Dalle cronache del Nostro, rileviamo un episodio di inaudita ferocia,
che rinvia al mito, tragico quanti altri mai, che vede tra i protagonisti il re Atreo, padre di Agamennone e
Menelao, e Tieste, suo fratello nonché complice nell’assassinio del fratellastro
Crisippo. Atreo era quel re di Micene che per vendicare l’adulterio
perpetrato ai suoi danni dal fratello Tieste, gli fece mangiare i tre figli da
quest’ultimo avuti con una ninfa, con tanto di susseguenti incesti e omicidi
vari: veramente una tragedia greca! Stando alle cronache, qualcosa di simile, quanto a ferocia,
accadde anche a Cirò, ed il Pugliese non manca di cogliere e sottolineare il
nesso tra i due nefandi accadimenti.
Come si può vedere, almeno per certi versi, i tempi
cambiano poco o nulla: bisogno di
sicurezza, di assicurazione dei violenti alla giustizia… ma quando ad
amministrare la giustizia, anzi a proclamarsi tutore dell’ordine, è un
personaggio a sua volta violento, viene da domandarsi ‘quis custodiet custodes ipsos?’ E già... leggete e, se anche a voi
verrà da porvi questa domanda, provate a rispondervi.
Il ‘mastrodatti’, o ‘mastro
d’atti’, era un funzionario, dapprima preposto alla redazione e
conservazione degli atti, che successivamente assunse anche funzioni di giudice
supplente, si trattava, insomma, di un modesto - onesto non saprei dire - funzionario statale.
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Cirò, sul finire del secolo decimo settimo.
Dall’inviato, Signor Giovan Francesco Pugliese.
‘’Lo zelo de’ subordinati per esperienza supera sia nel bene che nel
male quello de’ Principali committenti. Ed io tra innumeri fatti che la
tradizione orale ha tramandato fino a’ presenti, ne reco soli due che trovo
notati (dell’altro ne parleremo in un altro scritto, ndr).
1. Circa la fine del decimosettimo secolo venne in Cirò un D. Ferrante
de’ conti di Bovalino esule da’ suoi Stati. Stato chiamavasi un feudo: si diceva congiunto della famiglia Spinelli,
che lo costituì Vicario generale. Costui senza impacciarsi delle minute cure di
amministrazione che lasciò affidate all’Agente ed all’Erario, non volle abitare
neppure al castello, ma si ritirò ad un quarto del convento di S. Francesco
d’Assisi, quello che guarda mezzogiorno, e che prese la distinzione di quarto di D. Ferrante,
come tutt’ora si nomina
benché interamente diruto. Divenne eccessivamente rigoroso contro i ladri, ed
eccessivamente orgoglioso di sua superiorità. Non tollerava neppure i modici
furti di frutta, o di ordegni rurali. Il bifolco non doveva incaricarsi di
togliere ogni sera dall’aratro il vomere, le corde, ed altri attrezzi per
lavorar la terra e ritirarli in casa, come si fa per non esser rubati, ma
doveva lasciarli sul luogo: guai a chi si appropriasse di benché minima cosa:
aveva una polizia così vigile che di
tutto veniva informato, ed il ladro irremissibilmente doveva soffrire la
frusta, e la gogna, e secondo i casi ed il valore delle cose rubate, lunga e
penosa carcere. Chiunque si ritirava la sera con panieri di frutta, con
sacchetti di ulivi ec. ec. e non dimostrava da chi li avesse avuti, carcere e
battiture; né vi era mezzo di deludere la di lui vigilanza. Egli tutto
appurava, e tutto irremissibilmente puniva. E la fama che ancor ne risuona non
lo accusa, di aver mai in ciò traveduto, e scambiato l'innocente pel reo; anzi
ora che i danni ed i furti contro la proprietà, e contro le raccolte de’ campi
sono senza alcun freno si esclama: oh D. Ferrante!
Amico degli estremi esigeva estremo rispetto
pella sua giurisdizione. Se veniva un subalterno della Regia Udienza
Provinciale doveva prima presentargli, mostrargli le commesse ed impetrare la
venia di poter procedere; negandola doveva immantinenti ritirarsi. Così per
ogni altro incaricato civile o militare. Venuto un Mastro d’atti per
informazioni criminali non curò tanto praticare, e pose mano a’ suoi
disimpegni: D. Ferrante dissimulò per qualche giorno, e nel primo dì festivo lo
mandò invitando (*) a pranzo. Vi andò coi suoi pochi birri, i quali si trattennero
nel Chiostro, mentre il mastro d’atti salito al quarto di D. Ferrante venne afferrato
da’ di costui sgherri che calatolo nel sotterraneo gli recisero la testa, e la
posero a cuocere nel forno a posta preparato. Fattosi mezzo giorno s’imbandi la
mensa a’ birri, ma fu la mensa di Atreo, poiché fece presentare a tavola la
testa arrostita del loro Mastro d’atti: inorridirono, e levatisi scapparono
recando a Cosenza la nuova dell’accaduto.’’
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Fin qui il
Pugliese; probabilmente la storia, madre di tutti gli insegnamenti, anche
questo ci dice: che prima di affermare tra i sospiri qualcosa come ‘ah, quando
c’era lui!...’ bisognerebbe prima riflettere, e bene, anche…
(*) Mi piace notare questa costruzione sintattica tipicamente cirotana, sul tipo di 'mannàre chjamànnu', mandare a chiamare.
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Collegamenti interni:
http://originicirotane.blogspot.it/2014/02/incredibile-episodio-ciro-dalle-stelle.html
http://originicirotane.blogspot.it/2014/01/lettere-ara-marina-4-ancora-su-pugliese.html
http://originicirotane.blogspot.it/2014/01/lettere-ara-marina-2-segnalazione-della.html
http://originicirotane.blogspot.it/2014/01/ciro-retata-in-pieno-giorno-arrestati.html
http://originicirotane.blogspot.it/2014/01/un-episodio-di-efferata-violenza.html
(*) Mi piace notare questa costruzione sintattica tipicamente cirotana, sul tipo di 'mannàre chjamànnu', mandare a chiamare.
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