sommario dei post

martedì 22 aprile 2014

§ 074 220414 CIRO': EPISODIO DI INAUDITA GIUSTIZIA, G.F. Pugliese.

CIRO’: GIRO DI VITE CONTRO LA MALAVITA… E ANCHE CONTRO LA GIUSTIZIA.
   Dalle cronache del Nostro, rileviamo un episodio di inaudita ferocia, che rinvia al mito, tragico quanti altri mai, che vede tra i protagonisti il re Atreo, padre di Agamennone e Menelao, e Tieste, suo fratello nonché complice nell’assassinio del fratellastro Crisippo. Atreo era quel re di Micene che per vendicare l’adulterio perpetrato ai suoi danni dal fratello Tieste, gli fece mangiare i tre figli da quest’ultimo avuti con una ninfa, con tanto di susseguenti incesti e omicidi vari: veramente una tragedia greca! Stando alle cronache, qualcosa di simile, quanto a ferocia, accadde anche a Cirò, ed il Pugliese non manca di cogliere e sottolineare il nesso tra i due nefandi accadimenti.
   Come si può vedere, almeno per certi versi, i tempi cambiano poco o nulla: bisogno di sicurezza, di assicurazione dei violenti alla giustizia… ma quando ad amministrare la giustizia, anzi a proclamarsi tutore dell’ordine, è un personaggio a sua volta violento, viene da domandarsi ‘quis custodiet custodes ipsos?’ E già... leggete e, se anche a voi verrà da porvi questa domanda, provate a rispondervi.
Il ‘mastrodatti’, o ‘mastro d’atti’, era un funzionario, dapprima preposto alla redazione e conservazione degli atti, che successivamente assunse anche funzioni di giudice supplente, si trattava, insomma, di un modesto - onesto non saprei dire - funzionario statale.
                                                                   ********************
Cirò, sul finire del secolo decimo settimo.
Dall’inviato, Signor Giovan Francesco Pugliese.
   ‘’Lo zelo de’ subordinati per esperienza supera sia nel bene che nel male quello de’ Principali committenti. Ed io tra innumeri fatti che la tradizione orale ha tramandato fino a’ presenti, ne reco soli due che trovo notati (dell’altro ne parleremo in un altro scritto, ndr).
   1. Circa la fine del decimosettimo secolo venne in Cirò un D. Ferrante de’ conti di Bovalino esule da’ suoi Stati. Stato chiamavasi un feudo: si diceva congiunto della famiglia Spinelli, che lo costituì Vicario generale. Costui senza impacciarsi delle minute cure di amministrazione che lasciò affidate all’Agente ed all’Erario, non volle abitare neppure al castello, ma si ritirò ad un quarto del convento di S. Francesco d’Assisi, quello che guarda mezzogiorno, e che prese la distinzione di quarto di D. Ferrante, come tutt’ora si nomina benché interamente diruto. Divenne eccessivamente rigoroso contro i ladri, ed eccessivamente orgoglioso di sua superiorità. Non tollerava neppure i modici furti di frutta, o di ordegni rurali. Il bifolco non doveva incaricarsi di togliere ogni sera dall’aratro il vomere, le corde, ed altri attrezzi per lavorar la terra e ritirarli in casa, come si fa per non esser rubati, ma doveva lasciarli sul luogo: guai a chi si appropriasse di benché minima cosa: aveva una polizia così vigile che di tutto veniva informato, ed il ladro irremissibilmente doveva soffrire la frusta, e la gogna, e secondo i casi ed il valore delle cose rubate, lunga e penosa carcere. Chiunque si ritirava la sera con panieri di frutta, con sacchetti di ulivi ec. ec. e non dimostrava da chi li avesse avuti, carcere e battiture; né vi era mezzo di deludere la di lui vigilanza. Egli tutto appurava, e tutto irremissibilmente puniva. E la fama che ancor ne risuona non lo accusa, di aver mai in ciò traveduto, e scambiato l'innocente pel reo; anzi ora che i danni ed i furti contro la proprietà, e contro le raccolte de’ campi sono senza alcun freno si esclama: oh D. Ferrante!
   Amico degli estremi esigeva estremo rispetto pella sua giurisdizione. Se veniva un subalterno della Regia Udienza Provinciale doveva prima presentargli, mostrargli le commesse ed impetrare la venia di poter procedere; negandola doveva immantinenti ritirarsi. Così per ogni altro incaricato civile o militare. Venuto un Mastro d’atti per informazioni criminali non curò tanto praticare, e pose mano a’ suoi disimpegni: D. Ferrante dissimulò per qualche giorno, e nel primo dì festivo lo mandò invitando (*) a pranzo. Vi andò coi suoi pochi birri, i quali si trattennero nel Chiostro, mentre il mastro d’atti salito al quarto di D. Ferrante venne afferrato da’ di costui sgherri che calatolo nel sotterraneo gli recisero la testa, e la posero a cuocere nel forno a posta preparato. Fattosi mezzo giorno s’imbandi la mensa a’ birri, ma fu la mensa di Atreo, poiché fece presentare a tavola la testa arrostita del loro Mastro d’atti: inorridirono, e levatisi scapparono recando a Cosenza la nuova dell’accaduto.’’
                                                         *****************************
Fin qui il Pugliese; probabilmente la storia, madre di tutti gli insegnamenti, anche questo ci dice: che prima di affermare tra i sospiri qualcosa come ‘ah, quando c’era lui!...’ bisognerebbe prima riflettere, e bene, anche…
(*) Mi piace notare questa costruzione sintattica tipicamente cirotana, sul tipo di 'mannàre chjamànnu', mandare a chiamare.
                                                        ******************************
Collegamenti interni:
http://originicirotane.blogspot.it/2014/02/incredibile-episodio-ciro-dalle-stelle.html
http://originicirotane.blogspot.it/2014/01/lettere-ara-marina-4-ancora-su-pugliese.html
http://originicirotane.blogspot.it/2014/01/lettere-ara-marina-2-segnalazione-della.html
http://originicirotane.blogspot.it/2014/01/ciro-retata-in-pieno-giorno-arrestati.html
http://originicirotane.blogspot.it/2014/01/un-episodio-di-efferata-violenza.html

Nessun commento:

Posta un commento