In
questo post, la Prefazione
a ‘La letteratura calabrese’ (2a edizione, Guida, Napoli
1977),
di Antonio Piromalli (Maropati 1920- Polistena 2003), un breve saggio,
che vorrei
definire un gioiellino, un concentrato di conoscenze storiche,
culturali,
letterarie della Calabria e dei calabresi; sono parole sulle quali
riflettere,
parole per capire, di un uomo profondamente colto, sono
parole che riassumono l’essenza del mancato sviluppo, della formazione
negata di
una anima o di una maniera di sentire che potesse unire una intera
popolazione, per 'regionale' che fosse, parole che mirano a segnalare le
radici del sottosviluppo di una regione il cui
destino è stato scientificamente segnato dai gruppi di potere, nazionali
e
locali.
E’
difficile essere calabresi, almeno quanto è attraente, e comodo, cercare di non
esserlo. Si rimane quello che si è nati, ovunque, certamente in misura
variabile, ma in proporzioni e misure, a volte, nemmeno immaginate.
Chiedo
solo, a qualche eventuale, sporadico lettore, o passante per così dire, di
leggere le parole che seguono con un minimo di attenzione… ne trarrà beneficio,
conforto alle proprie idee, ai propri pensieri.
Per
quanto
mi riguarda ho comprato con gioia enorme questo libro il 17 marzo 1978,
a Crotone, quando ero studente, non so nemmeno come, non avendo una lira
in tasca, ma del resto, forse nelle tasche avevo troppi sogni, e non mi
rimaneva posto per nient’altro…Lo leggo ora, o forse lo rileggo.
PREFAZIONE
Questa letteratura calabrese è una storia
della cultura e non delle sole forme
letterarie; pertanto essa si unisce alla storia delle idee, alla storia civile
e politica e dei gruppi intellettuali. La letteratura conferma la sua specificità nel confronto con tempi, luoghi, persone, geografia, storia in una regione
che per il passato è stata
scarsamente regione e sempre — non solo geograficamente — gruppo di subregioni,
di isole partimentate, autonome, diasporiche (proiettate verso Napoli, Roma,
Palermo, Milano, Torino, le Americhe, l'Australia, l'Europa transalpina) ma non comunicanti tra di
esse; popolazioni e individui costretti alla fuga hanno dovuto frantumare la
possibilità di unità regionale,
di coagulazione, hanno dovuto sostenere come conseguenza la debolezza del potenziale produttivo,
devalorizzare il proprio lavoro — bracciantile,
operaio, intellettuale — che è stato sempre pagato a bassa
quotazione; non hanno potuto creare strutture urbane di livello elevato; le
economie subregionali non si sono integrate ed è mancata la loro connessione in un
tessuto moderno, civile, della regione: ogni villaggio calabrese è stato per secoli un mondo a sé, per
incomunicabilità fisica col resto del mondo. Anche, perciò, lo spirito pubblico — dal quale si formano i
gruppi
intellettuali — non si è venuto formando e le stesse masse di contadini sono
state costrette per secoli all'integrazione in un blocco agrario
mantenuto compatto anche da intellettuali dirigenti fedeli al ruolo
storico di difensori degli interessi, delle concezioni delle classi
dominanti. Anche quando l'intellettuale dirigente intravede la realtà — dopo secoli di platonismi, idealismi, nominalismi — la tiene appesa al
gancio della metafisica; quando scopre che le riforme sono necessarie le
demanda alla superiore concezione di vita dell'aristocrazia perché il popolo ha
bisogno di
essere educato; la letteratura, quindi, non può passare, per noi, sopra i
grandi problemi economici, agricoli, demografici, politici, della Calabria, non
può non risentire della mancanza dei centri di aggregazione culturale; mirabile,
piuttosto, è la formazione di gruppi intellettuali, in tali condizioni, ad
Aprigliano, a Cosenza, ad Acri ecc. Anche in Calabria i nuovi gruppi di
intellettuali (scrittori dialettali, filosofi, illuministi, patrioti ecc.) si sono trovati contro altri
intellettuali religiosi o laici che ritenevano di rappresentare la
