Una rivista interessante, dal taglio classico, nel senso che sotto la bella patina delle pagine si coglie un'altra patina, quella del tempo in cui le riviste si dedicavano effettivamente alla scoperta del patrimonio storico, geografico, demologico delle regioni d'Italia e non solo.
Questa bella rivista, fondata da Giuseppe Polimeni e diretta da Carmelina Sicari, si pubblica in Reggio Calabria ed è arrivata al suo XXXVI anno di vita, vissuta, immagino, in mezzo alle mille difficoltà che dalle nostre parti non solo non mancano mai, ma risultano amplificate dalle condizioni che potremmo definire, tutto sommato, sociali e ambientali. Ne consegue un dispendio di energie, da parte dei curatori della rivista, senz'altro notevole: spero che questo loro impegno non sia vano e che venga in qualche modo premiato...
Sul numero di gennaio-marzo 2014 dovrebbe apparire un articolo del nostro Francesco Vizza sulla figura di Giano Lacinio, l'alchimista al cui studio il 'Prof' sta dedicando tanta attenzione.
Questa bella rivista, fondata da Giuseppe Polimeni e diretta da Carmelina Sicari, si pubblica in Reggio Calabria ed è arrivata al suo XXXVI anno di vita, vissuta, immagino, in mezzo alle mille difficoltà che dalle nostre parti non solo non mancano mai, ma risultano amplificate dalle condizioni che potremmo definire, tutto sommato, sociali e ambientali. Ne consegue un dispendio di energie, da parte dei curatori della rivista, senz'altro notevole: spero che questo loro impegno non sia vano e che venga in qualche modo premiato...
Sul numero di gennaio-marzo 2014 dovrebbe apparire un articolo del nostro Francesco Vizza sulla figura di Giano Lacinio, l'alchimista al cui studio il 'Prof' sta dedicando tanta attenzione.
'Rubo' uno stralcio dell'articolo, a firma Giuseppe Pisano, che parla del misterioso marinaio calabrese imbarcato nel primo viaggio di Cristoforo Colombo sulla rotta delle Indie, che potrebbe essere anche originario di Cirò/Ypsicrò, secondo una tesi esposta nell'articolo stesso. Altri lo vogliono, questo Antón Calabrés, proveniente da Amantea o Seminara... In mancanza di fonti certe, siamo alle solite: 'tutti afferricàti aru salàtu'... Il povero Calabrés, a ben guardare, oltre ad essere il primo calabrese a metter piede sul suolo americano, fu anche il primo nostro corregionale a rimetterci la vita da quelle parti, ad opera degli indigeni... Calabrés è quasi certamente non un cognome, ma quella 'denominazione d'origine' a volte - nel bene e nel male - ineliminabile: il cavaliere calabrese Mattia Preti, il calabrese Leonzio Pilato, il calabrese Barlaam, fino al ragazzo di Calabria, per non parlare di tutti i calabresi 'quegli altri'... non se ne esce.
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Giuseppe Pisano
Fu il primo calabrese a varcare l'Oceano e a mettere piede in quel Nuovo Mondo in cui, nei secoli successivi tanti suoi conterranei lo avrebbero seguito. Si chiamava Antón Calabrés, marinaio, l'uomo che assieme ad altri seguì Cristoforo Colombo nel primo viaggio alla scoperta del Nuovo Mondo a bordo della Pinta. Di lui si sa poco o niente e fino ad ora il suo nome è passato inosservato, nascosto fra le pieghe della storia, dimenticato fra le pagine dei documenti dell'epoca, confuso fra quelli dei tanti che parteciparono a quell'impresa, più di 500 anni fa. Solo nel 1982 il nome dì Antón Calabrés venne strappato per un attimo alle nebbie della dimenticanza quando António Quinto Pisano, all'epoca consigliere comunale di Soverato, propose ed ottenne di dedicare una strada al misterioso navigatore, del quale aveva trovato menzione in antichi testi marinari. Poi più nulla! Ma chi era e da dove veniva Antón Calabrés? Su quest'ultimo punto le nostre ricerche ci portano a formulare l'ipotesi che sia di Amantea, antico centro demaniale marinaro il cui porto, nel XV secolo, era il più attivo della costa tirrenica della Calabria centro-settentrionale e l'unico capace di ospitare imbarcazioni molto pesanti . Inoltre, si è potuto riscontrare che in Amantea - dove peraltro la presenza genovese a quel tempo era molto intensa - esiste una tradizione orale, in particolare tra gli abitanti più anziani del centro storico, che parla di un'antica commemorazione che si svolse in onore del marinaio amanteano il quale seguì Colombo nel primo viaggio di scoperta del nuovo continente e di lì a poco venne costruita, nella zona vecchia, una chiesetta denominata della Pinta.
