Le notizie, come è evidente, già nell'opera dell'abate Vincenzio D'Avino, pubblicata nel 1848, sono quasi rarefatte, lontane, per non dire misteriose, benché la 'chiesa', dalle più remote parrocchie alle più importanti istituzioni, sia, per così dire, 'votata' a tenere memoria, traccia minuziosa di nascite, morti, donazioni, delibere, avvenimenti e tanto, tanto altro.
Ancora nel 1848, mi sembra che la descrizione delle diocesi fatta dal D'Avino sia ancora totalmente improntata a quello stile (faccio per dire...) narrativo basato soprattutto sul 'racconto storico', quello che si rifaceva alla autorità di storici e geografi che erano soprattutto narratori, insomma quei classici storiografi e geografi che riproponevano sempre la storia raccontata dai predecessori, aggiungendo note a volte di pura invenzione, allargando il narrato come i cerchi dei sassi lanciati in uno stagno... insomma, fantasia tanta, scientificità zero: Diodori Siculi, Straboni e Erodoti come se piovesse, ma di storia e geografia neanche l'ombra. Ciò non toglie che in tante difficoltà insormontabili o quasi, alla fine qualcosa di buono, cioè informazioni utili, rimanga. Vale anche per questa 'compilazione' del D'Avino. Bisogna, dunque, separare il loglio dal grano e trattenere le informazioni più 'moderne' o quelle coeve all'autore e non disperderle, soprattutto se pensiamo alla carenza di archivi di talune regioni o zone, per inaccessibilità o distruzioni susseguitesi, ad esempio, per guerre o rivolte popolari.
Da umillimo cercatore di tracce, indagherei su personaggi e 'cose', acciocché una eventuale lettura del brano che segue possa risultare fruttuosa: mi domanderei, ad esempio, cosa si intenda per 'mero e misto imperio' e chi siano i tanti personaggi citati, come il Barrio, il Fiore, il Nola Molisi/e.
Nota: quelli che possono sembrare errori di trascrizione sono errori (Patiro, Maratea e tanti altri)... originali, che non ho voluto emendare per fedeltà al testo.
Bona lejùta,
CatàvurAmurùsu.
Cenni storici sulle chiese
arcivescovili, vescovili, e prelatizie (nullius) del Regno delle Due Sicilie
raccolti, annotati, scritti, per l'Ab. Vincenzio D'Avino
Napoli, dalle Stampe di Ranucci,
1848
(Pagine 139-141; tra parentesi tonde la numerazione originale delle note; rielaborazione grafica C. A. Amoruso, giugno 2022).
§. 111. Dell'ex cattedrale di Umbriatico.
Umbriatico (non già
Briatico, come scrissero l'Alberti, e il Barrio) è una citta in provincia di
Calabria ulteriore, che fa parte del distretto di Cotrone. Capo-luogo di circondario,
s'innalza su di un monte, a 14 miglia dal mare, e viene abitata da 1500. Nel
secolo XVII, quando la sua popolazione
non oltrepassava il numero di 600[1], era feudale, come era
stata sotto il re Ladislao[2], e fino al 1806 fu
marchesato dei Rovegna. Pensò il Barrio, che questa città fosse l'antica
Bristacia, edifizio degli Enotri, secondo Stefano di Bizanzio, ma fu ripreso
dal Quatrimani. Ignoriamo gli esordi di Umbriatico. Essa godeva accogliere tra
le sue mura un vescovo. Cadde in fallo il citato Barrio pronunziando, che
all'epoca di Sisto III. sommo pontefice,
Ilario, da lui detto arcivescovo reggino, tenne un sinodo a Reggio contro il
vescovo di Umbriatico, la cui ordinazione non era stata canonica[3]. Nel pontificato di Sisto
III, Reggio non era metropoli, come credette il francicano scrittore, e le
nostre Chiese ivano col patriarcato romano. Non possiamo adunque sull'autorità
del Barrio stabilire, che ai tempi di Sisto III, ossia dal 432 al 440, risedea
vescovo ad Umbriatico. Lo stesso Barrio asserisce, che la cattedra vescovile
sia qui passata da Paterno, ed è probabile la sua asserzione. Paterno infatti
fu vescovato, e Abbondanzio, che tra gli altri l'occupò, intervenne al sinodo
di Costantinopoli dal 680 al 681. La firma di Abbondanzio dimostra che Paterno
era identica città con Tempsa, sottoscrivendosi egli vescovo paternense, ossia
tempsano[4]. Paterno è ricordato
nell'Itinerario di Antonino; e secondo gli antichi e moderni scrittori,
corrisponde a Crimissa, il cui sito era sotto il promontorio di tal nome, ora
capo-Alice[5]. Ripiglieremo qui in
seguito la parola su di Crimissa; e proseguendo a trattare dell'umbriaticense
vescovato, avvertiamo, che se realmente sia il paternense, sta in Umbriatico
fin dal secolo X, quando cessò Paterno. Ebra, confidente del re Ruggiero, è il
primo nella serie dei vescovi di Umbriatico.
