Questa ricerca - o post, come usa dirsi - era nata dalla volontà dello scrivente di esporre e tradurre in caratteri moderni la 'Breve descrizione...' con la quale Antonio Lupicini cercava di confutare le idee di Luigi Lilio relative alla riforma del Calendario. Aggiungendo altre parti, note, curiosità, mi sono reso conto che l'argomento di cui vado parlando - o forse blaterando - mi interessava ben oltre l'aspetto contingente che poteva essere l'omaggio, per quanto umile, all'opera del mio - e magari anche tuo, oh sporadico lettore! - conterraneo. Per questo motivo credo che cercherò altri scritti da aggiungere a questa 'ricerca senza pretese'. Certo sarebbe semplice, facilissimo, domandare all'amico Francesco Vizza il permesso di 'postare' (povera lingua patria...) qualche brano dei suoi studi... ma sarebbe giusto? No che non lo sarebbe... anche se non potrò astenermi dal ricorrere ai suoi studi, e ad usarli per meglio chiarire taluni aspetti 'del contendere'.
Quando ero bambino, nemmeno ragazzino, ma bambino - uno di quegli infanti per i quali si prospettava immancabilmente una 'tanta strada' da farsi (mai fatta, nel mio caso, se non per trasferimenti...) - avevo sempre gli occhi rivolti ai libri, ovunque andassi, ed in quei libri cercavo troppo spesso argomenti irraggiungibili, e attinenze con i miei luoghi d'origine... Sì, non ero precoce, ma semplicemente illuso o fuorviato. Sfogliando una di quelle inguardabili enciclopedie che un tempo arredavano le dimore più o meno misere di quelle che ancora chiamo 'le mie parti', rinvenni delle note biografiche relative a tale 'Luigi Lilio, o Giglio', di Cirò (CZ), dove, in due righe, si affermava essere, quel 'tale', il riformatore del Calendario... Non ho mai dimenticato queste noterelle della 'Grande Enciclopedia Universale Curcio' (in comode rate mensili)...
Come potrete notare, in quella che è attualmente la parte finale di questo post, Carmelo bene parla di Aloysius Lilius come di uno 'sfaccendato' e un 'mascalzone patentato', mentre il suo intervistatore domanda candidamente (forse) chi fosse il personaggio del quale Bene stava parlando... una intervista ridicola, tutto sommato, un gioco delle parti, una curiosità, anche se non priva di spunti che ognuno, a modo proprio, potrà approfondire. Smontare le affermazioni di quella intervista sarebbe un esercizio fin troppo gratuito. A milioni di persone piacerebbe lasciarsi andare all'esercizio dell'anarchia, a sognare quell'isola che forse non c'è e per la quale si è coniata la parola 'utopia'... non è il tempo, e nemmeno la sua misurazione, a rendere schiavi, non credo proprio: il tempo è anche una sorta di reticolo, una trama 'connettiva', che trattiene quella che è una delle caratteristiche più alte e distintive della natura umana: la memoria.
Tutto sommato credo che Carmelo Bene ne sapesse, di Luigi Giglio, non più di quanto si potrebbe leggere in qualche edizione superstite della 'Enciclopedia Universale'...
Come potrete notare, in quella che è attualmente la parte finale di questo post, Carmelo bene parla di Aloysius Lilius come di uno 'sfaccendato' e un 'mascalzone patentato', mentre il suo intervistatore domanda candidamente (forse) chi fosse il personaggio del quale Bene stava parlando... una intervista ridicola, tutto sommato, un gioco delle parti, una curiosità, anche se non priva di spunti che ognuno, a modo proprio, potrà approfondire. Smontare le affermazioni di quella intervista sarebbe un esercizio fin troppo gratuito. A milioni di persone piacerebbe lasciarsi andare all'esercizio dell'anarchia, a sognare quell'isola che forse non c'è e per la quale si è coniata la parola 'utopia'... non è il tempo, e nemmeno la sua misurazione, a rendere schiavi, non credo proprio: il tempo è anche una sorta di reticolo, una trama 'connettiva', che trattiene quella che è una delle caratteristiche più alte e distintive della natura umana: la memoria.
Tutto sommato credo che Carmelo Bene ne sapesse, di Luigi Giglio, non più di quanto si potrebbe leggere in qualche edizione superstite della 'Enciclopedia Universale'...
E' per questo che metto insieme queste note, a distanza di quasi cinquant'anni da quando ho imparato a leggere? E chi può saperlo... Ad ogni modo credo che insisterò con la ricerca di altri materiali 'liliani', quasi a fare di questo 'post' (... e dalli!) un repertorio 'in divenire' di notizie, con tanto di bibliografia annessa... ma una cosa alla volta.
Tanto per non essere troppo ripetitivo, aggiornerò il titolo dello scritto, apponendo la data di introduzione delle modifiche.
BREVE DISCORSO D'ANTONIO LUPICINI, SOPRA LA REDUZIONE DELL'ANNO, E EMENDAZIONE DEL CALENDARIO.
Nel trattatello, apparso nel 1578, nella edizione fiorentina di Sermartelli, e ripubblicato - nella edizione che propongo - sempre in Firenze nel 1580, per i tipi di Marescotti, l'autore, Antonio Lupicini, affronta e critica la riforma liliana del calendario, o, dicendo forse meglio, la riforma gregoriana del calendario secondo le risultanze delle scoperte scientifiche di Luigi Giglio.
I caratteri a stampa sono quelli del XVI secolo e bisognerà prestare attenzione a distinguere le lettere 'f' dalle 's' e le 'u' dalle 'v'. Anche la lettera 'n' è trascritta, in taluni casi, utilizzando la tilde.
E' curioso - ma non troppo - notare come in fine di pagina, quasi a promemoria, gli stampatori annotassero la prima sillaba della pagina successiva.
Vagando per la rete, e recuperando materiali liliani, mi convinco che il Nostro, almeno ai suoi tempi, fosse molto famoso, se non addirittura celebre, e ne deduco che purtroppo la storia non ha reso il giusto merito a questo scienziato che, in estrema sintesi, ha realizzato una scoperta che riguarda l'universo mondo... e scusate se è poco. Merito, quindi, agli studiosi e agli appassionati che hanno rinnovato la memoria di quella che è la massima gloria cirotana in campo scientifico.
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Intanto, quanto alla fama di Giglio, cito Louis (Lodovico) Dutens, (1730-1812), dal suo 'Dell'origine delle scoperte attribuite ai moderni', tomo III:
Se non siete svenuti o se non siete ancora stufi... proseguiamo coi materiali liliani.
L'autore del 'breve discorso', Antonio Lupicini (circa 1530-circa 1607), ingegnere, architetto, astronomo, artigliere e tanto altro, fu un personaggio eminente della corte medicea che gli affidò numerosi incarichi. Qui, come si legge nella prima pagina, fornisce a Francesco de' Medici, che gliene ha fatto richiesta, una propria visione della proposta liliana di riforma.
