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sabato 25 giugno 2022

§ 354 250622 La diocesi di Umbriatico, in V. D'Avino, 1848

Della diocesi di Umbriatico rimangono, oltre alle memorie storiche, il titolo, tuttora in essere, di 'diocesi titolare' e il detto, scherzoso, ''malidittu tu (a ttìja) e u (aru) vìscuvu 'e Vrijàticu''. 

Le notizie, come è evidente, già nell'opera dell'abate Vincenzio D'Avino, pubblicata nel 1848, sono quasi rarefatte, lontane, per non dire misteriose, benché la 'chiesa', dalle più remote parrocchie alle più importanti istituzioni, sia, per così dire, 'votata' a tenere memoria, traccia minuziosa di nascite, morti, donazioni, delibere, avvenimenti e tanto, tanto altro.

Ancora nel 1848, mi sembra che la descrizione delle diocesi fatta dal D'Avino sia ancora totalmente improntata a quello stile (faccio per dire...) narrativo basato soprattutto sul 'racconto storico', quello che si rifaceva alla autorità di storici e geografi che erano soprattutto narratori, insomma quei classici storiografi e geografi che riproponevano sempre la storia raccontata dai predecessori, aggiungendo note a volte di pura invenzione, allargando il narrato come i cerchi dei sassi lanciati in uno stagno... insomma, fantasia tanta, scientificità zero: Diodori Siculi, Straboni e Erodoti come se piovesse, ma di storia e geografia neanche l'ombra. Ciò non toglie che in tante difficoltà insormontabili o quasi, alla fine qualcosa di buono, cioè informazioni utili, rimanga. Vale anche per questa 'compilazione' del D'Avino. Bisogna, dunque, separare il loglio dal grano e trattenere le informazioni più 'moderne' o quelle coeve all'autore e non disperderle, soprattutto se pensiamo alla carenza di archivi di talune regioni o zone, per inaccessibilità o distruzioni susseguitesi, ad esempio, per guerre o rivolte popolari.

Da umillimo cercatore di tracce, indagherei su personaggi e 'cose', acciocché una eventuale lettura del brano che segue possa risultare fruttuosa: mi domanderei, ad esempio, cosa si intenda per 'mero e misto imperio' e chi siano i tanti personaggi citati, come il Barrio, il Fiore, il Nola Molisi/e. 

Nota: quelli che possono sembrare errori di trascrizione sono errori (Patiro, Maratea e tanti altri)... originali, che non ho voluto emendare per fedeltà al testo.

Bona lejùta,

CatàvurAmurùsu.

Cenni storici sulle chiese arcivescovili, vescovili, e prelatizie (nullius) del Regno delle Due Sicilie raccolti, annotati, scritti, per l'Ab. Vincenzio D'Avino

                Napoli, dalle Stampe di Ranucci, 1848

 

                      (Pagine 139-141; tra parentesi tonde la numerazione originale delle note; rielaborazione grafica C. A. Amoruso, giugno 2022).

 

§. 111. Dell'ex cattedrale di Umbriatico.

 