Si tolgano da questa l'anonimo, contro
cui s'ideò tenuto il sinodo a Reggio, e quel Gervasio, che gl'impostori
segnarono nella falsa bolla di consacrazione del duomo di Catanzaro. Roberto,
successore di Ebra, nel 1167 confermava il monistero di S. Stefano ai basiliani
del Patiro, obbligando quei monaci di offerire alla Chiesa di Umbriatico
un'anfora di olio e tre candele, e dando loro il diritto di ricevere dal
vescovo, dell'olio santo, e ciò per ogni anno. Noi non ci fermiamo a descrivere
i vescovi di Umbriatico. Non tralasciamo però di notare, che eglino
esercitarono il mero e misto impero sopra S. Marina, S. Nicola dell'Alto e
Maratea, feudi della mensa. Disabitati questi a motivo delle guerre, i vescovi
in parola, impetrando grazie dai sovrani regnanti, cercarono reintegrarli.
Infatti presso l'Ughelli vi è una carta del re Carlo II. di Angiò, colla quale,
a richiesta del vescovo di Umbriatico, si accordano delle esenzioni a coloro
che volessero fare soggiorno nei detti feudi. Il vescovato di cui parliamo, si
legge nei comenti dell'abate Gioacchino, benché col corrotto nome di
Antiblacense: era suffraganeo del metropolitano sanseverinate, ed ai tempi
dell'Ughelli avea la rendita di duc. 2000, con tenere in se 7599 fedeli tra la
città e la diocesi. Il duomo portava il titolo di S. Donato, ed in essa
uffiziavano l'arcidiacono, il decano, il cantore, il tesoriere, e l'arciprete,
canonici dignitari, e pochi altri canonici, quasi sprovvisti di rendite.
Soppressa nel 1818 la sedia vescovile, ed incorporata la diocesi a quella di
Cariati, la detta chiesa di S. Donato restò collegiata insigne colle stesse
dignità e con sette canonici, ai quali abitualmente appartiene la cura delle
anime, che si esercita oggi dall'arciprete. Altre due chiese stanno ad
Umbriatico; una cioè delle Grazie, e questa si mantiene di obblazioni, e altra
di S. Domenico, che dipende dal capitolo de' canonici. Vi sta puranco la confraternita
del Rosario. V'era inoltre un monistero di donne. Umbriatico è luogo natio di
cherici distinti. Il Fiore segna per tali i vescovi Roberto, Peregrino e
Rinaldo, essendo in errore per gli altri; e noi aggiugniamo Michele Perista,che
da canonico passò a vescovo nel 1420, e morì nel 1435; Elia Astorino,
carmelitano dottissimo, che nel 1693 fece di pubblica ragione una sua opera
concernente i poteri della sede apotstolica, e un'altra sulla vera Chiesa di
Dio ne stampò nel 1700; e Gioacchino Tombati, superiore de' cisterciensi in
Calabria nel 1738. Fu anco della città o diocesi di Umbriatico Pietro
Ranieri,vescovo di Strongoli nel 1535[6].
