In
questo post riproduco le pagine 109-112 del volume ‘Crotone nella Magna Graecia’,
di P. La Rizza,
edizioni Calabria Kroton, Crotone 1990. Dell’autore non so dire altro, neppure
il nome. Mi spiace, perché, al di là dell’eloquio ampolloso e ridondante -
dipenderà dalla a me ignota epoca della stesura del testo? – l’impianto ‘scientifico’
del libro è abbastanza valido: vi si ritrovano notizie certo non eclatanti, ma
onestamente raccolte e riproposte, come si può notare anche nelle pagine che
seguono e che riguardano Punta Alice, Krimisa, l’acrolito di Apollo Aleo e gli
scavi di Paolo Orsi.
Il lettore che non sia a digiuno di letture
relative alla Magna Grecia, rinverrà citati per l’ennesima volta i classici
Licofrone, lo Pseudo Aristotele (qui passa per l’Aristotele ‘De mirabilibus ecc.),
il più moderno Saint-Non, fino a Orsi e Zanotti-Bianco: del resto, non potrebbe
essere diversamente.
Segnalo come nello scritto del La Rizza venga avanzata l’ipotesi
che autore dell’acrolito di Apollo Aleo sia quel Pitagora reggino omonimo del
filosofo di Samo, ed è forse questo il punto saliente, per quel che riguarda
Krimisa, di questo ‘Crotone nella Magna Graecia’.
Un’ultima annotazione: chi avesse letto l’opera
di Giovan Francesco Pugliese, si renderà conto illico et immediate di come,
ancora una volta, l’opera dello storico cirotano sia sempre presente quando si
parla di territori ipsicronei: i versi della 'Cassandra' e qualche dubbio avanzato dall'autore sono gli stessi che si possono ritrovare nel I° volume della 'Descrizione dell'origine... di Cirò'.
Come abbiamo accennato, trattando della
geografia della Regione, sul promontorio di Crimisa (Punta dell'Alice), di
fronte all'ampio mare, sorgeva un santuario dorico, di modeste proporzioni, sacro ad Apollo
Aleo. Alcuni antichi autori ne fanno menzione, fra cui Licofrone nella Cassandra
ed Aristotele
(De mirabilibus mundi). Quegli attribuisce a Filottete la fondazione del tempio di
Crimisa, che chiama Crimissa parva civitas Oenotriae; ed indi, narrando la profezia
di Cassandra della morte dell'eroe, combattendo contro gli Enotri, fa dire
alla vergine troiana questi commossi accenti:
Crhatis autem monumenta videbit occisi
Econtra Alei Patarei delubrum:
Econtra Alei Patarei delubrum:
che, cioè, il Crati vedrà il sepolcro dell'ucciso Filottete di contro al
tempio di
Apollo Aleo Patareo (dall'Oracolo di Patara).
Aristotele
dice: ...apud Sybaritas (aiunt) Philoctetem, qui ex Troia profugus
inhabitavit... in Apollinis Halei tempio consacravit. L'uno e l'altro, i due autori greci, fanno errore di
ubicazione di Crimisa e del suo tempio, collocandoli
nel territorio sibarita, nella valle del Crati. Aristotele lascia incerto il
fondatore del tempio, che, d'altronde, non può essere stato il mitico Filottete; ma i Greci, come sappiamo, si
compiacevano di queste origini divine
o eroiche! Strabone tace del fondatore del Santuario di Crimisa. All’incontro,
Giustino (XX, 1) convalida la leggenda, affermando che il fondatore di Crimisa e del Tempio di Apollo fosse
l'eroe Filottete, il quale avesse in quello deposto con religiosa cura e
fervore l'arco e le frecce, donategli da
Ercole, che erano state sì fatali a Troia.
Saint-Non (Voyage
Pittorique, Vol. III, pag. 90) ribadisce l'esistenza del Santuario da cospicui indizi
archeologici rinvenuti personalmente sulla Punta
dell'Alice.
La tradizione, inoltre, attraverso i
secoli romani e medievali, aveva tramandato
certe notizie di questo tempio, avvalorate dalla trasformazione di esso in una chiesetta cristiana, dell'età
bizantina, dedicata alla venerazione dei
Santi Pietro e Paolo. Ma niuno sapeva dove fosse; l'ubicazione dell'edificio era sparita dalla superficie della terra,
travolto senza dubbio dalla furia saracinesca e dalle bieche forze
della natura in quel litorale ionico non rassodato e malfermo, per cause
alluvionali e sopra tutto geologiche, come altrove
dicemmo. Occorreva cercare e ricercare, sondare con acume clinico e amore di
scienziato e d'artista. A tale impresa si accinse animoso Paolo Orsi.
Egli volle, chiudendo la sua sacra missione archeologica nelle venerate terre
della Magna Grecia, aggiungere questo nuovo fulgido titolo di benemerenza alle sue scoperte nel fecondissimo suolo.
E, dopo prove infruttuose e saggi
vani in tutta la muta sterile zolla del promontorio, fin dal 1915, il suo mirabile intuito clinico lo sospinse
felicemente verso la vagheggiata meta, su un terreno acquitrinoso, fra
Torre Vecchia e il Faro, avvolti dall’amplesso del mare, ove era pervenuta per
scoscendimenti e dislocazioni bradisismiche, negli oscuri tempi dell'alto e
basso medioevo, progressivamente sempre più avanzando verso il vorace
elemento, una vistosa estremità del classico
promontorio.