continuità storica o di avere una funzione autonoma e superiore. In queste pagine
siamo venuti indicando le illusioni
ideologiche degli intellettuali che non si riconoscevano, non avendo preso
coscienza del loro stato, come espressione riflessa
dell'egemonia economico-politica esercitata dai ceti dominanti o, in certe occasioni, quali commessi dei
gruppi dominanti, deputati a svolgere
le funzioni subalterne dell'egemonia sociale. Né la nostra è la storia di una calabresità la quale, in ultima analisi,
sarebbe una categoria privilegiante gli eroi piuttosto che una storia letteraria che reca con sé i conflitti
di classe, gli scontri ideologici e
socio-politici. La storia letteraria ha le sue radici nella realtà popolare della Calabria, nei valori civili
e culturali che provengono dal
popolo. Nella disgregata storia e geografia umana dei villaggi montani calabresi il medioevo fu
lunghissimo. Tirannie senza splendori, senza umanesimo furono quelle
dei baroni e dei reguli
locali
o napoletani in Calabria a cui si aggiunse una feroce Inquisizione. Chi legga la cronaca di Pietro Antonio
Frugale, canonico della cattedrale di
Cosenza, vede nelle esecuzioni cosentine
dei primi anni del Seicento la continuazione delle stragi dei Valdesi di quarantanni prima. Nella cronaca si
vede quanto operassero in Cosenza la
rota, la tinaglia, la forca
per
motivi religiosi contro presunti eretici e magare che prima venivano strascinati e frustati in pubblico. Spagna e
chiesa cattolica tormentarono e
giustiziarono nella piccola città centinaia di persone, molti per sfuggire alla forca si diedero al
banditismo armato. [«A 9 agosto 1603,
per ordine dell'Eccellentissimo D. Lelio Orsini si giustiziarono ventuno homini, tra i quali uno fu tenagliato, quattro alla rota, dieci furono strascinati ed il
resto afforcati (...). A 23
agosto furono giustiziati 13, di cui otto alla rota e cinque afforcati, ma
tutti furono strascinati (...). A 24
detto (settembre) molti carcerati, per la morte dell'Orsini, avevano fatto
molti luminari la sera ad ore tre di notte;
ne furono sei martirizzati alla corda
e tirati dalli stessi servi di Orsini, con mille altri tormenti d'empietà e più di 25 sono al trapasso »].
In questa nuova
edizione abbiamo cercato di collegare la cultura letteraria con le altre
manifestazioni della regione, delle altre regioni e con la società. Abbiamo mirato a
mettere in luce lo stato degli intellettuali in rapporto con le altre categorie e classi, a spiegare i fenomeni
ricorrenti della diaspora, a individuare gli aspetti specifici della cultura. L'intellettuale calabrese
ha le sue radici nel mondo contadino
oppresso; quando ha coscienza delle proprie origini si adopera per spiegare
anche culturalmente i rapporti sociali ed elabora originalmente il
proprio pensiero, crea mondi artistici in
cui è il riflesso di ribellioni e di aspirazioni umane. Per questa impostazione ci è sembrato di dovere dare una nervatura
più continua alla polemica contro l'aristotelismo compiuta da letterati e scienziati che si sentivano nuovi, moderni, contro i sistemi culturali che giustificavano
autoritarismi e tirannie; quegli
intellettuali erano attratti dalla ragione, da Cartesio, dai lumi. La poesia in latino comincia a
perdere qualcosa del suo splendore
antologico o lirico nella tensione di oggi verso il concreto e
l'autentico; la sua funzione raramente è critica. Critica è la letteratura dialettale, quasi sempre animata da una tensione verso la verità; nel dialetto è il desiderio
di conoscere, sperimentare, confermare, di diversificarsi dalle forme
ufficiali, è la proiezione di aspirazioni comuni, di moti repressi, di
sogni proibiti, è la satira della
tradizione, dell'autoritarismo. Il solo Campanella poteva esprimere in lingua,
con alto tono drammatico, le stesse cose: altri, molti altri, usavano in
lingua pensieri altrui e forme obsolete.