La diocesi era composta da Cirò, Melissa e Crucoli; da Casabona,
Zinga, San Nicola, e Carfizzi, e da Pallagorio. — Cirò per antichità, per
competente numero di popolazione, e per molti santuari, teneva la sopra degli
altri luoghi. Secondo il Barrio è 1'antica Crimissa, città famosa pei suoi
tempi di Apolline Aleo e di Giunone Lucina, e perché autonoma, alla quale
città la favola accorda celeste origine, dichiarandola fondata da Filotette, e
dicendo ivi morto il fondatore. Stefano sente essere Crimissa un edifizio degli
Enotri; e chi pretese avere questa città cambiato il nome in Paterno quando si
fece cristiana, e convertito in chiesa di S. Maria de Plaleis il tlempio di
Giunone, non è forse lontano dal vero. Esisteva Paterno ai principi del secolo
X, ed allora apprestò la cuna a S. Nicodemo, monaco di S. Basilio, d'illustre e
gloriosa rinomanza[7].
Dismessa la città al finire di detto secolo, gli abitanti si dispersero su i
vicini colli, e fabbricarono S. Stefano e S. Maria del Casale colle chiese,
quello cioè di S. Elia, e questo di S. Sofia, nonché Maddalena e Frinciti,
villaggi tutti che si scelsero a capitale Ipsicrò, il più grosso villaggio, cui
poscia si unirono[8].
Città feudale dal tempo del re Carlo I, e marchesato propriamente dal 1585,
Cirò ebbe a soffrire molto dai turchi nel 1593, 1598, e negli anni appresso[9]; e nondimeno fin quasi a
dì nostri fu residenza del vescovo di Umbriatico, che ivi tenne l'episcopio,
oggi proprietà del comune. Si vede ancora nella maggior chiesa il trono del vescovo.
A Cirò inoltre nel secolo XVII vi era il seminario vescovile, che poi
disciolto, ricomparve nel 1722, venendo dotato di fondi beneficiali
dell'istessa Cirò, ed al presente è casa comunale e quartiere di gendarmeria.
Capo-luogo di circondario in distretto di Cotrone abitato da 4000, riceve onore
delle sue chiese curate di S. Maria de Plateis, S.Gio. Battista, e S. Menna
martire, mancando la parrocchia di S. Margherita; nella prima delle quali evvi
un clero ricettizio, instituito nel 1783. Riceve altresì onore delle sue chiese
semplici, Purgatorio; le Grazie, la cui amministrazione spetta al clero
riceitizio; S. Giuseppe, che si mantiene di elemosina, e S. Lorenzo. Sul colle
poi dove fu Crimissa, si adora S. Maria dell'Idria in chiesa a lei dedicata.
Cirò ha le confraternite del Sacramento e del Rosario, un tempo ricchissime,
ma non ha del pari gli amichi cenobi, ritrovandosi dismessi dal 1770, cioè:
l'Annunciata dell'ordine di S. Francesco di Paola, fondato nel 1581; S.
Leonardo di minori riformati: Madonna di Costantinopoli di PP. capuccini,
eretto nel 1614; e S. Francesco di minori conventuali. Era stato molto prima
disciolto il convento di S. Michele dell'ordine Florense[10]. Cirò è patria di
virtuosi e degni soggetti, vale a dire di Antonio Spo1etino, Antonio dell'abi
to dei minori, e Bernardo Piccolo, vescovi, il primo di Cotrone nel 1402, il
secondo di Catanzaro nel 1435, e il terzo di Strongoli nel 1621: Lorenzo
Mascabruno, religioso dottissimo, autore di diverse opere letterarie; e
Antonio dell'ordine di S. Francesco, uomo di vita esemplare, morto a Palermo
nel 1646; non che Bonaventura dei francescani, e Angelo Cerella dei
carmelitani, ambi provinciali emeriti, l'uno nel 1660, e l'altro nel 1695[11]. Ma la sopra di tutti
gode il P. Cosmo Balsamy dei minori conventuali, asceso nel provincialato nel
1543, 1570 e 1589. Fu egli un insigne filosofo, un dotto teologo, e un
classico oratore: tale, che Giovan Teseo Casopero della stessa Cirò, nelle sue
poesie, lo chiama decoro di Calabria e diletto della patria[12]. Non facciamo parola di
Aloisio Giglio, altro ciriate, filosofo e medico illustre, autore della nuova
forma del così detto anno gregoriano, giacché non vestiva il sacro abito
chericale[13].
