L’episodio riportato dall’oscuro cronista locale ricorda molto da
presso quello esilarante descritto nel xx capitolo della prima parte del ‘Don
Chisciotte’, quando lo scudiero terrorizzato dal rumore dei magli della
gualchiera e dalle ombre nere del castagno sotto il quale era riparato col
padrone, incapace per la paura di appartarsi… cede ai bisogni.
Fuor di fola, la narrazione che segue, tratta dal volume I della ‘Descrizione…’ del Pugliese, capitolo VI, ‘Partiti, sregolamenti e corruzione di costumi. Virtù ed uomini commendevoli’ è una ‘novella esemplare’, per restare in tema cervantino. L’esposizione fatta da GFP ricorda, e questo dico per esperienza diretta, il modo di narrare di quei ‘rapsodi’, se mi si passa il termine, che erano gli anziani che fino a qualche decennio fa erano capaci, intorno ad un braciere (a vrascèra), o disposti lungo un sedile di cemento (u settu), o magari in un vicoletto (nu vuccuportu) di muovere le fantasie o commuovere gli animi degli ascoltatori, più o meno grandi, più o meno piccini.
Aggiungo che il pezzo che segue è anche, o forse soprattutto, una altissima lezione morale del Pugliese fustigatore di costumi. Tra le altre cose, e non troppo secondaria, vi è un accenno ad una forma reverenziale che a tutt’oggi resiste nel dialetto cirotano, a mio modestissimo modo di vedere. Il Pugliese non era a digiuno di studi linguistici e denota, modo hic modo illuc, un certo interesse per il dialetto. Sto parlando dell’allocutivo ‘Su’, ovvero ‘Signore, anzi Magnifico, perché il Don ancora non si era generalizzato’. Orbene, ritengo che quel ‘Su’ sia sopravvissuto, nel dialetto cirotano, nel modo di rivolgersi, a dire il vero un po’ troppo reverenziale, a persona di una certa rilevanza e predominanza… per farla breve u discìpulu si rivolgeva al mastru con un ‘su’, ‘su mastru’, che non significa ‘questo mastro’, bensì ‘signor mastro’… ma forse comincio ad essere troppo vecchio per farmi capire, anzi per essere capito…
Nel cirotano moderno i personaggi come quelli di cui potrete leggere si chiamano, con forma univerbata, 'pìjepporta', 'prendi e porta', cioè ruffiani, spioni, delatori, doppiogiochisti...
Ed ora lasciamo parlare Giovan Francesco Pugliese.
‘’Il Barone
avendo piena giurisdizione come si è cennato, questa perché esercitata da' suoi
commissionati diveniva più fatale, maggiormente se in vece di un Agente o Primo Ministro forastiere, ve n'era costituito
uno paesano, sempre odioso, ed odiato, invido o invidiato. L'Università o Comune
che spesso ha prodotto degli uomini di talento e di spirito, sempre alle prese
col Feudatario: il corpo degli Ecclesiastici secolari sostenuto dalla
giurisdizione del Vescovo che quasi continua residenza aveva in Cirò: lo
spirito or mansueto ed elevato, or turbolento de' Monaci; formavano un misto di
sempre rinascenti querele ed inquietudini. Ecco l'origine de' partiti tra noi. E
siccome in ogni popolazione si trovan sempre de' disperati, che vivono delle
scissure e dei torbidi, uomini publico exitio reperti, questi odiando
l’onesto lavoro e volendo esistere sulle spalle altrui, vendono l’opera nefanda
dello spionaggio or ad un partito or ad un altro, secondochè uno piuttosto che
l'altro lor dia da vivere. Si ricordano con orrore due di tali uomini i quali
discendevano ad imitare i bruti e ad accomunarsi nelle loro sozzure per
investigare quel che l'un partito macchinasse contro dell'altro. I Canonici che
più si trovavano stretti dalle circostanze de' tempi ad uno de' partiti
solevano convenire e sedersi per breve passeggiata nel Santarello fuori porta Mavilia,
e
seduti in circolo o parlavano degli avvenimenti del giorno, o depravavano, o
concertavano. Ogni loro discorso era fedelmente saputo dal contro partito.
Postisi tra loro in sospetti non sapevano né che pensare, né che fare; quando a
caso un di loro scostatosi per adempiere ad un piccolo bisogno sorprese, colà
steso di fianco fra le ortiche che rigogliose vi vegetano innalzandosi come cespugli,
lo spione, cui davasi in società del Su, cioè signore,
anzi
Magnifico, perché il Don ancora non si era generalizzato. Costui
pria della consueta ora vi si recava ed adagiava per sentire, e quindi
riferire! Un Notabile del partito
dell'Università delirava come i discorsi ed i piani suoi eran pubblicati e
prontamente sventati: si pose in guardia de' suoi familiari, della famiglia
istessa. La fenestra della sua stanza non era troppo alta, e la voce
precisamente di notte si sentiva dal basso: molti porci casarecci vi si
affollavano a dormire, e ch'il crederia? fra questi immondi animali si era
accostumato un altro Su a giacere
inosservato da coloro che potevan transitare: egli sentiva e riferiva!! Vi era
anche chi sentiva da uno, ed in ore notturne faceva il rapporto ad un altro: vi
era chi faceva la ronda e girava per sotto le case de' contrari per sentire per
vedere chi vi entrava, e chi ne usciva. A buon conto si spiavano
reciprocamente, e non vi era precauzione che bastasse in tanta corruttela di
costumi. Né solo il vero, ma il supposto si riferiva come fatto, e le bugie si
accumulavano a’ sospetti, alle prevenzioni, ed alla stizza. Fu quello il tempo
in cui non essendo diffusa molto l'arte di scrivere, ma introdotta la moda di
processare in anonimo, chi si esercitava a scrivere colla mancina, chi tenendo
la penna col pollice ed il mignolo, e chi financo colle dita del piede! Tempi
miserandi in cui il morbo pestilenziale non solo gavazzava in Cirò, ma nell'
Italia tutta. E veramente nelle città
d'Italia, tutto quello che può esser corrotto e che può corrompersi si raccozza
(scriveva il Segretario Fiorentino nelle sue storie). Per questo gli uomini nocivi
sono come industriosi lodati, ed i buoni come sciocchi biasimati. I giovani
sono oziosi; i vecchi lascivi, e ogni sesso e ogni età è piena di brutti
costumi. Al che le leggi buone per essere dalle usanze cattive guaste non rimediano. Di qui nasce quell’avarizia che si vede ne' cittadini;
e quello appetito non di vera gloria, ma di vituperevoli onori, dal quale
dipendono gli odii, le inimicizie, i dispareri, le sette; dalle quali nascono
morti, esigli, afflizioni di buoni, ed esaltazioni di tristi. Per che i buoni
confidati nella innocenza loro non cercano come i cattivi di chi
straordinariamente gli difenda e onori, tantoché indifesi ed inonorati
rovinano. Da questo esempio nasce l’umore delle parti, e la potenza di quelli;
perché i cattivi per avarizia ed ambizione, i buoni per necessità le sieguono»’’.
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