MEZZOGIORNO A
PETELIA.
Norman Douglas, Vecchia Calabria, cap. XXXIX.
Quello che segue è il penultimo
capitolo delle peregrinazioni di Norman Douglas in Calabria, anche se, a
dispetto del titolo, il viaggiatore britannico inizia il suo viaggio da Lucera,
e solo dal XIV° dei quaranta capitoli che compongono il libro comincia a
descrivere luoghi e realtà calabresi… un po’ come il giro d’Italia, quando
parte da Parigi o dall’Olanda…
Mi pare che Douglas colga benissimo alcune note caratteriali… a
cominciare dalla ‘amica del Museo di Catanzaro’ che confonde Strongoli,
l’odierna Petelia, con Stromboli – qui si sente il sarcasmo tutto britannico
verso una persona che dovrebbe essere ‘introdotta' nella materia storica - e giù
fino al pastore che vorrebbe approfittare (‘vurpignu’ si direbbe, ma non
troppo) della presenza di quello che ritiene essere un americano per cercare di
‘imbarcarsi’, per il tramite di quest’ultimo’, in una improbabile avventura transoceanica.
Nel paragrafo iniziale si legge la staticità che connota certe
situazioni… l’attesa, il rinvio, la rinuncia, quasi fatale, a compiere anche
una escursione da Cotrone a Capo Lacinio. In ‘Vecchia Calabria’, Douglas indica
con ‘Cotrone’ la città attuale e con ‘Crotone’ quella magnogreca… in effetti il
cambio di denominazione è avvenuto nel 1929, e qui siamo, all’epoca della
pubblicazione, nel 1915: tutto normale, quindi.
Non mancano i riferimenti alla mitica, strenua, fedeltà di Petelia a
Roma, in opposizione ad Annibale, e altresì il richiamo a Teocrito che dei
pastori di queste terre cantò nei suoi versi. Su un altro versante, anche il
resoconto sull’operato della ‘guardia di finanza’ è molto chiaro… in
definitiva, credo che Norman Douglas conoscesse molto bene la materia calabra,
molto più di quanto si sia propensi a credere. O ad essere creduti…
Un
giorno dietro l'altro, continuo a contemplare quelle sei miglia di mare
che mi separano dal promontorio di Lacinia e dalla sua colonna. Come raggiungerlo? I barcaioli hanno
voglia di compiere questo tragitto: tutto dipende però, mi dicono, dal vento.
Un giorno dietro l'altro - una calma mortale.
«Due ore... tre
ore... quattro ore... secondo!» e indicano il cielo. Un po' di brezza,
aggiungono, si alza qualche volta, di mattina presto; una vela si può issare.
«E per tornare a mezzogiorno?»
«Tre ore . . . quattro ore ... cinque ore ... secondo! »
La prospettiva di
dondolare in una barchetta per mezza giornata, sotto un cielo ardente, non è
proprio il
mio ideale di passatempo, tanto più che quest'esperienza il sapore di
novità l'ha ormai perso da molti anni. Decido di aspettare; di dedicarmi nel
frattempo all'antica
Petelia - la «Stromboli» della mia amica del Museo di Catanzaro ...
Da Cotrone a
Strongoli, che si ritiene sorga sulle fondazioni della antica, tanto assediata
città, è una facile gita di
un giorno. Strongoli sorge in cima a un colle
e la diligenza, che aspetta il viaggiatore alla piccola stazione ferroviaria, impiega due ore a
raggiungerla, arrampicandosi per la
salita in mezzo agli ulivi, con ampie
curve e svolte.
Anche a così breve distanza di tempo, i
miei ricordi di Strongoli sono confusi e
vaghi. Il percorso nelle luci splendenti
del mattino, il grande caldo dei giorni precedenti, e due o tre notti insonni a Cotrone, avevano molto diminuito il mio desiderio di novità. Ricordo di aver visto nella chiesa alcuni marmi
romani e d'essere stato poi guidato
ad un castello.
Più tardi riposai, in alto, sotto un ulivo, osservando in basso la valle del Neto, che poco lontano da
qui si getta nell'Ionio. Pensavo a Teocrito, cercando di raffigurarmi questa valle come doveva apparire agli
occhi suoi e dei suoi pastori: le
selve sono scomparse, e le piogge
invernali, rovinando lungo i declivi di terriccio, hanno rimodellato il volto di tutto il paese.
Eppure, sia la natura come può, gli
uomini torneranno sempre verso colui che così melodiosamente canta delle verità
eterne, dei doveri e delle necessità umane, che nessun mutare di secoli può in
realtà mutare.
Come sembra poeta moderno a noi, che siamo stati messi in contatto con la sua verità
spirituale da un Johnson-Cory e da un Lefroy! E quanto incredibilmente remoto
è invece quell'ellenismo alla Bartolozzi che li precedette. Che dire, ad
esempio, di quel famoso pseudo-Teocrito, Salomone Gessner, che pure nella sua Daphnis
cantò questa stessa valle del Neto? Ahimè, il buon Salomone ha percorso la strada
della noia; è morto, più morto del re Psammetico; e ora va facendo il moralista in qualche dignitoso
paradiso, tra greggi di pecore in
porcellana di Dresda e giovanetti e fanciulle
sciropposi. Chi riesce più a leggere il suo tanto tradotto capolavoro, senza provare dolorose trafitture? È morto come un chiodo !