Devo ringraziare Francesco Vizza per aver sottolineato, facendomi ricredere circa la mia scelta di tagliare una parte di questo post, che papa Gregorio XIII aveva inviato delle informative ai potenti dell'epoca, tra cui il Granduca di Toscana, con le quali li informava a proposito della riforma del calendario: in pratica Francesco de' Medici chiedeva lumi al Lupicini, che però osteggiava le scelte di Giglio, sostenenendo quelle del toscano Giovanni Maria Tolosane di Colle Val d'Elsa, ma ecco il commento di Vizza:
Caro Cataldo,
a parte il commento del Botta, la riflessione che tu facevi sulla notorietà di Lilio, a mio parere, è molto importante.
Lilio era diventato molto famoso perché il Compendium, che racchiude i punti principali della sua ipotesi di riforma, fu inviato da papa Gregorio XIII a tutti gli Imperatori cristiani, Re, Repubbliche, Duchi, Università ed Accademie d’Europa affinché ottenessero un giudizio dai loro esperti matematici, astronomi e uomini eruditi. Le dichiarazioni dei Principi, a favore o contro la proposta di Lilio, accompagnate dalle relazioni dei loro esperti, furono poi inviate al papa. In sintesi, i più importanti uomini eruditi, astronomi e matematici del tempo conoscevano la proposta di Lilio.
Il Granduca di Toscana Francesco I dei Medici, inviò al papa la sua dichiarazione, insieme a cinque rapporti formulati da Alessandro Piccolomini, Julius Angelus Bargaus, Philippus Bhantenius, Josephus Mozzolenus e Antonius Lupicinius.
E’ evidente che Lilio era uno dei matematici-astronomi più famosi della seconda metà del ‘500 e lo fu per molto tempo a seguire.
Il libello, che tu hai pubblicato su questo Blog, è la relazione di Lupicinio il quale non fu molto tenero con Lilio. Ma la storia è nota. i Toscani tifavano per la proposta del loro corregionale Giovanni Maria Tolosane di Colle Val d’Elsa che nel 1537 pubblicò un Opuscolum de emendationibus temporum nel quale proponeva di fissare l’equinozio al 10 o 11 marzo e di eliminare un giorno ogni 104 o 108 anni. Il suo anno solare, al limite, poteva anche essere astronomicamente corretto ma non il calcolo della Pasqua che fu, invece, brillantemente risolto da Lilio “con uno sguardo acuto dell’intelletto”.
Francesco Vizza.
Ed ecco la mia risposta:
Infatti, caro Francesco, il tuo gradito ed illuminante commento è apparso proprio mentre stavo aggiornando il post con una citazione di Lodovico Dutens, a conferma della fama di Luigi Giglio. Con le storielle - ché in fondo le definisce così anche l'autore medesimo- del Botta, ho inteso aggiungere qualche nota di colore napoletano... Certamente il Lupicini voleva contrastare la visione liliana, per i motivi, tutto sommato 'di bottega', che tu hai bene illustrato, e che non suonano certo a merito dell'estensore del trattatello che ho riproposto. Ma a ben guardare, la relazione fatta dall'ingegnere toscano a Francesco de' Medici, sempre per i motivi che hai ulteriormente chiarito, in fondo sottolinea, malgrado gli intenti contrari, l'importanza dell'opera dell'astronomo cirotano.
Grazie.
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Vediamo, a mo' di introduzione al trattatello del Lupicini, come riassume la vicenda della riforma del calendario lo storico Carlo Botta (1766-1837), nella sua rinomata e ponderosa 'Storia d'Italia continuata da quella del Guicciardini sino al 1814', (il testo selezionato qui appartiene all'edizione del 1843), tomo II, libro XIV:
''Il pontificato di Gregorio merita specialmente di essere celebrato per la riforma del calendario, che a' suoi tempi, cioè nel 1582, e per opera sua si consumò. Il concilio niceno, per fare che i cristiani non celebrassero la pasqua al medesimo tempo che gli ebrei, aveva statuito che la prima domenica dopo il plenilunio della luna di marzo che succede all'equinozio di primavera si celebrasse. Ora, siccome il sole impiega circa sei ore più che trecentosessantacinque giorni per arrivare al punto del cielo, che forma quell'equinozio, cioè al suo ingresso nell'ariete, era avvenuto, che dal concilio di Nicea in poi, l'equinozio era ritardato di dieci giorni, e caduto all'undici di marzo. Da questo sbalzar indietro del sole, rispetto ai moti della luna, che non avevano variato, era proceduto, che la pasqua non si poteva più, secondo la mente di quel concilio, celebrare. Poteva anche nascere coll'andar del tempo, che si turbasse l'ordine delle stagioni, e la state cadesse nei mesi d'inverno, e l'inverno in quei della state, perché la divisione del tempo fatta dagli uomini non corrispondeva al corso immutabile della natura.
Per la qual cosa il papa, scrittone a tutti i principi, e consigliatosi coi più dotti matematici di quell'età, finalmente, accettando la sentenza di Luigi Giglio, statuì, affinché di nuovo i moti del sole con quei della luna si uniformassero e la uniformità anche nei secoli avvenire si conservasse e le stagioni nei medesimi mesi si formassero, che dieci giorni dell'anno 1582 si togliessero, che ad ogni quinto anno un giorno si aggiungesse, e l'anno col giorno aggiunto bisestile si chiamasse, che finalmente ogni quattrocento anni un giorno si scemasse. A questo modo l'equinozio di primavera, salva una picciolissima differenza, che non cadrà sotto i sensi, né sarà d'importanza se non nel progresso di molti secoli, fu fermato, e si mantiene nel medesimo giorno di marzo. Si decretò ancora, che il giorno intercalare al mese di febbrajo si aggiungesse.
Restava da determinarsi quali fossero i dieci giorni che si volevano sottrarre dall'anno e da qual mese. Pensossi all'ottobre; ma il papa non volle che si desse principio dal primo del mese, perché, cadendo il giorno di san Francesco il quarto, i frati francescani fecero un gran romore, affinché il giorno festivo del loro fondatore non sl sopprimesse. Pertanto. si lasciò correre il quarto d'ottobre, poi, in vece di dire cinque d'ottobre, subito si disse quindici, cioè in vece di andare dai quattro ai quindici passando pei giorni intermedj, vi si andò immediatamente. Cosi fu conservato san Francesco; ma altri furono soppressi, ed ebbero pazienza, fra gli altri san Dionigi.
Gl'Italiani ed i Francesi accettarono subito la riforma del calendario, che dal nome del papa, che ne fu il promotore, gregoriana si chiamò. Gl'Inglesi, e la più parte degli Alemanni penarono qualche tempo a conformarvisi, perché credevano che la facoltà di far mutazioni nel calendario spettasse all'autorità civile, non all'ecclesiastica, ma finalmente vi si adattarono. Solo la chiesa greca restò renitente, e questa è la ragione per cui il calendario russo non concorda col romano.
