'Calabria Letteraria', rivista prima mensile e poi trimestrale, fondata nel 1952 da Emilio Frangella, ha rappresentato un ottimo mezzo di diffusione della cultura calabrese. Dal numero 1-2-3 del 1990 (anno 38°), ho appreso della vita e dell'opera di un poeta originario di Savelli, Giuseppe Anania. La vita di questo uomo e poeta ha dei tratti tanto incredibili al giorno d'oggi, quanto possibili ad inizio novecento. Una esistenza in linea con quelle così frequenti nell'opera di un altro scrittore e giornalista argentino, Roberto Arlt, anch'egli sconosciuto o quasi in Italia. Il tema dell'emigrazione mi ha sempre attratto, e non ho mai accettato la diaspora che ha colpito, quasi come una ineffabile e inevitabile condanna divina, gran parte del meridione d'Italia, e, a ben guardare, l'Italia intera e tante altre regioni del mondo. Giuseppe Anania non è un poeta italo-argentino, ma un poeta tra i più argentini possibile, nativo della provincia di Catanzaro... inutile cercare di riportare alla casa madre ciò che quella 'casa' non ha ritenuto di dovere o poter trattenere. Che poi si siano formate, all'estero, altre Italie, più o meno piccole, è materia diversa, e meritevole di altri approcci sociologici, demologici, antropologici. L'autore dell'articolo si domanda come mai il poeta Anania mutò il nome in Portogalo... il motivo è più che semplice ed umanissimo al contempo: la madre del piccolo emigrante, donna Domenica Gualtieri - 'doña', secondo la forma di rispetto sudamericana - si condusse in Argentina alla ricerca del proprio marito e padre del bimbo; lo sposo, ritrovato, nel frattempo si era rifatto una vita e una famiglia con un'altra donna: fine della storia, ed inizio di una vita fatta di lavoro come lavandaia, e con un altro uomo, di cognome Portogalo, ovviamente, che si prese cura del piccolo Giuseppe, il futuro poeta cresciuto in strada e vissuto sbarcando il lunario grazie ai lavori più disparati, fino a diventare ballerino e insegnante professionista di tango... L'assunzione del cognome Portogalo è, quindi, un omaggio del poeta al suo buon padrastro, patrigno. Ma da quanto ho appreso la vita di José è costellata di una infinità di episodi romanzeschi, dei quali magari riparleremo quando avrò tradotto qualche sua lirica. Del resto, mi sembra che, in italiano e in Italia, non esista nulla o quasi di questo altro 'sbenturatu' che sembrava destinato alla rovina nei suburbi di Baires, ed invece ha saputo optare per la poesia e la crescita culturale... ed un plauso, per questo solo fatto, il calabrese Anania lo merita tutto, al pari dell'argentino Portogalo.
Materiali interessanti, in lingua spagnola, si possono consultare a questi due meritevolissimi links argentini, facenti capo a 'El Buque de Papel' e a 'Escribirte', ai quali va il mio ringraziamento:
http://buquedepapel.com/cronicas/1525-jose-portogalo
http://editorialhylas.escribirte.com.ar/5584/jose-portogalo.htm
Un poeta
calabrese-argentino: José Anania "Portogalo"
Materiali interessanti, in lingua spagnola, si possono consultare a questi due meritevolissimi links argentini, facenti capo a 'El Buque de Papel' e a 'Escribirte', ai quali va il mio ringraziamento:
http://buquedepapel.com/cronicas/1525-jose-portogalo
http://editorialhylas.escribirte.com.ar/5584/jose-portogalo.htm
di
Vincenzo Manfredi
Nel 1909 un bambino di cinque anni partiva con la
famiglia per l'Argentina e lasciava la Calabria per sempre. Si chiamava Giuseppe Ananìa.
Da un piccolo paese a misura d'uomo fu catapultato nei grandi sobborghi
popolari di Buenos Aires, dove proverà subito «i taglienti sapori dei frutti
amari», e dove presto «inacidì la voce bestemmiando come gli italiani nei mercati».
Alcune decine di anni dopo, il piccolo Peppe diventerà — con lo pseudonimo di
José — oltre che un noto poeta, anche un
affermato giornalista della «Tribuna» e di «Clarín». Conseguì il suo primo
riconoscimento, il «Premio Municipal de Poesía» col libro Tumulto (1935), anche se dovette subito scappare, per qualche
tempo, in Uruguay per i suoi versi troppo «sociali» e «ribelli». Un altro
premio prestigioso, che coronò l'attività di tutta una vita, lo conseguì tre
anni prima della morte da parte della «Fundación Argentina para la Poesía». Poco prima, nel
1968, il «Centro Editor de America Latina» aveva pubblicato una snella antologia
dei «poemas» di Portogalo (una specie di «Oscar» Mondadori) col titolo Los Pájaros
ciegos y otros poemas («I passeri ciechi ed altri poemi»). Morì nel 1973.