Per quel che ricordo, nella Daphnis ci
sono un'infinità di baci. Era un'epoca sentimentale e l'idillio pastorale greco, trasferito in un ambiente svizzero
del 1810, non poteva finire che in
piagnisteo e smanceria. La verità è che i pastori hanno numerose
occasioni di giocare con Amaryllis
nell'ombra dei boschetti; occasioni
che certo, a mia conoscenza, non trascurano. Teocrito lo sapeva benissimo, ma in generale è avaro con la preziosa merce dei baci; sembra aver
concluso che in letteratura, se non
nella realtà, si può essere sazi
anche di una cosa piacevole. Senza contare che, essendo un meridionale,
non poteva aver fiducia che i suoi giovani
eroi restassero in eterno allo stadio dei baci, secondo i modelli offerti dai nostri innamorati britannici, tanto simili ai pesci. Una simile
condotta doveva apparirgli impossibile;
e forse anche immorale...
Dal punto in cui
sedevo si può scorgere la strada che sale addentrandosi verso la Sila, oltre Pallagorio. Lungo i bordi si allineano strani monticelli
rotondi, da cui esce del fumo: sono le
miniere di quello zolfo scuro che avevo visto trasportare sui carri, per
le vie di Cotrone. Mi hanno spiegato che vi
sono otto o dicci miniere, scoperte
circa trent'anni fa - grosso errore, perché già se ne fa cenno in testi
del 1571 - dove lavorano parecchie centinaia di minatori. Avevo avuto
intenzione di visitarle, ma ora, nel caldo
meridiano, esitavo; la distanza che
mi separava anche dalla più vicina, mi sembrava
assurdamente grande e proprio quando avevo deciso di cercare una
carrozza per farmici portare (che maledizione la coscienziosità!) un gentilissimo abitante della città mi invitò a pranzo. Superando
le mie deboli resistenze, mi condusse in uno stanzone a volta e là, tra
il pasto di specialità campagnole e la
conversazione di sua moglie, tutti i miei progetti svanirono. Invece che le statistiche sullo zolfo, appresi uno stralcio di storia locale.
«Lei si meraviglia di
come siano vuote le strade di Strongoli » raccontò il mio ospite, «eppure, sino a poco
tempo fa, qui non si
verificava movimento di emigrazione. Poi tutto
è cambiato, e le spiego io come e perché.
C'era qui una guardia di finanza, un tipo qualsiasi, che stava al
dazio. Per elevare il nome della sua famiglia
prese in moglie un'ereditiera; intendiamoci, non per avere figli, ma...
insomma ! E si mise a comprare terra
tutt'intorno. Piano, con metodo e con prudenza, finché, a forza di minacce e di
intrighi è diventato padrone di quasi
tutto il paese. Metro per metro, se lo
è preso tutto, con i soldi della moglie. Secondo lui, quello è il modo di perpetuare il proprio nome.
Tutti i piccoli proprietari, privati
delle loro terre, se ne sono andati in
America per non morire di fame e adesso enormi tratti di terra ben coltivata sono quasi abbandonati. Guardi in che condizioni è la campagna! Ma un
giorno o l'altro riceverà anche lui il suo compenso. Sotto le costole, sa!»
Con quella meditata
restaurazione di un feudalesimo all'antica, quel tizio era riuscito a
diventare l'uomo più odiato della regione.
Ma venne ben presto
il momento di lasciare i miei cordiali ospiti per andare a visitare, nel sole
cocente, le altre antichità di Petelia. Non mi sono mai sentito così poco
attirato dal fascino dell'antiquariato e dell'archeologia. Sarebbero state tanto
più piacevoli quelle ore in qualche fresca osteria! Tuttavia ripresi il cammino, per scoprire
con gioia che non vi era quasi più nessun «pezzo» antico, tranne delle mura
presso un convento in rovina, in blocchi di pietra e mattoni dell'epoca
romana. Il Comune condusse degli scavi in questo punto fino a pochi anni fa, recuperando
qualche
pezzo che andò subito disperso. Forse qualcuno di essi è fra quelli del museo
di Catanzaro. Avuta notizia degli
scavi, il provvido e paternalistico Stato si impadronì del luogo e vi si adagiò sopra; i ruderi già scavati furono di nuovo coperti di terra.
Mentre, come era mio
dovere, mi aggiravo lì intorno, saltò fuori dalla terra stessa un capraio, un
ometto triste, che si offrì di farmi da guida non solo a Strongoli, ma per
tutta la Calabria. Il
suo segreto desiderio divenne presto evidente: voleva scappare dal suo paese e
trovare la strada per l'America sotto la protezione mia e del mio passaporto. Era
la sua grande
occasione: uno straniero (americano) che prima o poi sarebbe tornato in patria! Con
ingenuo fervore egli insistette sull'argomento; invano cercavo di spiegargli che
esistevano anche altri paesi nel mondo, che io non
sarei andato in America. Lui scuoteva il capo e infine saggiamente osservò: «Ho capito. Lei crede che
il mio viaggio costerebbe
troppo. Invece deve capire anche lei:
una volta trovato lavoro, io le restituirò fino all'ultimo soldo.»
Gli offrii delle sigarette per consolarlo.
Ne accettò una, riflettendo, ancora non
rassegnato.
I caprai non
soffrivano di così acuti desideri, ai tempi di Teocrito.
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