Divulgossi nel mondo che parecchi miracoli avessero accompagnato la riforma gregoriana. Conservavasi nella chiesa di san Gaudioso in Napoli dentro una boccetta il sangue di santo Stefano. Ora questo sangue era solito a liquefarsi da sé medesimo il tre di agosto, giorno dedicato a quel santo; ma dopo la riforma sopraddetta non si liquefece più che il tredici. Vi fu chi scrisse che ciò era pruova manifesta che il calendario gregoriano era stato ricevuto ed appruovato in cielo. Simile mutazione fece, al dire e scrivere d'alcuni, il sangue di san Gennaro ai diecinove di settembre. Anche un noce, solito a restar secco e sfrondato come in inverno sino alla vigilia di san Giovanni Battista, ed a comparire tutto ad un tratto vestito di foglie e di frutti la mattina seguente, cambiò stile rinverdendosi e cacciando fuor noci grosse e bell'e formate dieci giorni prima, cioè l'istessa notte di san Giovanni. Ma siccome il miracolo consisteva nel non cambiar di data, e nel seguitare il nuovo calendario, così il noce fece, il sangue no, che non s'accorse della riforma. Queste cose sono pure molto inette ma le narro per ammaestramento di chi mi legge.''
Fin qui Carlo Botta, passiamo ora al trattatello, premettendo una nota, tratta da 'Enciclopedia Italiana Treccani, ed. 1933, che spiega cosa si intenda per 'Lettera domenicale''...
LETTERA DOMENICALE. - È una lettera dell'alfabeto, che nel calendario ecclesiastico si associa ad ogni anno e che, insieme con la corrispondente epatta (v.), permette di determinare per l'anno considerato la data della Pasqua e quindi la distribuzione delle altre feste mobili. Per trovare la lettera domenicale di un dato anno, si fanno corrispondere ai primi sette giorni di esso ordinatamente le lettere da A a G, cioè al 1° gennaio la lettera A, al 2 la lettera B e così di seguito. La lettera domenicale dell'anno prefissato è quella, che si trova a corrispondere alla domenica di quella prima settimana e, quindi, anche a tutte le altre domeniche, se l'operazione s'immagina proseguita per tutto l'anno. Se l'anno è bisestile, le lettere domenicali sono due: la prima, valida fino al 29 febbraio compreso, si trova con la regola or ora indicata; l'altra, valida per il resto dell'anno, si determina applicando la medesima regola a partire dal 1° marzo ed è quindi la lettera, che, nell'ordine alfabetico, precede immediatamente la prima. Così per il 1934, che comincia con un lunedì, la lettera domenicale è G; per il 1936, che comincia con un mercoledì, le lettere domenicali sono E, D. (Se ne deduce che il 1936 fosse bisestile, n.d.r.); fonte: Treccani.it.
E' curioso - ma non troppo - notare come in fine di pagina, quasi a promemoria, gli stampatori annotassero la prima sillaba della pagina successiva.
Vagando per la rete, e recuperando materiali liliani, mi convinco che il Nostro, almeno ai suoi tempi, fosse molto famoso, se non addirittura celebre, e ne deduco che purtroppo la storia non ha reso il giusto merito a questo scienziato che, in estrema sintesi, ha realizzato una scoperta che riguarda l'universo mondo... e scusate se è poco. Merito, quindi, agli studiosi e agli appassionati che hanno rinnovato la memoria di quella che è la massima gloria cirotana in campo scientifico.
Luigi Lilio, mia foto ripresa nel Casale dell'Attiva, per gentile concessione dell'avvocato G.F. Pugliese. |
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Intanto, quanto alla fama di Giglio, cito Louis (Lodovico) Dutens, (1730-1812), dal suo 'Dell'origine delle scoperte attribuite ai moderni', tomo III:
''Luigi Lilio inventor dell’Epatta (*) e riformator del
calendario.
VII. Ma trasandar non debbo un nostro nazionale, che prima
del Galileo immortalò il suo nome coll’invenzione de’ 30 numeri dell’Epatta
e col trattato sulla riforma del
calendario, il cui piano, ed esclusione di quelli di parecchi altri
astronomi, fu fatto eseguire da Gregorio XIII. Egli è il famoso Luigi Lilio, o
Giglio del Cirò in Calabria, ch’è stato bruttamente equivocato tanto dal Moreri
nel suo Dizionario con Lilio Gregorio Giraldi letterato Ferrarese, quanto da
colui che vi fa le Note con Lilio Gregorio Veronese. (1)
(1) Ma il Lilio prevenuto da morte non potè vedere eseguito
il suo progetto, su di cui avea dieci anni faticato. Vi entrò bensì a parte il
di lui fratello Antonio Lilio, che da Gregorio ebbe il privilegio della stampa
dell’Opera e fu impiegato all’eseguimento della medesima in compagnia del celebre
Ignazio Danti Domenicano Perugino dopo l’esame e la correzione che ne fecero
Mons. Vincenzio Lauro pur Calabrese, che poi fu Cardinale, Cristoforo Clavio
Gesuita, e Pietro Ciaconio Prete Spagnuolo. Oltre al Giannone, lib. 33, c.
64 e agli Scrittori Calabresi; si vegga il P. Maffei Annal. di Gregor.
XIII tom. II.''
Nelle brevi note del Dutens si può notare come il nome del nostro paese, al tempo - e sicuramente fino al XIX secolo - fosse usato al maschile, e con tanto di articolo determinativo dello stesso genere; anche il Galanti lo appellava allo stesso modo, e del resto mi sembra, a ben guardare, una concessione a quell'etimo che recita di un luogo freddo e 'altisedens': Il Cirò, quindi, Il Zirò...
Il Dutens ricorda inoltre come spesso altri autori abbiano scambiato Luigi Lilio con altri personaggi dal nome più o meno simile (quello accennato non è l'unico caso).
(*) Epatta di Pio Luigi Emanuelli, in 'Enciclopedia Italiana Treccani', ed. 1932.
EPATTA (da επακτός "aggiunto"). - Per definizione epatta di un anno è l'età della luna dall'ultimo giorno dell'anno precedente (o, se si vuole, al 0 gennaio), quando si chiami età della Luna a un dato giorno il numero di giorni trascorsi a partire dall'ultimo novilunio, assegnandosi a questo il valore 0. Nel calendario gregoriano, l'epatta, che si suole indicare in cifre romane, rende, per così dire, meccanico il calcolo dei novilunî ecclesiastici per il computo della Pasqua.
Fino alla riforma gregoriana (v. calendario) questo calcolo veniva effettuato mediante il cosiddetto ciclo diciannovennale di Metone, secondo il quale, in capo a 19 anni, i novilunî, al pari delle altre fasi della Luna, ritornano alle stesse date. La riforma escogitata dal medico calabrese Luigi Lilio e attuata nel 1582 da Gregorio XIII, si proponeva due scopi: l'uno era quello di riportare l'equinozio di primavera al 21 marzo; l'altro, forse più importante, di coordinare l'anno lunare all'anno solare, in modo da poter determinare con sufficiente esattezza la data della Pasqua (v. Pasqua).
Ecco in breve le regole pratiche, cui conduce il meccanismo ideato dal Lilio per raggiungere, per mezzo di epatte, questo scopo.
Etimologicamente "epatta" è il numero dei giorni, che bisogna aggiungere all'anno lunare per avere l'anno solare. L'anno lunare essendo di 354 giorni, l'anno comune solare di 365, la differenza 11 è l'età della Luna media al principio del secondo anno, se la luna nuova è cadu̇ta al principio del primo anno. In questo caso 11 è l'epatta del secondo anno. L'epatta del terzo è 11 + 11, cioè 22; quella del quarto sarebbe 33, ma, siccome s'intercala un intero mese di 30 giorni, si riduce a 3. E cosi per gli anni seguenti si trovano le epatte: 14,25,6 (cioè 36), 17,28, 9 (cioè 39), ecc.