Ad iniziativa, dunque, delle Società
della Magna Grecia, specie del suo più autorevole e benemerito esponente
Umberto Zanotti-Bianco, nell’aprile del 1924, aveva affidato all’Orsi la felice
campagna archeologica per la ricerca del leggendario tempio; ed alfine, nel
maggio consecutivo, lo scopriva nel greto limaccioso della spiaggia di Cirò,
insieme ai reliquati delle sovrapposizioni
bizantine.
Non ci attarderemo a
descrivere in tutti i dettagli il materiale rinvenuto e gli elementi
architettonici e decorativi venuti alla luce dalla fausta scoperta, nel loro arcano millenario, dei quali,
come al solito, furono presi gli adeguati
rilievi e disegni con felice ricostruzione ideale dal valoroso Rosario Carta, plasmando e completando l'opera dell'Orsi.
Lo stilobata, che
doveva servire di base di sostegno alla colonnata del pronao, è in
deplorevole stato di conservazione, ridotto a miseri ruderi, nei quali si scorgono le
parvenze architettoniche del monumento.
Succedono
immediatamente gli avanzi murali della cella rettangolare, nella quale
si concentra tutta l'attenzione e lo sforzo dell'Orsi, guidato dall’agile e penetrante
sensibilità del suo temperamento; ed in quella, dopo ripetuti scavi e
affannose ricerche, emerge dalle rovine, dove l'avea cacciato la rabbia iconoclasta cristiana, e su cui
era passata l’invida onda dei secoli, l'insigne
scoperta dell'Idolo, del divo invitto Apollo, consistente nell'intera testa marmorea con sottile parrucca di bronzo, una
mano e due piedi, anche di marmo,
appartenuti allo stesso Apollo. Così, è quasi al completo la parte scultoria dell'Idolo, che, consistendo appunto in
un acrolito, avea le sole estremità marmoree ed il tronco
foggiato con drappo adatto su scheletro di
legno, alla guisa dei simulacri dei santi delle chiese cattoliche di villaggio.
Insieme alla
principale scoperta, rividero il sole d'Italia, dopo lunghi secoli di silenzio,
ed ebbero l'onore della considerazione del mondo ideale altri preziosi cimeli,
fra cui varie riproduzioni, in piccole proporzioni, del Nume venerato e
venerabile, nei tre metalli; nonché modanature fittili, terrecotte architettoniche,
monete, foglie e decorazioni in argento e oro, frammenti marmorei
architettonici ecc. e un cippo lapideo, che dovea essere stato il piedistallo
dell'Idolo.
Nel recinto del Tempio
erano le case dei sacerdoti, delle quali restano i ruderi. A qual epoca
appartengono il Santuario dorico e l'acrolito di Apollo Aleo?
Paolo Orsi,
confortato dal parere di altri illustri archeologi, fra cui Rizzo, Majuri e due
greci Philadelpheos e Milonas, li giudica originali e indigeni, e li assegna alla prima metà del V Sec.
av. Cr., cioè del periodo prefidiaco: epoca, in cui visse e rifulse il
sommo scultore Pitagora di Reggio, l'ineffabile
autore del bronzeo Auriga di Delfo e della statua di Filottete ferito, come riferisce Pausania; è quindi non improbabile che l'Apollo di Crimisa sia uscito dal suo divino scalpello (o,
meno, di qualche prediletto suo discepolo), a giudicare dallo stile,
dalla linea risoluta e decisa, diritta, dignitosa
e soave, dalla molle anatomica tornitura delle guance, del mento e del collo; tutto un insieme armonico di venustà e
di grazia virile e slancio di giovinezza, che ricordano l'aspetto del
celebrato Auriga.
D'altronde, bisogna
tener conto che l'eroe Filottete, scolpito dal Pitagora, era appunto il
mitico venerato fondatore di Crimisa; il che presume una intimità e
cordialità di rapporti fra essa e l'artista; e quindi, niente di più verosimile che egli sia stato adibito
alla fattura del divino patrono della città,
come lo fu del fondatore. Dal cumulo, pertanto, di siffatti indizi e
coincidenze, di purezza di stile, di perfezione, di epoca e di opportunità occasionale,
emerge chiara la prova che l'Acrolito di Crimisa è uscito dalle mani del sommo Scultore reggino, il primo scultore anatomista dell'antichità greca, caposcuola e maestro, vincitore di
Mirone in una gara d'arte scultoria
in Grecia (Pausania); e quindi opera eminentemente indigena delle auspicate terre della Magna Grecia, di già
evoluta e luminosa nella calda e vigorosa
sensazione e rappresentazione del grande e del bello.
L'ineffabile dio delle arti e della
poesia, della bellezza in tutte le sue smaglianti suggestive manifestazioni,
etiche, naturali, artistiche, spirante dagli occhi l'eterna voluttà della
vita, sarà collocato ad un posto d'onore nell'imminente
Museo reggino della Magna Grecia, e circonfuso dall'aureola e dal fascino di un nuovo culto non meno soave e
solenne, e più illuminato e profondo,
di quello che le pie e venuste donne della Magna Grecia e gli eroi della
Patria, i guerrieri e gli artisti gli tributarono.
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