Abbiamo mantenuto, in questa revisione
dell'opera, l'impostazione critica che era
stata per il Galati la nota distintiva del nostro lavoro, unita alla necessità di adeguare il giudizio al livello della storiografia letteraria nazionale più
moderna. Ricostruzioni più complete
potranno essere fatte con gli studi particolari ma la nostra ambizione era quella di togliere «dall'incertezza
critica ciò che si chiama
letteratura calabrese» e indicare «altri tenitori del pensiero e, in genere, della cultura calabra,
come la scienza, il diritto, la
filosofia» (Vito G. Galati, Prefazione alla prima edizione) . Oltre ad
avere tenuto conto di proposte e suggerimenti di studiosi e amici abbiamo avuto
la possibilità di verificare in questi ultimi cinque anni in dibattiti, corsi,
seminari, tesi di laurea, i
problemi della cultura calabrese in rapporto alla società e in tal modo
confrontato e rettificato prospettive anche in relazione allo sviluppo di nuove discipline e nuovi metodi.
Roma, dicembre 1975
Fin qui Piromalli...
Devo alla cortesia di Giovanna Barca, Parma, il testo che aggiungo, meritevolissimo di riflessioni:
Da “La Calabria” libro sussidiario per la cultura regionale e le nozioni varie di Ettore Gliozzi, Società Editrice Internazionale, 1924.
Rimproveri meritati.
Al popolo calabrese si riconoscono tante virtù, ma nello stesso tempo si rimproverano l’analfabetismo, la superstizione, la testardaggine, la mancanza di spirito d’iniziativa, il facile entusiasmo e il più facile scoramento. Sono rimproveri meritati. Bisogna liberarsi da questi mancamenti, bisogna aver fede nelle proprie forze e associare tutte le energie, con volontà ferma e tenace, per il bene commune. La vittoria è di chi vuole e sa affrontare con coraggio le lotte della vita.
La vergogna dell’analfabetismo è grande, è umiliante per la nostra Calabria. Se tutti i calabresi asseconderanno l’opera del Governo e quello della benemerita Associazione nazionale per gl’interessi del Mezzogiorno d’Italia, questo marchio d’inferiorità sarà presto cancellato per sempre.
Lo spirito d’iniziativa manca veramente. I calabresi non hanno ancora smesso la triste abitudine, ereditata dai governi dispotici, di attendere ogni cosa dallo Stato. Certamente, nelle pubbliche necessità, che son molte e gravi, lo Stato interviene, deve intervenire. Ma se i calabresi si persuaderanno che lo Stato non può provvedere a tutto, non può sopperire a tutto, allora non mancherà la cooperazione commune, lo sforzo associato di tutti i buoni, di tutti quelli che amano la nostra terra, per farla risorgere a nuova vita, per farla tornare all’antica grandezza.
Fin qui Piromalli...
Devo alla cortesia di Giovanna Barca, Parma, il testo che aggiungo, meritevolissimo di riflessioni:
Da “La Calabria” libro sussidiario per la cultura regionale e le nozioni varie di Ettore Gliozzi, Società Editrice Internazionale, 1924.
Rimproveri meritati.
Al popolo calabrese si riconoscono tante virtù, ma nello stesso tempo si rimproverano l’analfabetismo, la superstizione, la testardaggine, la mancanza di spirito d’iniziativa, il facile entusiasmo e il più facile scoramento. Sono rimproveri meritati. Bisogna liberarsi da questi mancamenti, bisogna aver fede nelle proprie forze e associare tutte le energie, con volontà ferma e tenace, per il bene commune. La vittoria è di chi vuole e sa affrontare con coraggio le lotte della vita.
La vergogna dell’analfabetismo è grande, è umiliante per la nostra Calabria. Se tutti i calabresi asseconderanno l’opera del Governo e quello della benemerita Associazione nazionale per gl’interessi del Mezzogiorno d’Italia, questo marchio d’inferiorità sarà presto cancellato per sempre.
Lo spirito d’iniziativa manca veramente. I calabresi non hanno ancora smesso la triste abitudine, ereditata dai governi dispotici, di attendere ogni cosa dallo Stato. Certamente, nelle pubbliche necessità, che son molte e gravi, lo Stato interviene, deve intervenire. Ma se i calabresi si persuaderanno che lo Stato non può provvedere a tutto, non può sopperire a tutto, allora non mancherà la cooperazione commune, lo sforzo associato di tutti i buoni, di tutti quelli che amano la nostra terra, per farla risorgere a nuova vita, per farla tornare all’antica grandezza.
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