Ma la riforma gregoriana ha introdotto, a partire dall'anno 550 dell'era cristiana, una correzione (la cosiddetta equazione lunare), la quale consiste nell'aggiunta d'un giorno alle epatte dei singoli anni d'un ciclo metoniano, con una legge che qui non è il caso di precisare. Questa correzione porta di conseguenza che, per il calcolo delle epatte, non vale la semplice legge periodica dianzi accennata, bensì un procedimento che varia lievemente per periodi secolari. Precisamente per trovare l'epatta d'un anno, se ne trova anzitutto il cosiddetto numero aureo (vale a dire quello che a codesto anno spetta nella successione del suo ciclo metonico e che si ottiene aumentando di 1 il resto della divisione del millesimo per 19) e poi, indicato con A questo numero, si calcola il resto della divisione di 11 (A −1) per 30. Chiamato R questo resto, l'epatta, che denoteremo con E, si calcola secondo la tabella seguente:
Ad esempio, per il 1932 si ha A = 14, R = 23, E = 22.
Trovata l'epatta d'un anno, ecco come si procede praticamente per trovare tutti i novilunî (e quiudi anche le altre fasi lunari) di quell'anno. Nel calendario gregoriano perpetuo, a fianco d'ogni giorno, a partire dal 1° gennaio, sono segnati i primi trenta numeri, ma in ordine decrescente (e scritti in cifre romane): cioè di fronte al 1° gennaio è posto XXX (o un *), di fianco al 2 gennaio è posto XXIX, e così, via, fino ad I, dopo di che si ricomincia col XXX (o con un *). Siccome al primo gennaio sono passati dall'ultimo novilunio tanti giorni, quante sono le unità dell'epatta dell'anno che si considera, così il primo novilunio si farà in quel giorno, di fronte al quale risulta segnata, in cifre romane, l'epatta di quell'anno. Ad es., nel 1932 il primo novilunio si è avuto nel giorno di fronte a cui sta scritto XXII, cioè il 9 gennaio. E poiché tutto ciò si può ripetere per ciascuna lunazione successiva, anche tutti gli altri novilunî dell'anno cadranno precisamente in quei giorni, accanto ai quali ricompare periodicamente l'epatta dell'anno. Solo bisogna aggiungere che, siccome le 12 lunazioni di ciascun anno sono alternativamente di 30 giorni (piene) e di 29 (cave), è stato necessario assegnare, ogni due mesi lunari, due epatte a uno stesso giorno: queste epatte sono la XXV e la XXIV, e i giorni dell'anno con doppia epatta sono: il 5 febbraio, il 5 aprile, il 3 giugno, il 1° agosto, il 27 settembre e il 27 novembre. Trovati i novilunî, le altre fasi lunari si otterranno aggiungendo alle date dei novilunî i numeri 6 (primo quarto), 13 (luna piena), 20 (ultimo quarto).
Importa infine avvertire che i novilunî ottenuti nel modo dianzi indicato non sono che approssimati e possono differire dai novilunî astronomici, dati dalle effemeridi, di 1 giorno o di 2 0 anche di 3; e questa divergenza è dovuta al fatto che nel calcolo delle epatte si attribuisce alla Luna un moto medio, che non risponde alla realtà. Ma per gli scopi dei calcoli fondati sull'uso delle epatte, che è di fornire un metodo rapido per determinare con approssimazione le fasi lunari, e soprattutto il plenilunio pasquale, codeste divergenze non hanno importanza.
************************Nelle brevi note del Dutens si può notare come il nome del nostro paese, al tempo - e sicuramente fino al XIX secolo - fosse usato al maschile, e con tanto di articolo determinativo dello stesso genere; anche il Galanti lo appellava allo stesso modo, e del resto mi sembra, a ben guardare, una concessione a quell'etimo che recita di un luogo freddo e 'altisedens': Il Cirò, quindi, Il Zirò...
Il Dutens ricorda inoltre come spesso altri autori abbiano scambiato Luigi Lilio con altri personaggi dal nome più o meno simile (quello accennato non è l'unico caso).
(*) Epatta di Pio Luigi Emanuelli, in 'Enciclopedia Italiana Treccani', ed. 1932.
EPATTA (da επακτός "aggiunto"). - Per definizione epatta di un anno è l'età della luna dall'ultimo giorno dell'anno precedente (o, se si vuole, al 0 gennaio), quando si chiami età della Luna a un dato giorno il numero di giorni trascorsi a partire dall'ultimo novilunio, assegnandosi a questo il valore 0. Nel calendario gregoriano, l'epatta, che si suole indicare in cifre romane, rende, per così dire, meccanico il calcolo dei novilunî ecclesiastici per il computo della Pasqua.
Fino alla riforma gregoriana (v. calendario) questo calcolo veniva effettuato mediante il cosiddetto ciclo diciannovennale di Metone, secondo il quale, in capo a 19 anni, i novilunî, al pari delle altre fasi della Luna, ritornano alle stesse date. La riforma escogitata dal medico calabrese Luigi Lilio e attuata nel 1582 da Gregorio XIII, si proponeva due scopi: l'uno era quello di riportare l'equinozio di primavera al 21 marzo; l'altro, forse più importante, di coordinare l'anno lunare all'anno solare, in modo da poter determinare con sufficiente esattezza la data della Pasqua (v. Pasqua).
Ecco in breve le regole pratiche, cui conduce il meccanismo ideato dal Lilio per raggiungere, per mezzo di epatte, questo scopo.
Etimologicamente "epatta" è il numero dei giorni, che bisogna aggiungere all'anno lunare per avere l'anno solare. L'anno lunare essendo di 354 giorni, l'anno comune solare di 365, la differenza 11 è l'età della Luna media al principio del secondo anno, se la luna nuova è cadu̇ta al principio del primo anno. In questo caso 11 è l'epatta del secondo anno. L'epatta del terzo è 11 + 11, cioè 22; quella del quarto sarebbe 33, ma, siccome s'intercala un intero mese di 30 giorni, si riduce a 3. E cosi per gli anni seguenti si trovano le epatte: 14,25,6 (cioè 36), 17,28, 9 (cioè 39), ecc.
Ma la riforma gregoriana ha introdotto, a partire dall'anno 550 dell'era cristiana, una correzione (la cosiddetta equazione lunare), la quale consiste nell'aggiunta d'un giorno alle epatte dei singoli anni d'un ciclo metoniano, con una legge che qui non è il caso di precisare. Questa correzione porta di conseguenza che, per il calcolo delle epatte, non vale la semplice legge periodica dianzi accennata, bensì un procedimento che varia lievemente per periodi secolari. Precisamente per trovare l'epatta d'un anno, se ne trova anzitutto il cosiddetto numero aureo (vale a dire quello che a codesto anno spetta nella successione del suo ciclo metonico e che si ottiene aumentando di 1 il resto della divisione del millesimo per 19) e poi, indicato con A questo numero, si calcola il resto della divisione di 11 (A −1) per 30. Chiamato R questo resto, l'epatta, che denoteremo con E, si calcola secondo la tabella seguente:
Ad esempio, per il 1932 si ha A = 14, R = 23, E = 22.
