Tyris, Eranusa, Meloessa, Ogygya, Dioscoron... le nostre isole!!!
Nel
riprendere le riflessioni sulle fantomatiche, misteriose, o semplicemente
sommerse, isole nel mare del territorio crotoniade, mi domando come mai i
risultati della missione ‘sottomarina’ della Soprintendenza si siano ammantati
di mistero, forse inabissandosi in qualche file di ‘difficile apertura’, secondo
la definizione della Soprintendente stessa.
Ad ogni
modo speriamo che l’annunciato convegno ‘sulle isole’ fornisca dati e lumi.
Per quanto riguarda le scoperte ‘su carte’, ogni
studioso, o semplice appassionato, sa bene come la geografia e la cartografia
siano state a lungo discipline più letterarie che non precipuamente
scientifiche, per mancanza di mezzi di indagine e non certo per mancanza di
intelligenza: anche la geografia, come tutte le altre discipline, ha seguito e
segue un suo lento e faticoso avanzamento, e le carte antiche sono poco o per
nulla attendibili, pur mantenendo intatta la loro importanza testimoniale e
documentale, anche attraverso particolari a prima vista trascurabili.
Le isole, o scogli, di Ogigia e quelle dei Dioscuri potrebbero anche non
essere esistite, certo… Premesso che l’importante è che siano esistite
nell’Odissea e quindi nel mito e in quel mare profondo che sono l’anima e la
fantasia umana, le suddette isole sono segnalate nelle opere a carattere
geografico, e anche nelle carte che le descrivevano. Per avere una carta
davvero attendibile dell’Italia meridionale bisognò attendere quella del Magini,
inizi ‘600, di taglio moderno e precisa nell’impostazione, nella quale le
presunte isole non appaiono più. Il fatto che quelle isole non vi compaiano
significa semplicemente che all’epoca della realizzazione di quella carta non
esistevano più, magari come tante altre isole o scogli soggetti a ‘subsidenza’…
avviene tutt’oggi, e avvenne non molto tempo fa, come per l’Isola Ferdinandea,
affiorata nel 1831 e scomparsa l’anno successivo.
E veniamo a queste benedette isole e a colui che con precisione ne tratta,
ovvero l’Abate Domenico Romanelli (1756-1819), prefetto della Biblioteca della
Croce e della Biblioteca dei Ministeri, autore della ‘Antica topografia del
Regno di Napoli’, Napoli, Stamperia Reale, 1815.
Nella breve dedica introduttiva, ‘Agli amatori della storia e della
geografia antica’, l’abate abruzzese spiega benissimo quali e quante difficoltà
abbia dovuto affrontare per dare alla luce un tipo di opera – una antica
topografia – alla quale persino Cicerone, richiesto di realizzare qualcosa di
simile, aveva dovuto riuniciare ‘justa causa’. Il Romanelli non manca di
sottolineare la poca attendibilità delle misure delle ‘tavole itinerarie’ e le
altre varie insidie contenute nella ‘letteratura geografica’.
Per maggiore intelligenza, eccone uno stralcio:
‘Altre carte appartenenti a questo Regno ci furono date dal Cluverio,
dal Cellario, dal Brezio, dal Merula, e da qualche altro, e l’Ortelio riportò
anche una carta, che si attribuisce a Pirro Ligorio. Noi non vogliamo fare i
censori di queste carte: ma ci contentiam solamente di dire, che i luoghi in
esse marcati non corrispondono affatto alla topografia, che n’assegnarono o i
geografi, o gli storici, o gl’itinerarj antichi. Invano vi si cercano le vere
misure, e le distanze, che sono necessarie in geografia, le strade consolari, i
porti, ed i veri siti delle antiche città, e di altri luoghi. Quai lumi dunque
può ritrarre la geografia da queste carte?’ Credo che più chiaro di così…
E veniamo al paragrafo del Romanelli che ci interessa più da presso, dal
titolo ‘Dioscorum et Calipsus Insulae’:
‘Prima di toccarsi il Lacinio (Capo
Colonna, ndr) Plinio descrisse tre isolette, che al suo tempo
sporgevano ancora fuori delle onde. Egli l’appellò Tyris, Eranusa, Meloessa. Ne’ codici
mss. (manoscritti, ndr) però si legge altrimenti, e specialmente in un
esemplare Vaticano osservato dal Quattromani, in cui si ha Syris Seranus, Eranusa et Tyris Eranus, voci
certamente da’ copisti depravate. Lo scoliaste di Licrofrone appellò queste tre
isolette da' nomi delle Sirene, cioè Pisinoe, Aglaope, e
Thelxiepia… Anche ne’ codici antichi di Plinio, e nelle più vetuste edizioni di
questo geografo, e specialmente
in quelle di Venezia per B. Benalium 1497, e di
Manuzio 1559, si attribuisce a questi scogli il nome di Sirenusae. Questa istessa lezione fu adottata da
Ermolao Barbaro nelle note a Plinio. In altre edizioni posteriori il nome di Sirenusae fu tralasciato,
e venne approvato dall’Arduino, senzachè ne avesse prodotta alcuna ragione.
Oltre di questi tre scogli sorgeva dappresso l'isoletta de' Dioscori, che Plinio appellò Dioscoron per dieci miglia dal lido lontana, ed
un’altra detta Calypsus, che Omero,
secondo lo stesso geografo, appellò col nome di Ogygia.
Di
questa medesima isola troviamo memoria presso Scilace nella sua descrizione
topografica di tutti questi lidi: Locri, Caulonia, Croton,
Lacinium, Iunonis templum, Calypsonis insula, in qua Ulysses habitabat apud Calypso.
I mitologi però non son d’accordo nel riconoscere il vero sito di questa
isoletta, dove Calipso ricevè Ulisse, dopo i lunghi sofferti naufragj, e dove seco lei per sette anni si trattenne. Strabone non convenne certamente con Plinio, perché
ripose l’isola dell’Ogygia Omerica
nell’Oceano. A non pochi è piaciuto di vederla nell’isola di Malta (Gozo, una
delle isole maltesi, ndr), o presso le coste di Egitto, e nell’isola Atlanta, o Atalanta nell’Euripo Euboico, oggi golfo di Negroponte. Da Omero istesso, che descrisse ben a lungo
questo soggiorno di Ulisse, non può
ritrarsi affatto la di lei topografica situazione: Tuttavia il Cluverio ha mostrato con
buone ragioni, che di quest'isola, e non di altra, dovè parlare l'epico
greco. La quistione però non si versa, che
intorno al nome. A noi basta di
risapere solamente l'antica esistenza di queste isolette non lungi dal promontorio Lacinio , che oggi son dalle
acque interamente ricoperte.’
Ricapitolando,
spero di aver fornito qualche ragguaglio utile su questi scogli che saranno
esistiti al largo di Capo Lacinio, almeno fino ai tempi di Plinio, di fronte ai
tre Promontori Japigi, dei quali evito di parlare perché non vorrei impelagarmi
– mi sembra il caso di dirlo – oltre.
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