Lo scrittore affermato José
Portogalo non si dimenticò mai di essere nato Giuseppe Anania, né dei
formicai umani dove aveva dovuto trascorrere i primi anni: «(...) allí donde creció
mi infancia / y gané los primeros coscorrones y los primeros centavos / y
paladié el sabor de las primeras palabras sucias que no mancharon mi alma» (lì
dove passai la mia infanzia/ e guadagnai i primi pugni ed i primi centesimi e
sentii il sapore delle prime parole sporche che non macchiarono l'anima mia)1.
Il piccolo Peppe aveva certo viaggiato
con la famiglia nella terza classe, nel ventre di un vapore sovraccarico dicarne
umana, non nella prima classe a fianco del conte filologo De Gubernatis o del
buon De Amicis o, peggio, del nazionalista on. Macola che, tenendosi discosto
dal luridume della 3a classe, asseriva: «Noi esportiamo il peggio»2.
Tali viaggiatori erano in possesso del biglietto di andata e ritorno. I
piccoli Peppe Anania calabresi avevano solo quello di andata, ottenuto dopo la
vendita della casa; forse solo D.F. Sarmiento sarebbe stato capace di
descrivere lo sguardo perso ed errante del piccolo emigrante che arrivava dopo
più di dieci giorni di viaggio. Il futuro poeta italo-argentino, nel 1939,
farà dire ad una povera «pordiosera» (mendicante): «Non conosco l'allegria /
né fui mai alla scuola. / Mai sporcai un vestito nuovo / né sentii la voce
della nonna / narrante le favole d'inverno /... / Per madre ebbi la strada / e
per madrina la pena».
Il piccolo bambino calabrese sarà
certo arrivato nei cadenti «conventillos» dove il sole raramente splendeva né
si rifletteva sul povero «patio» su cui confluivano decine di stanze, una per
famiglia, dove i «gringos» italiani, i vari Antonio Cocoliche3, erano
costretti ad amarsi ed odiarsi, derisi come «pappoletani» dal gaucho «Martín Fierro»4,
poi aborriti e calunniati dagli Evaristi Carriego e nemmeno presi sul serio
dagli spocchiosi Borges e Scalabrini Ortiz5. In tali suburbi
brulicanti il piccolo Peppe non dimenticò mai di aver lasciato «un cielo d'oro
alle spalle / ed un uccello negli occhi». Solo uno psicanalista, o chi l'abbia
esperimentato sulla propria pelle, potrebbe dimostrare che anche un bambino
di 5 anni possa, dopo tanti anni in America, ricordare ancora la sua Calabria
(«Odori di umida zolla, di pini e di meli / aromano i miei ricordi»); che
possano ancora, nella testolina, rimanere impresse le «imágenes en el recuerdo»
(«la Chiesa-cupolina
di mandorle», le donne vendemmiatrici che deponevano il bimbo «nei freschi angoli
delle vigne» ecc.).
Se si parte a cinque anni,
possono veramente essere ancora limpidi i ricordi di colui che le vicende
della vita faranno crescere in fretta? i ricordi di quella che Portogalo chiama
«Infanzia ignorata», «affrettata»? La porta dell'emigrazione non è né luminosa
né calda. È solo ampia. Quanti figli di poveri emigranti ventenni, con in
mano, come unica fortuna, un misero bagaglio, diventeranno «ubriachi, ladri,
assassini»6? Il piccolo Giuseppe Anania non diventò né ladro né assassino,
anche se spesso visiterà le rumorose taverne, come Carl Sandburg. Anche se cambierà il suo nome in J. Portogalo. Chissà perché! Un atto di riconoscenza per un uomo «bracciante-muratore-pittore»
che avrà aiutato la sua famiglia a combattere
la miseria? Forse. Ma anche il piccolo Peppe, diventato José, dovrà portare i
mattoni rossi e fare l'aiutante muratore, il «pittore», il lustrascarpe, il
giornalaio, il portinaio di una scuola e perfino
si improvviserà professore di «tango» in una «Scuola di ballo». Per sbarcare il lunario!