Trovata l'epatta d'un anno, ecco come si procede praticamente per trovare tutti i novilunî (e quiudi anche le altre fasi lunari) di quell'anno. Nel calendario gregoriano perpetuo, a fianco d'ogni giorno, a partire dal 1° gennaio, sono segnati i primi trenta numeri, ma in ordine decrescente (e scritti in cifre romane): cioè di fronte al 1° gennaio è posto XXX (o un *), di fianco al 2 gennaio è posto XXIX, e così, via, fino ad I, dopo di che si ricomincia col XXX (o con un *). Siccome al primo gennaio sono passati dall'ultimo novilunio tanti giorni, quante sono le unità dell'epatta dell'anno che si considera, così il primo novilunio si farà in quel giorno, di fronte al quale risulta segnata, in cifre romane, l'epatta di quell'anno. Ad es., nel 1932 il primo novilunio si è avuto nel giorno di fronte a cui sta scritto XXII, cioè il 9 gennaio. E poiché tutto ciò si può ripetere per ciascuna lunazione successiva, anche tutti gli altri novilunî dell'anno cadranno precisamente in quei giorni, accanto ai quali ricompare periodicamente l'epatta dell'anno. Solo bisogna aggiungere che, siccome le 12 lunazioni di ciascun anno sono alternativamente di 30 giorni (piene) e di 29 (cave), è stato necessario assegnare, ogni due mesi lunari, due epatte a uno stesso giorno: queste epatte sono la XXV e la XXIV, e i giorni dell'anno con doppia epatta sono: il 5 febbraio, il 5 aprile, il 3 giugno, il 1° agosto, il 27 settembre e il 27 novembre. Trovati i novilunî, le altre fasi lunari si otterranno aggiungendo alle date dei novilunî i numeri 6 (primo quarto), 13 (luna piena), 20 (ultimo quarto).
Importa infine avvertire che i novilunî ottenuti nel modo dianzi indicato non sono che approssimati e possono differire dai novilunî astronomici, dati dalle effemeridi, di 1 giorno o di 2 0 anche di 3; e questa divergenza è dovuta al fatto che nel calcolo delle epatte si attribuisce alla Luna un moto medio, che non risponde alla realtà. Ma per gli scopi dei calcoli fondati sull'uso delle epatte, che è di fornire un metodo rapido per determinare con approssimazione le fasi lunari, e soprattutto il plenilunio pasquale, codeste divergenze non hanno importanza.
Se non siete svenuti o se non siete ancora stufi... proseguiamo coi materiali liliani.
L'autore del 'breve discorso', Antonio Lupicini (circa 1530-circa 1607), ingegnere, architetto, astronomo, artigliere e tanto altro, fu un personaggio eminente della corte medicea che gli affidò numerosi incarichi. Qui, come si legge nella prima pagina, fornisce a Francesco de' Medici, che gliene ha fatto richiesta, una propria visione della proposta liliana di riforma.
Devo ringraziare Francesco Vizza per aver sottolineato, facendomi ricredere circa la mia scelta di tagliare una parte di questo post, che papa Gregorio XIII aveva inviato delle informative ai potenti dell'epoca, tra cui il Granduca di Toscana, con le quali li informava a proposito della riforma del calendario: in pratica Francesco de' Medici chiedeva lumi al Lupicini, che però osteggiava le scelte di Giglio, sostenenendo quelle del toscano Giovanni Maria Tolosane di Colle Val d'Elsa, ma ecco il commento di Vizza:
Caro Cataldo,
a parte il commento del Botta, la riflessione che tu facevi sulla notorietà di Lilio, a mio parere, è molto importante.
Lilio era diventato molto famoso perché il Compendium, che racchiude i punti principali della sua ipotesi di riforma, fu inviato da papa Gregorio XIII a tutti gli Imperatori cristiani, Re, Repubbliche, Duchi, Università ed Accademie d’Europa affinché ottenessero un giudizio dai loro esperti matematici, astronomi e uomini eruditi. Le dichiarazioni dei Principi, a favore o contro la proposta di Lilio, accompagnate dalle relazioni dei loro esperti, furono poi inviate al papa. In sintesi, i più importanti uomini eruditi, astronomi e matematici del tempo conoscevano la proposta di Lilio.
Il Granduca di Toscana Francesco I dei Medici, inviò al papa la sua dichiarazione, insieme a cinque rapporti formulati da Alessandro Piccolomini, Julius Angelus Bargaus, Philippus Bhantenius, Josephus Mozzolenus e Antonius Lupicinius.
E’ evidente che Lilio era uno dei matematici-astronomi più famosi della seconda metà del ‘500 e lo fu per molto tempo a seguire.
Il libello, che tu hai pubblicato su questo Blog, è la relazione di Lupicinio il quale non fu molto tenero con Lilio. Ma la storia è nota. i Toscani tifavano per la proposta del loro corregionale Giovanni Maria Tolosane di Colle Val d’Elsa che nel 1537 pubblicò un Opuscolum de emendationibus temporum nel quale proponeva di fissare l’equinozio al 10 o 11 marzo e di eliminare un giorno ogni 104 o 108 anni. Il suo anno solare, al limite, poteva anche essere astronomicamente corretto ma non il calcolo della Pasqua che fu, invece, brillantemente risolto da Lilio “con uno sguardo acuto dell’intelletto”.
Francesco Vizza.
Ed ecco la mia risposta:
Infatti, caro Francesco, il tuo gradito ed illuminante commento è apparso proprio mentre stavo aggiornando il post con una citazione di Lodovico Dutens, a conferma della fama di Luigi Giglio. Con le storielle - ché in fondo le definisce così anche l'autore medesimo- del Botta, ho inteso aggiungere qualche nota di colore napoletano... Certamente il Lupicini voleva contrastare la visione liliana, per i motivi, tutto sommato 'di bottega', che tu hai bene illustrato, e che non suonano certo a merito dell'estensore del trattatello che ho riproposto. Ma a ben guardare, la relazione fatta dall'ingegnere toscano a Francesco de' Medici, sempre per i motivi che hai ulteriormente chiarito, in fondo sottolinea, malgrado gli intenti contrari, l'importanza dell'opera dell'astronomo cirotano.
Grazie.
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Vediamo, a mo' di introduzione al trattatello del Lupicini, come riassume la vicenda della riforma del calendario lo storico Carlo Botta (1766-1837), nella sua rinomata e ponderosa 'Storia d'Italia continuata da quella del Guicciardini sino al 1814', (il testo selezionato qui appartiene all'edizione del 1843), tomo II, libro XIV:
''Il pontificato di Gregorio merita specialmente di essere celebrato per la riforma del calendario, che a' suoi tempi, cioè nel 1582, e per opera sua si consumò. Il concilio niceno, per fare che i cristiani non celebrassero la pasqua al medesimo tempo che gli ebrei, aveva statuito che la prima domenica dopo il plenilunio della luna di marzo che succede all'equinozio di primavera si celebrasse. Ora, siccome il sole impiega circa sei ore più che trecentosessantacinque giorni per arrivare al punto del cielo, che forma quell'equinozio, cioè al suo ingresso nell'ariete, era avvenuto, che dal concilio di Nicea in poi, l'equinozio era ritardato di dieci giorni, e caduto all'undici di marzo. Da questo sbalzar indietro del sole, rispetto ai moti della luna, che non avevano variato, era proceduto, che la pasqua non si poteva più, secondo la mente di quel concilio, celebrare. Poteva anche nascere coll'andar del tempo, che si turbasse l'ordine delle stagioni, e la state cadesse nei mesi d'inverno, e l'inverno in quei della state, perché la divisione del tempo fatta dagli uomini non corrispondeva al corso immutabile della natura.