— Melissa e Crucoli sono comuni del circondario di Cirò. Il Barrio crede
Melissa un fabbricato dei Melissei, popoli di Creta, o del loro sovrano, e per
dimostrare antico il paese fa capo di un verso di Ovidio[14]. Melissa divenne feudo
dei Malatacca nel 1393[15]: era abitalo di 828 nel
1816, ed al presente il suo popolo è di 1500. Fu decorato di tre parrocchie,
ridotte poscia a due, cioè a S. Nicola, arcipretura propriamente, e S. Giacomo,
il di cui patronato è in controversia tra l'ex barone e il demanio regio. Ha
inoltre le chiese filiali di S. Caterina e dell'Assunta, e un'altra, detta
dell'Udienza. L'Ughelli attribuisce a questo lungo un monistero di
agostiniani, un ospedale, e tre confraternite, che non più esistono. Il monistero
portava il titolo dell'Annunciata, e manca dall'ultima occupazione militare.
Melissa dette la culla a Domenico agostiniano, e a Bonaventura minore
osservante, provinciali, al 1666 e 1675 uno, e al 1717 l'altro[16]. Crucoli poi era in piedi
al tempo dei normanni, secondo l'Inveges; ma secondo il Casopero, fu edificato
assai dopo da popoli di Oriente, che espulsi dal turco, si ricoverarono nelle
nostre contrade[17].
Fu marchesato dei Malfitani dal 1649[18] al 1806: avea 236 fuochi
all'epoca del Fiore, e 2000 son oggi i suoi abitanti. E' decorato delle chiese
di S. Pietro e Paolo, arcipretale curata; Assunta, mantenuta di obblazioni; e
S. Maria di Marepuglia, rurale, con abazia. Ha la confraternita della
Concezione; ed è patria di Antonio Rizoleo dell'ordine dei minori, e Bonaventura
della stretta osservanza, morti con odore di santità, il primo nel 1596, il
secondo nel 1675; nonché di Aloisio d'Aquino, religioso di S. Domenico, autore
di diverse opere letterarie[19]. — Casabona, che ha Zinga
per villaggio, e San Niccolò col suo villaggio Carfizzi, son comuni del
circondario di Strongoli. Vi è chi vuole Casabona l'antica città di Chone, che
la favola dice fondata da Filotette, e Licofrone chiama opulenta, la quale
città, secondo Strabone, sorgeva circa al promontorio Crimissa[20]. Casabona esisteva nel 1198,
quando una sua chiesa, detta di S. Dionigi, fu da papa Innocenzo III
confermata al monistero del Patiro di Rossano[21]. Avea un popolo di 600
nel 1793, in cui riconosceva a suoi baroni i Capecelatri[22]. Ha il popolo nello
stesso numero, e gode il patrocinio di S. Nicola vescovo, che il medesimo popolo
venera nella chiesa di tal santo, ufiziata da un arciprete curato e da cinque
minori partecipanti; la quale chiesa nella sua giurisdizione racchiude l'altra
dell'Assunta cui si unisce un eremitorio. Vi era sin dal 1519 il convento dei
frati dell'osservanza[23], oggi soppresso. Questo
paese dette la culla a Bonaventura, minorita di costumi evangelici; ad Antonio
degli Osservanti, provinciale nel 1615, ed a Scipione Pisciotta, cavaliere di
Calatrava[24].