E proprio nella zona più antica di Amantea esiste un vico la Pinta e una fontanella del '500 detta della Pinta. Vi sono però pareri discordanti sulla figura e sulle origini di Antón Calabrés. Secondo lo studioso Gianni Aiello le origini natie del marinaio calabrese di Colombo "potrebbero ricollegarsi in quel di Seminara, lo stesso luogo da dove proveniva Giovanni Calabrese, luogotenente di Carlo V e che guidò l'assedio di Tunisi". Per Bruno Aloi, membro del "Comitato Nazionale per Colombo" di Genova, si tratterebbe invece di "António Calabrese di Cirò, quando il paese si chiamava Ypskron". Di Calabrés, come dicevamo, si sa poco o niente. Il suo nome, infatti, compare per la prima volta proprio nei documenti riguardanti il primo viaggio di Colombo attraverso l'Oceano. Prima di quell'impresa di lui non si hanno notizie, né si sa di suoi precedenti viaggi per mare; il suo nome indica una sicura origine calabrese, ma nulla sappiamo della sua famiglia né di suoi eventuali discendenti. Antón Calabrés, dunque, entrò a far parte dell'equipaggio di Cristoforo Colombo nel luglio del 1492, assieme ad altri due italiani: il genovese Jacome el Rico ed il veneziano Juan Vegano. Per il resto l'equipaggio (90 persone complessivamente) era formato per la quasi totalità da spagnoli (84), ad eccezione del portoghese Juan Arias e del negro delle Canarie Juan Portugués. Non era stato facile reclutare gli uomini. La storiografia ufficiale dice che nessuno, nemmeno i più audaci o i più disperati, erano disposti a rischiare la vita in un'impresa che Juan Rodriguez de Mafra aveva definito "cosa vana e stolta", profetizzando per gli sventurati che vi avessero preso parte "pericoli orribili". Quando già Colombo era riuscito ad ottenere le tre navi (due caravelle, la Pinta di Gomez Rascón e Cristóbal Quintero e la Niña di Juan Niño, ed una caracca, la Gallega del biscaglino Juan de la Cosa, poi ribattezzata Santa María) solo quattro uomini, condannati alla pena capitale e ricercati dalle guardie, avevano chiesto di essere arruolati. I sovrani don Ferdinando e Isabella, infatti, per facilitare l'allestimento della spedizione, avevano promesso di accordare la grazia più ampia a quanti, già colpiti da pena di carcere o di morte, si fossero arruolati negli equipaggi colombiani. Così Alonso Clavijo di Vejer, Juan de Moguer e Bartolomè Torres di Palos e Pedro Yzquierdo di Lepe chiesero di essere ammessi all'equipaggio. Il Torres aveva ucciso, nel novembre del 1491, un certo Juan Martin, banditore di Palos, forse per una questione di donne. Imprigionato e condannato a morte, era evaso dalla piccola e incustodita prigione locale, grazie all'aiuto di tre suoi amici. Datisi alla macchia, i quattro erano riusciti fino a quel momento a farla franca e forse non avremmo mai saputo nulla di loro se la notizia della possibile grazia non li avesse spinti ad entrare nell'equipaggio di Cristoforo Colombo e nella storia. Ma per convincere gli altri ci voleva il carisma di un uomo di mare conosciuto e stimato da tutti. Padre Marchena, fedele sostenitore ed alleato di Colombo, pensò allora di coinvolgere nell'impresa Martin Alonso Pinzón, pilota e capitano di mare, navigatore esperto e ricco proprietario di una nave con la quale aveva partecipato alla campagna contro i portoghesi e si era recato anche a Roma, dove aveva potuto consultare negli archivi vaticani alcune carte nautiche che avallavano sorprendentemente le ipotesi di Colombo. Quando incontra Colombo, Pinzón ha cinquant'anni ed ha navigato tutto quello che c'era allora di navigabile. Gli bastano poche battute per comprendere di trovarsi di fronte ad un uomo esperto di problemi marinari e dotato della luce del genio. Accetta di prendere parte all'impresa come comandante della Pinta ed annette subito anche suo fratello,Vicente Yánez, che sarà messo al comando della Niña. A quel punto, spinti dal carisma e dall'esperienza dei Pinzón, furono in molti, nel giro di qualche settimana, a sottoscrivere il contratto di ingaggio. Fra di loro anche il nostro Antón Calabrés che probabilmente giunse al porto nella tenuta tipica dei marinai, con il berretto rosso conico e la cappa grigia. Per un anno, tanto è prevista la durata della navigazione, riceverà come gli altri dodicimila maravedìs ed ha diritto ogni giorno a circa 350 grammi di biscotto, ad un azcumbre di vino ed a 250 grammi di carne secca o di pesce. Assieme a lui, sulla stessa caravella, anche il veneziano Juan Vegano.
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