E, fra un mestiere e l'altro,
divorerà decine di libri, specie di poesia, come tutti gli autodidatti del
mondo. E si innamorerà — dopo I vagabondaggi notturni e scapigliati degli
artisti maledetti — di quei poeti e scrittori che, come lui, avevano vissuto
un'infanzia di miseria ed una giovinezza di travagli: Walt Whitman (l'ex
aiutante carpentiere, infermiere, apprendista tipografo) che gli donò, con le
sue «Leaves of Grass», le grandi tessiture strofiche delle odi, simili alle
distese marine ed ai conglomerati urbani; Carl Sandburg (lo sguattero, Il
contadino, il mercenario), cantore della «Chicago ventosa, macellaia del
mondo»; César Vallejo (il meticcio peruviano tormentato che assaporò anche la
prigione e l'esilio) che colpisce con la sua, mai persa, ansia di immedesi-mazione
con le classi ed I popoli oppressi, Langston Hughes, il negro di Harlem, con I
suoi dolorosi «Blues».
Ma lasceranno tracce, sul giovane
divoratore di libri (che certo non si sarebbe mai aspettato di finire nei manuali
di «Poesía Argentina del Signo XX», per es., di J. Carlos Ghiano), anche il
cileno Pablo Neruda con la sua tensione metafisica, l'epicità e la liricità
torrenziali, forse con qualche piega di enfasi, ma sempre genuino come il
vino dei paesi latini; ed inoltre García Lorca che, con le sue «canciones» ed i
suol «poemas» fu certo il tramite — insieme con le «Soledades» e le «Poesías» di
Machado — per la conoscenza in Sud America delle linee stilistiche dell'Avanguardla
europea e dei valori di morte-silenzio-amore-destino-tragedia, oltre che dei
valori di paesaggio-terra-natura (la «Centinela de sangre» di Portogalo è del 1937, un anno dopo la morte di
Lorca). Nel mondo poetico di Portogalo non manche-ranno, oltre agli eredi di
Baudelaire, almeno due russi: il Gorky dei «Bassifondi» e certamente Majakovskij,
provocatore, ribelle, scandaloso; in «Tumulto» (libro che nel 1935 fece tanto
arrabbiare il sindaco conservatore di Buenos Aires) Portogalo ci offre dei
versi densi di squillanti oggetti pittorici; anche lui prova pena per «gli uomini
ai margini» e sente la necessità fisiologica della sovversione (in «este mundo
de mierda», nella sua «ciudad», quella «de las grandes riquezas y las grandes
miserias» dove il povero «albañil» Pasquale muore cadendo dal settimo piano
facendo soltanto torcere «el culo a los snobs» perché, In fondo, «el nombre
Pascual no es poético (...), le falta musicalidad»). Portogalo è spesso
rabbiosamente concreto e realistico come Brecht, ma è anche aereo e dolce,
pieno di angosce e di estasi paniche. Gli piaceva tanto essere chiamato
«poeta-lavoratore»; dirà, è vero, a Carl Sandburg: «Come mi piacerebbe essere
vissuto nel tuo tempo / con le tue mani pesanti, ruvide, violente / perché con
esse hai fatto tutti i mestieri — come me — ed hai scritto poemi». È vero, ma
lo stesso Portogalo sarà pure capace di tenere dolcemente e goffamente in mano
una margherita (così, in una stupenda «vignetta» di «Clarín» del 17-4-1988); di
inseguire la bellezza e di creare la luce. Quest'uomo-bambino, affabile e
rude, brutto e bellissimo, ricorda nel suoi caldi versi a noi italiani (digiuni
di poesia sudamericana e imbottiti di canzonette anglo-americane) le estive
solarità di Gabriele d'Annunzio ed i tremori cosmici di Pascoli.
Una volta Portogalo si chiese che
«forma» avrebbe assunto la sua morte: «Che forma avrà la morte mia?/ Acqua,
vento, fiamma, fiore I o semplicemente un tremore / della celeste armonia?».
Chissà! Il poeta si trasformerà nel «suono di un fiume» scorrente, palpiterà
«nel volo di un'ala», oppure silenzioso sdrucciolerà «nelle gocciole della rugiada».
È forse questa l'Eternità? In ciò consiste il Divino? Per ora il poeta sa soltanto
che anche «nella cenere» avviene «il prodigio della rosa». L'anima di Portogalo
è pervasa da ineffabili rapimenti; come Francesco di Assisi, se la sente,
l'anima, «piena di uccelli che cantano»; «dal suo petto spuntano dolci colombe».