Zinga poi nei tempi del Barrio sorgeva a contrada di Casabona, ma era stato un
forte castello, che decaduto, risorse circa al 1660 per opera del suo barone
Epaminonda Ferraro[25]. Ultimamente avea la
qualità di feudo dei Giannuzzi Savelli[26]. Si abitava da 105 all'epoca
dell'Ughelli, 400 nel 1793, 200 nel 1816, e da 600 si abita oggi. Quivi sono le
chiese di S. Giovanni Battista , arcipretale curata, ed Imacolata Concezione,
semplice. — San Niccolò, Carlizzi, e Pallagorio fanno una popolazione di 3600,
partita in 1800 a San Niccolò, 890 a Carfizzi, e 910 a Pallagorio. Eran essi,
feudo dei Capecelatri il primo, marchesato dei Maleni il secondo, e principato
dei Rovegna il terzo[27]. Questi tre paesi hanno
abitanti di origine, lingua e costumi dell'Albania , donde i loro padri vennero
nel tempo di Ferdinando I d'Aragona, e si facevano governare da greci
sacerdoti. Vi si trovano, a San Niccolò cioè, le chiese di S. Nicola vescovo,
arcipretale curata; Assunta e S. Domenico, mantenute di obblazioni; S. Michele
arcangelo con eremitorio, e la confraternita del Purgatorio. A Carfizzi le
chiese di S. Giovanni Battista, arcipretale curata; S. Filomena semplice, e S.
Maria del Carmine con altro eremitorio. Ed a Pallagorio la chiesa di S.
Veneranda, il di cui arciprete curato estende la sua giurisdizione sulla
chiesa semplice di S. Antonio.
In qualcuno dei
luoghi descriui ha dovuto essere il monistero di S. Stefano, che i re Ruggiero
e Guglielmo fabbricarono e dotarono pei monaci Basiliani di S. Maria del
Patiro. Fu senza dubbio in diocesi di Umbriatico, altrimenti Roberto, vescovo
umbriaticense, non avrebbe avuto il diritto di confermarlo ai monaci, come
praticò nel 1167[28].
[1] (1) Ughell. t. 9. Umbriaticen. Episc.
[2] (2) Giuseppe Campanile, pag. 226.
[3] (3) Barrio lib. III. cap. 3. pag. 197.
[4] (4) Gio. Diacono chiame Abbondanzio, vescovo di Paterno, senza
altra
spiega o aggiunta; ma la firma di Abbondanzio al concilio dice: Abbundantius episcopus civitatis
Paterni, o Tempsanae,o Tempsana, et
apocrisarius totius synodi... subscripsi et definii. Il chiar. Leopoldo
Pagano, scrivendo di Tempsa con molta critica e saggio avvedimento, ha
preteso, che vi furono due Tempse, una sul Tirreno e altra sul Jonio. Ved. la Dissertazione negli Atti dell'Accademia Cosentina, vol. 2.
[5] (5) Ved. il chiar. Gio. Fran. Pugliese nel Calabrese an.2, num. 1.
[7] (2) Fiore, Calab. Santa pag. 62.
[8] (3) Pugliese, nel Calabrese,
an. 2, num. 8.
[9] (4) Filiberto
e Giuseppe Campanile nelle loro opere; Aceti pag. 354.
[10] (5) Fiore,
Calab. Santa, pag. 423, 419, 416,
401.
[11] (1) Fiore, cit. opera,
pag. 966, 420; Aceti, pag. 354.
[12] (2) Fiore, ivi, pag.
401; Pugliese, nel Calabrese, an. 3. num. 23.
[13] (3) Giannone, Istoria civile; Aceti pag. 354.
[14] (4) Thurinus sinus, Melisen. Ovid. Met. lib. XV. Grida alto il Barrio lib. IV. cap.
6. pag. 304. a coloro che vorrebbero
leggere Temesen invece di Melisen.
[15] (5) Giuseppe
Campanile, pag. 130.
[16] (6) Calab. Santa, pag. 387, 404.
[17] (7) Ved. Fiore, Calab. illustr. pag. 234.
[18] (8) Campanile, citata Opera
pag. 145.
[19] (9) Aceti,
pag. 355, equivoca dicendo essere
Crucoli in diocesi di Rossano.
[20] (10) Pugliese, nel
Calabrese, an. 2, num 3.
[21] (11) Fiore, Calab. Santa, pag. 372.
[22] (1) Alfano, pag. 82.
[23] (2) Fiore, cit. opera , pag.
403.
[24] (3) Fiore, ivi, pag. 404.
431; Aceti pag. 348.
[25] (4) Nola Molise, Chron. Crotoniense, lib. 1. cap. 12;
Aceti, pag. 348.
[26] (5) Alfano, pag. 91, 89, 79.
[27] (6) Ivi.
[28] (7) Ughelli, t. 9.
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