesaggistici, di devastante bellezza, ma forse dovrei dire 'di devastata bellezza'... comunque ammaliante.
Eccoli questi eroi di Calabria... (mi perdonerete per il mio photo editing per nulla professionale fatto sulle immagini RAI)



venerdì 8 luglio 2016

§ 238 080716 Crucirotano n°4.

Spero che qualcuno si diverta anche così, risolvendo uno schema di parole crociate ‘pajsane’, e che l’omaggio di questo schema riesca gradito.

Nota: mi sono permesso di inserire due definizioni con riferimenti a persone di Cirò Marina: spero che nessuno se ne abbia a male, dal momento che credo sia un modo di ricordare e rendere omaggio, nulla più, soprattutto in un caso in cui ricordo la memoria di un caro amico prematuramente scomparso, del cui papà qui compare il nome. (VA DA SE' CHE PROVVEDERO' A RIMUOVERE IMMEDIATAMENTE IL CRUCIVERBA IN CASO DI OBIEZIONI DA PARTE DI CHICCHESSIA INTERESSATO).


giovedì 7 luglio 2016

§ 237 070716 G. Genovese: 'Il mito di Filottete', Polis 2010, Iiriti editore. Parte II/3.

Sempre riconoscenti verso il professor Guglielmo Genovese per la sua opera appassionata nell'ambito krimiseo, ecco la seconda 'puntata' della monografia filottetea.
1: Prologo, Abbandono, sofferenza e redenzione di Filottete: la saga mitica dell'antieroe;
2: La sacra Crimisa. La Mesogaia e la fondazione di Kroton: Filottete archetipo interculturale;
3: Filottete e il suo epilogo: la morte eroica.