È vero, nel lontano 1935 voleva con Sandburg rabbiosamente «conficcare negli
orli» delle donne «dalle parole dure» tutta la propria «solitudine» per
«popolarla d'immagini», ma molti anni dopo griderà: «Dàmmi l'oro del giorno ed
il chiarore del pioppi!»; e ricorderà con dolcezza: «Avevo un buon vicino: Il
Sole che al miei fianchi/(...) percorreva i prati / e dopo in una raffica
rinfrescava i meleti / i frumenti, i vigneti/ e il fiore del pesco».
Dante, dopo il fosco dell’lnferno,
inseguì i chiarori del Paradiso; il rabbioso José dei rioni miseri e bui
diventerà il «poeta della luce». Forse per questo lo amò l'amico César Tiempo, «el
poeta de la judería». Poeta della luce lo definì l'amico poeta Tuñon alla
vigilia della morte, anche perché luce non c'era mai stata nei formicai umani
metropolitani. Le sue parole emblematiche sono, dice Tuñon, «aurora, sole,
rugiada, crepuscolo, tramonto, albeggio»; «i luoghi poveri, brutti» «li riempì
con la luminosità del suo spirito». Non per nulla un suo poema si chiamò «Luz Liberada» (1947). Non per nulla,
aggiungiamo noi, il piccolo Giuseppe Anania
era vissuto sino all'età di cinque anni a Savelli In Calabria, sotto l'azzurro
cobalto del cielo del Sud (che è bello, perché è sempre bello), tra il verde
smeraldo vellutato della Sila, tra le montagne a picco piene di riverberi
solari.
NOTE
1 Dal «Poema a Carl Sandburg», in Tumulto, 1935, p. 35. D'ora in poi non
citeremo, per non appesantire la lettura, né i titoli delle poesie né i volumi
da cui son tratti I versi sparsi qua e là nell'articolo. La traduzione
dallo spagnolo è, oltre che del redattore, del Signor Serafino Greco, che
ringraziamo assieme a Francisco Manfredi e Salvatore Astorino per i materiali.
2 A. De Gubernatis è autore di L'Argentina.
Ricordi e letture, 1898. Anche Sull'Oceano (1889) di De Amicis riguarda un
viaggio in Argentina. Vedi anche F. Macola, L'Europa alla
conquista dell'America latina 1894. Dalla retorica di questi ed altri testi di viaggio
si salva forse solo L. Barzini, 'Argentina vista com'è, 1902. Vedi sull'argomento
l'ottimo V. Blengino, Oltre l'Oceano, Roma, Ed. Associate, 1987.
3 Da un povero manovale calabrese
ha origine il termine «cocoliche», usato per indicare la lingua dell'emigrante
italiano, un «pastiche» di calabrese, italiano, spagnolo e guachesco.
4 È il personaggio principale che
dà il titolo al famoso poema di José Hernández, dell'800.
5 I tre sono noti scrittori
argentini... non tanto teneri con gli italo-argentini.
6 Vedi l'argentino «Clarín» del
17-4-1988, p. 20, In cui il riferimento agli emigrati è tratto dal poema «I
buoi» (Los
Bueyes) di Carlos de la Pùa; l'ottimo articolo di
«Clarin» è di Oche Califa,
il quale però fa erroneamente nascere Portogalo
«en el 1900»,.. «año porteño»! Nei Registri dell'Anagrafe
dì Savelli (Atti di nascita n. 109) Anania Giuseppe risulta nato invece il 10
ottobre 1904: non vi è ancora... l'annotazione della morte (7-9-1973).
BIBLIOGRAFIA
Tregua, Buenos Aires, 1933.
Tumulto, ibidem, 1935 (ottenne il «Premio Municipal»),Centinela de sangre, 1937.
Canción para ed día sin miedo, Buenos Aires, 1939.
Destino del canto, ibidem, 1942.
Luz
liberada, Montevideo, 1947.
Mundo del
acordeón, Buenos
Aires, 1949.
Perduración de la fàbula, ibidem, 1952.
Poemas con
habitantes, ibidem, 1955.
Poemas
(1935-1955), B. Aires (D'Accurzio impresor, di
Mendoza), 1961. In tale antologia manca solo, del tutto, Tumulto, del
1935 (frutto di
autocensura o censura?); in tale antologia è
anche un saggio
introduttivo di Luis Emilio Soto.
Sal de
la tierra, 1949 (Cuaderno fuera de comercio).
Ana Teresa Fabani en la poesía, 1951 (Conferencia).
Letra para Juan Tango, 1958.
Los
Pájaros ciegos y otros poemas, B. Aires, 1968 (una snella Antologia di 93
pagine).
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