Per la qual cosa il papa, scrittone a tutti i principi, e consigliatosi coi più dotti matematici di quell'età, finalmente, accettando la sentenza di Luigi Giglio, statuì, affinché di nuovo i moti del sole con quei della luna si uniformassero e la uniformità anche nei secoli avvenire si conservasse e le stagioni nei medesimi mesi si formassero, che dieci giorni dell'anno 1582 si togliessero, che ad ogni quinto anno un giorno si aggiungesse, e l'anno col giorno aggiunto bisestile si chiamasse, che finalmente ogni quattrocento anni un giorno si scemasse. A questo modo l'equinozio di primavera, salva una picciolissima differenza, che non cadrà sotto i sensi, né sarà d'importanza se non nel progresso di molti secoli, fu fermato, e si mantiene nel medesimo giorno di marzo. Si decretò ancora, che il giorno intercalare al mese di febbrajo si aggiungesse.
Restava da determinarsi quali fossero i dieci giorni che si volevano sottrarre dall'anno e da qual mese. Pensossi all'ottobre; ma il papa non volle che si desse principio dal primo del mese, perché, cadendo il giorno di san Francesco il quarto, i frati francescani fecero un gran romore, affinché il giorno festivo del loro fondatore non sl sopprimesse. Pertanto. si lasciò correre il quarto d'ottobre, poi, in vece di dire cinque d'ottobre, subito si disse quindici, cioè in vece di andare dai quattro ai quindici passando pei giorni intermedj, vi si andò immediatamente. Cosi fu conservato san Francesco; ma altri furono soppressi, ed ebbero pazienza, fra gli altri san Dionigi.
Gl'Italiani ed i Francesi accettarono subito la riforma del calendario, che dal nome del papa, che ne fu il promotore, gregoriana si chiamò. Gl'Inglesi, e la più parte degli Alemanni penarono qualche tempo a conformarvisi, perché credevano che la facoltà di far mutazioni nel calendario spettasse all'autorità civile, non all'ecclesiastica, ma finalmente vi si adattarono. Solo la chiesa greca restò renitente, e questa è la ragione per cui il calendario russo non concorda col romano.
Divulgossi nel mondo che parecchi miracoli avessero accompagnato la riforma gregoriana. Conservavasi nella chiesa di san Gaudioso in Napoli dentro una boccetta il sangue di santo Stefano. Ora questo sangue era solito a liquefarsi da sé medesimo il tre di agosto, giorno dedicato a quel santo; ma dopo la riforma sopraddetta non si liquefece più che il tredici. Vi fu chi scrisse che ciò era pruova manifesta che il calendario gregoriano era stato ricevuto ed appruovato in cielo. Simile mutazione fece, al dire e scrivere d'alcuni, il sangue di san Gennaro ai diecinove di settembre. Anche un noce, solito a restar secco e sfrondato come in inverno sino alla vigilia di san Giovanni Battista, ed a comparire tutto ad un tratto vestito di foglie e di frutti la mattina seguente, cambiò stile rinverdendosi e cacciando fuor noci grosse e bell'e formate dieci giorni prima, cioè l'istessa notte di san Giovanni. Ma siccome il miracolo consisteva nel non cambiar di data, e nel seguitare il nuovo calendario, così il noce fece, il sangue no, che non s'accorse della riforma. Queste cose sono pure molto inette ma le narro per ammaestramento di chi mi legge.''
Fin qui Carlo Botta, passiamo ora al trattatello, premettendo una nota, tratta da 'Enciclopedia Italiana Treccani, ed. 1933, che spiega cosa si intenda per 'Lettera domenicale''...
LETTERA DOMENICALE. - È una lettera dell'alfabeto, che nel calendario ecclesiastico si associa ad ogni anno e che, insieme con la corrispondente epatta (v.), permette di determinare per l'anno considerato la data della Pasqua e quindi la distribuzione delle altre feste mobili. Per trovare la lettera domenicale di un dato anno, si fanno corrispondere ai primi sette giorni di esso ordinatamente le lettere da A a G, cioè al 1° gennaio la lettera A, al 2 la lettera B e così di seguito. La lettera domenicale dell'anno prefissato è quella, che si trova a corrispondere alla domenica di quella prima settimana e, quindi, anche a tutte le altre domeniche, se l'operazione s'immagina proseguita per tutto l'anno. Se l'anno è bisestile, le lettere domenicali sono due: la prima, valida fino al 29 febbraio compreso, si trova con la regola or ora indicata; l'altra, valida per il resto dell'anno, si determina applicando la medesima regola a partire dal 1° marzo ed è quindi la lettera, che, nell'ordine alfabetico, precede immediatamente la prima. Così per il 1934, che comincia con un lunedì, la lettera domenicale è G; per il 1936, che comincia con un mercoledì, le lettere domenicali sono E, D. (Se ne deduce che il 1936 fosse bisestile, n.d.r.); fonte: Treccani.it.
Havendomi Vostra Serenissima Altezza comandato, che io dica il parer mio sopra il nuovo modo di emendare il Calendario, il quale è stato proposto al Sommo Pontefice dall'Eccellenre M. Luigi Giglio Mathematico: & havendolo io veduto e considerato con ogni mia maggior diligenza; dico, che supponendo il detto M. Luigi che l'anno sia trascorso dal tempo di Giulio Cesare fino a hoggi tredici giorni, o più, e dieci dal Concilio Niceno, celebrato l'anno 322 sotto Silvestro, e Costantino; e venendo al modo di ristituirlo, propone che e' si debbano levar via quei tredici giorni, o vero (quel che egli giudica attenere più alla degnità della Chiesa) quei dieci, che sono sopracresciuti dal detto Concilio fino a hoggi, e ridurre l'equino- |
i Santi Padri del Concilio Niceno, nel quale per stabilire questi duoi termini fu conchiuso, l'equinozio essere alli 21 di Marzo; e per ritrovare la quartadecima luna, posero nel Calendario ecclesiastico l'aureo numero: i quali duoi termini se fussero stati fermi, non sarebbe accaduto alcuno errore nel celebrare la Pasqua, come bene spesso è avvenuto, e adiviene, per la variazione che hanno fatto, la quale è stata cagionata da questo, percioche dependendo l'uno dal moto del Sole, e l'altro dal moto della Luna, non è stata trovata fino a hoggi la vera misura de i moti loro, sopra la cui cognizione debbe esser fondata la regola, mediante la quale per l'avvenire quei termini più non trascorrino: il che possiamo hoggi noi più commodamente fare, e con maggior certezza, che non potettero li antichi, i quali tutti s'ingannarono nella misura dell'anno, havendola tutti posta differente, l'uno dall'altro; percioche Cesare, il quale fu il primo, che introdusse la forma dell'anno, che noi osserviamo, pose la misura di quello di 365 giorni, e 6 hore, la quale non fu giusta, percioche havendola osservata appresso alle stelle fisse, credette che quelle non fussero mobili: ma havendo esse variato di moto, secondo la successione dei segni, e da tramontana a mzzogiorno, ne segue che l'equinozio ha variato dal luogo, dove egli lo pose. E Tolomeo poco dopo Cesare pose la misura dell'anno di 365 G. 5 H. 55 M. la quale fu molto più giusta, che quella di Cesare per la cognizione che egli ebbe del mo-
to della nuova sfera. Ma il re Alfonso gli anni del Signore 1250 disse, che la misura dell'anno era di 365 G. 5 H. 49 M. 16 S. percioche oltre al moto della nona sfera, hebbe cognizione del moto dell'ottava, dove è il moto della trepidazione, dal quale conobbe la direzione, e retrogradazione delle stelle, che fino all'hora non era stata conosciuta: la cui misura nel vero fu molto più giusta dell'altre, che furono fatte innanzi a lui, sebene non è del tutto perfetta, conoscendosi da questo, che secondo tal misura l'equinozio varia un giorno in 134 anni, e 91dì, il che è falso, come si prova da questo, percioche essendo l'equinozio l'anno 322 alli 21 di Marzo, come è detto, secondo tal misura harebbe variato da quel tempo fino all'anno 1580 nove D. 11 H. 12 M. 10 S. ma l'equinozio harà variato da detto anno 322 fino all'anno 1580 dieci D. 16 H. 46 M. 58 S. come si vede per l'osservazioni adunque la misura d'Alfonso non è vera, e che secondo quella l'equinozio dovesse haver variato nello spazio del tempo di sopra detto 9 D. 11 H. 12 M. 10 S. si prova partendo gli anni 1258 che corrono dal 322 al 1580 per i 134, e 91 D. dal che ne viene li detti 9 D. 11 H. 12 M. 10 S. i quali come è detto, dimostrano la misura d'Alfonso non essere stata vera; ma s'accosta bene più al vero di ciaschedun'altra, percioche nella sua osservazione potette fare maggior basa, il che fare Tolomeo haveva prima dimostrato essere necessario, il quale conoscendo, che la basa
che potette fare egli dall'anno 132 all'anno 139 era piccola rispetto alla tardezza della nona sfera, fece perciò quella tanto famosa Ermilla, la quale lasciò a' suoi scolari, acciò che eglino potessero osservare i solstizij, e gli equinozij con più lunghezza di tempo, e con maggior perfezione, che non haveva potuto fare egli. Ma noi hoggi potendo fare maggior basa, che non potettero gli antichi, e valendoci delle regole date da Tolomeo, dove egli per le due positure dell'anno 132 e 139 dimostra, ch'e bisogna far basa; e usando la regola de i quattro proporzionali, Dico, che facendo la nostra basa di 1258 anni, che corrono dall'anno 322 all'anno 1580 che sono i due termini noti, dimostrerremo con molta certezza qual sia la giusta misura dell'anno, mediante la quale possiamo formare la regola, che per l'avvenire più non trascorra.
Ma prima è necessario ristituire i giorni di già trascorsi, i quali a me parrebbe, che si dovessero tralasciare tutti in un tratto, per uscire d'errorre, e di briga il più presto che fusse possibile: il che si potrebbe commodamente fare l'anno 1581 nel mese che paressi più al proposito, dovendosi assolutamente ristituire i giorni trascorsi in un anno, che segua immediate dopo l'anno bissestile. E quanto al numero de i giorni, che si debbano ristituire, io credo che più conveniente, e più facile sia tralasciarne quattordici, e ridurre l'equinozio alli 24 di Marzo, circa il qual giorno era al tempo dell'avvenimento di Christo, il
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vando via 14 giorni di qualche mese, si ripiglia appunto la medesima lettera domenicale, che s'era lasciata, come si può vedere, il che non avverrebbe levandone dieci, come di sopra è detto. Hauendo così ridotto l'equinozio, per provedere che per l'avvenire più non trascorra, bisogna trovare la giusta rnisura dell'anno; il che a noi è molto facile hauendo noti duoi termini, i quali habbiamo assai certi, perche essendo l'equinozio l'anno 322 alli 21 di Marzo, e ritrouandosi l'anno 1580 alli 10 D. 7 Н. 13 M. 4 S. del medesimo mese, соmе per l'osservazione si può vedere: facendone il conto, si troverrà che harà variato anticipando 10 D. 16 H.11 46 M. 58 S. da i quali possiamo trovare la giusta misura dell'anno partendoli 1258 anni che decorsi dall'anno 322 fino all'anno 1580 per detti 10 D. 16 H. 46 M. 58 S. dal che ne verrà 117 anni, 211 D. 2 H. 27 М. 29 S. i quali cidimostrano che in detti 117 anni il Sole s'allontana un giorno dal primo punto dell'Ariete del primo mobile di moto contro la successione de i segni: e da questa cognizione potremo con la regola delle tre quantità continove proporzionali ritrovare che il Sole faccia la sua rivoluzione in 365 D. 5 H. 47 M. 45 S. e conchiudere che questa sia la vera misura dell'anno: e che il Sole secondo la misura dell'anno, che noi osserviamo s'allontani ogn'anno dal detto primo punto dell'Ariete contro la successione de i segni per spazio di 12 М. e 15 S. come si può provare ridu- |
Al qual tempo, perche harà variato un giorno, visognerà di nuouo adeguarlo, il che si potrà fare in questo modo, cioè ritirando indietro un giorno nel Calendario tutti li aurei numeri di ciaschedun mese, come per esempio mettendo il numero otto alli quindici di Gennaio, il quale di di sopra habbiamo detto che che sarà alli sedici del medesimo, e il simile si faccia di tutti gli altri aurei numeri di сiaschedun mese, seguendo di ritirargli indietro un giorno ogni tre cicli, cioè ogni 336 anni, il che facendo infallibilmente dimostrerranno i novilunij E questo modo di ritirare gli aurei numeri indietro osservò la S.M. di Pio nel iriformare il Calendario come di sopra è detto. Ma perche si lasciano indietro 25 anni 32 D. 23 H. 14 М. 33 S. che sono quelli che mancano al ciclo 336 per non essere conforme al moto la Luna, questi si potranno adeguare in 40 cicli solari, cioè fanno 6060 e all'hora (se tanto durasse il Mondo) la varietà da quelli cagionata si può correggere, lasciando l'ulltimo ciclo di trasportare gli aurei numeri, e usandogli nel medesimo luogo. Е così riformato il Calendario ecclesiastico secondo questo nostro modo, e con le regole date di sopra potrà durare molti secoli senza patire variazione alcuna dell'equinozio, e con l'usare la lettera domenicale e l'aureo numero nel medesimo modo che fino a hoggi ha usato la Santa Chiesa, senza nascerne alcuno errore: il che piaccia a Dio che segua a benefizio de' suoi fedeli, e essaltazione di Santa Chiesa, del Sommo Pon- |
tefice, e delli altri Principi Christiani, e particolarmente di Vostra Serenissima Altezza, alla quale io debbo quel poco ch'io vaglio, e le prego da DIO ogni felicità. Di Firenze li 27 di Maggio 1578. IL FINE. |
Chiudo con lo stralcio di una intervista a Carmelo Bene: qui credo che il nome di Lilio venga richiamato dall'artista salentino senza troppa cognizione di causa, ricorrendo allo sfoggio di una nozione da solutore di parole crociate (con tutto il rispetto) per aggredire, attraverso l'opera di Luigi Lilio, schematizzazioni e barriere. Visione da artista, quindi, certo non da storico...
- Un giorno si viene al mondo. L’inizio è uguale per tutti.
Andiamoci piano con questa storia che un bel giorno si nasce. Non è così scontato. In quegli anni venire al mondo e farla franca era come scampare ad Auschwitz. Scarseggiava la penicillina. La gestante era una signora a rischio, destinata quasi sempre a perire. Lei o il bambino. Qualche volta entrambi. Fortune che non capitano più nel dopo-Fleming.
- Tu, infelicemente, ce l’hai fatta.
Uno dei pochi. É per questo che quelle annate eroiche si dicono "classi di ferro", ma la guerra e il fronte non c’entrano. Il fatto di essere nati costituiva di per sé un’impresa. Sopravvivere ai tumulti dell’utero, a questo natale bellico, allora funesto nel novanta per cento dei casi. Più che nato, sono stato abortito. Ecco, io mi considero a tutti gli effetti un aborto vivente.
- La tua "impresa" data 1 settembre 1937, Campi Salentina.
Il tempo non esiste. Non mi sento nato e non mi sento cristiano,
tantomeno cattolico. Non festeggio, né lutteggio i miei anniversari. In
quanto all’anagrafe, rifiuto categoricamente certificati e date,
imputabili semmai a quello sfaccendato di Aloysius Lilius.
- Chi è Aloysius Lilius?Un mascalzone patentato, medico e astronomo. Gregorio XIII gli commissionò nel 1582 la stesura del progetto da cui sortì quell’orrore metafisico che è il calendario gregoriano, riforma contabilmente più precisina del precedente calendario giuliano.
- Tutto il mondo, cattolico e non, usa il calendario gregoriano.
Non è vero. Russi e greci continuano a usare quello giuliano. E comunque detesto qualunque calendario che si dica religioso ma è solo ritual-mondano-fantastico-ecclesiastico. Vorrebbe sacralizzare il tempo e lo riduce a carnet festivaliero, che la mia persona estetica non può non disdegnare. Una convenzione che emana lezzo ontologico. Di sacro, ieratico, non ha proprio niente.
- Senza un calendario, sarebbe il caos. La fine di tutti i buoni e cattivi propositi. Non ci sarebbe memoria.
Perseguo da sempre lo smarrimento delle genti. In quanto Lorenzaccio, uno dei tanti nomi delle mie tante esistenze, la storia non mi riguarda. Il calendario è una muraglia cinese contro l’innocenza del divenire, che non dovrebbe ammettere certificazioni come la carta del tempo. La carta del tempo è una invenzione delle culture agricole e io fui abortito in terra d’Otranto, terra nomade per eccellenza.
- Altri stipendiati sicari di Aloysius Lilius discordano: sarebbe il 3 settembre il tuo giorno di nascita.
La mia prima denuncia a carico. Avevo quattro giorni, quando Umberto Bene, un signore che si spacciava per mio padre, mi denunciò all’anagrafe di Campi Salentina. Non so come e perché, furono poi i questurini di Roma a ricamare la data del 3 settembre. Anni dopo, il sindaco di Campi rese giustizia. Non a me s’intende, ad Aloysius Lilius.
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E a proposito della diffusione della riforma liliana ((o gregoriana che dir si voglia), vediamone l'evoluzione, ricorrendo al paragrafo omonimo della accoppiata Francesco Vizza - Egidio Mezzi, in Luigi Lilio, medico, astronomo e matematico di Cirò, Ideatore della riforma del calendario gregoriano, Laruffa Editore:
''Il nuovo calendario non fu subito
e ovunque accettato da tutti i paesi ma fu accolto gradatamente. Adottarono
subito il calendario i paesi cattolici romani. Ragioni politiche oltre che
religiose crearono ostacoli alla sua diffusione, specialmente nei paesi
protestanti che rifiutarono la riforma in quanto reputata un grave oltraggio
all’autorità dell’imperatore e dei principi tedeschi; il potere di dare nuovo
ordine al tempo secondo una consuetudine secolare era stata sempre prerogativa
dell’autorità civile e non religiosa, infatti, nel passato le riforme del calendario erano state emendate per
volere di imperatori quali Giulio Cesare, Costantino e l’imperatore Sigismondo.
Il nuovo calendario era occasione
di pretesto e accuse per coloro che erano insofferenti della potenza della
Chiesa.
Solamente dopo più di un secolo,
le difficoltà incontrate specialmente nelle attività legate al commercio e
nelle relazioni internazionali convinsero i paesi protestanti ad adottarlo. I
Cantoni Svizzeri, la Germania
protestante, la Danimarca,
la Norvegia
e l’Olanda si allinearono nel 1700, seguiti da Inghilterra e Irlanda nel 1752 e
dalla Svezia nel 1753.
I più tardivi ad adottarlo furono
i paesi ortodossi che accettarono il nuovo calendario dopo la fine della prima
guerra mondiale, ma soltanto in materia civile mentre in liturgia utilizzano
ancora il calendario giuliano. La
Bulgaria si associò agli altri stati nel 1917, la Russia nel 1918, Serbia e
Romania nel 1919, la
Iugoslavia nel 1923, la Turchia nel 1927 e per ultima fu la Grecia che nel 1928 adottò
il calendario in vigore ormai dal 1582. Fuori dall’Europa il Giappone si
allineò nel 1873 e la Cina
nel 1911. Rifiutano ancora oggi di adottare il calendario gregoriano gli Ebrei
e i Musulmani.
La difficoltà ad accettare la
riforma da parte di alcuni paesi europei e asiatici, oltre che da motivi
politici e religiosi è stata causata anche dai dubbi che erano stati avanzati
sulla correttezza dei calcoli su cui era basata. Dopo la riforma, la stessa
Chiesa Cattolica manifestò qualche incertezza; ne dà prova la costruzione della
grande meridiana nella basilica di Santa Maria degli Angeli a Roma ad opera di
Francesco Bianchini la cui commissione fu ordinata nel 1702 da papa Clemente XI
per verificare che la riforma fosse astronomicamente corretta. L’anno 1600
passò inosservato perché era divisibile per 400 e rimase bisestile; il 1700,
invece, era il primo anno che bisestile nel calendario giuliano non lo era più
nel nuovo calendario. La meridiana di Francesco Bianchini doveva servire
soprattutto per verificare il giorno dell’equinozio di primavera che secondo il
calendario doveva ripetersi con esattezza il 21 Marzo, data che fu
effettivamente riscontrata dando conferma della correttezza dei calcoli
liliani.''