   Umbriatico (non già Briatico, come scrissero l'Alberti, e il Barrio) è una citta in provincia di Calabria ulteriore, che fa parte del distretto di Cotrone. Capo-luogo di circon­dario, s'innalza su di un monte, a 14 miglia dal mare, e viene abitata da 1500. Nel secolo XVII, quando la sua popolazione non oltrepassava il numero di 600[1], era feudale, come era stata sotto il re Ladislao[2], e fino al 1806 fu marchesato dei Rovegna. Pensò il Barrio, che questa città fosse l'antica Bristacia, edifizio degli Enotri, secondo Stefano di Bizanzio, ma fu ripreso dal Quatrimani. Igno­riamo gli esordi di Umbriatico. Essa godeva accogliere tra le sue mura un vescovo. Cadde in fallo il citato Barrio pro­nunziando, che all'epoca di Sisto III.  sommo pontefice, Ilario, da lui detto arcivescovo reggino, tenne un sinodo a Reggio contro il vescovo di Umbriatico, la cui ordinazione non era stata canonica[3]. Nel pontificato di Sisto III, Reggio non era metropoli, come credette il francicano scritto­re, e le nostre Chiese ivano col patriarcato romano. Non possiamo adunque sull'autorità del Barrio stabilire, che ai tempi di Sisto III, ossia dal 432 al 440, risedea vescovo ad Umbriatico. Lo stesso Barrio asserisce, che la cattedra ve­scovile sia qui passata da Paterno, ed è probabile la sua as­serzione. Paterno infatti fu vescovato, e Abbondanzio, che tra gli altri l'occupò, intervenne al sinodo di Costantinopoli dal 680 al 681. La firma di Abbondanzio dimostra che Paterno era identica città con Tempsa, sottoscrivendosi egli vescovo paternense, ossia tempsano[4]. Paterno è ricor­dato nell'Itinerario di Antonino; e secondo gli antichi e mo­derni scrittori, corrisponde a Crimissa, il cui sito era sotto il promontorio di tal nome, ora capo-Alice[5]. Ripiglieremo qui in seguito la parola su di Crimissa; e prose­guendo a trattare dell'umbriaticense vescovato, avvertiamo, che se realmente sia il paternense, sta in Umbriatico fin dal secolo X, quando cessò Paterno. Ebra, confidente del re Ruggiero, è il primo nella serie dei vescovi di Umbriatico.
   Si tolgano da questa l'anonimo, contro cui s'ideò tenuto il sinodo a Reggio, e quel Gervasio, che gl'impostori segnarono nella falsa bolla di consacrazione del duomo di Catanzaro. Roberto, successore di Ebra, nel 1167 confermava il monistero di S. Stefano ai basiliani del Patiro, obbligando quei monaci di offerire alla Chiesa di Umbriatico un'anfora di olio e tre candele, e dando loro il diritto di ricevere dal vescovo, dell'olio santo, e ciò per ogni anno. Noi non ci fermiamo a descrivere i vescovi di Umbriatico. Non tralasciamo però di notare, che eglino esercitarono il mero e misto impero sopra S. Marina, S. Nicola dell'Alto e Maratea, feudi della mensa. Disabitati questi a motivo delle guer­re, i vescovi in parola, impetrando grazie dai sovrani re­gnanti, cercarono reintegrarli. Infatti presso l'Ughelli vi è una carta del re Carlo II. di Angiò, colla quale, a richie­sta del vescovo di Umbriatico, si accordano delle esenzio­ni a coloro che volessero fare soggiorno nei detti feudi. Il vescovato di cui parliamo, si legge nei comenti dell'abate Gioacchino, benché col corrotto nome di Antiblacense: era suffraganeo del metropolitano sanseverinate, ed ai tempi dell'Ughelli avea la rendita di duc. 2000, con tenere in se 7599 fedeli tra la città e la diocesi. Il duomo portava il titolo di S. Donato, ed in essa uffiziavano l'arcidiacono, il decano, il cantore, il tesoriere, e l'arciprete, canonici dignitari, e pochi altri canonici, quasi sprovvisti di rendite. Soppressa nel 1818 la sedia vescovile, ed incorporata la diocesi a quella di Cariati, la detta chiesa di S. Donato restò collegiata insigne colle stesse dignità e con sette canonici, ai quali abitualmente appartiene la cura delle anime, che si esercita oggi dal­l'arciprete. Altre due chiese stanno ad Umbriatico; una cioè delle Grazie, e questa si mantiene di obblazioni, e altra di S. Domenico, che dipende dal capitolo de' canonici. Vi sta puranco la confraternita del Rosario. V'era inoltre un monistero di donne. Umbriatico è luogo natio di cherici distinti. Il Fiore segna per tali i vescovi Roberto, Peregrino e Rinaldo, essendo in errore per gli altri; e noi aggiugniamo Michele Perista,che da canonico passò a vescovo nel 1420, e morì nel 1435; Elia Astorino, carmelitano dottissimo, che nel 1693 fece di pubblica ragione una sua opera concer­nente i poteri della sede apotstolica, e un'altra sulla vera Chiesa di Dio ne stampò nel 1700; e Gioacchino Tombati, supe­riore de' cisterciensi in Calabria nel 1738. Fu anco della cit­tà o diocesi di Umbriatico Pietro Ranieri,vescovo di Stron­goli nel 1535[6].

   La diocesi era composta da Cirò, Melissa e Crucoli; da Casabona, Zinga, San Nicola, e Carfizzi, e da Pallagorio. — Cirò per antichità, per competente numero di popolazione, e per molti santuari, teneva la sopra degli altri luoghi. Se­condo il Barrio è 1'antica Crimissa, città famosa pei suoi tempi di Apolline Aleo e di Giunone Lucina, e perché au­tonoma, alla quale città la favola accorda celeste origine, dichiarandola fondata da Filotette, e dicendo ivi morto il fondatore. Stefano sente essere Crimissa un edifizio degli Enotri; e chi pretese avere questa città cambiato il nome in Paterno quando si fece cristiana, e convertito in chiesa di S. Maria de Plaleis il tlempio di Giunone, non è forse lon­tano dal vero. Esisteva Paterno ai principi del secolo X, ed allora apprestò la cuna a S. Nicodemo, monaco di S. Basilio, d'illustre e gloriosa rinomanza[7]. Dismessa la città al finire di detto secolo, gli abitanti si dispersero su i vici­ni colli, e fabbricarono S. Stefano e S. Maria del Casale col­le chiese, quello cioè di S. Elia, e questo di S. Sofia, non­ché Maddalena e Frinciti, villaggi tutti che si scelsero a capitale Ipsicrò, il più grosso villaggio, cui poscia si uni­rono[8]. Città feudale dal tempo del re Carlo I, e marchesato propriamente dal 1585, Cirò ebbe a soffrire molto dai turchi nel 1593, 1598, e negli anni appresso[9]; e nondi­meno fin quasi a dì nostri fu residenza del vescovo di Um­briatico, che ivi tenne l'episcopio, oggi proprietà del co­mune. Si vede ancora nella maggior chiesa il trono del ve­scovo. A Cirò inoltre nel secolo XVII vi era il seminario vescovile, che poi disciolto, ricomparve nel 1722, venendo do­tato di fondi beneficiali dell'istessa Cirò, ed al presente è casa comunale e quartiere di gendarmeria. Capo-luogo di circondario in distretto di Cotrone abitato da 4000, riceve onore delle sue chiese curate di S. Maria de Plateis, S.Gio. Battista, e S. Menna martire, mancando la parrocchia di S. Margherita; nella prima delle quali evvi un clero ricettizio, instituito nel 1783. Riceve altresì onore delle sue chiese semplici, Purgatorio; le Grazie, la cui amministrazione spetta al clero riceitizio; S. Giuseppe, che si mantiene di elemosina, e S. Lorenzo. Sul colle poi dove fu Crimissa, si adora S. Maria dell'Idria in chiesa a lei dedicata. Cirò ha le confraternite del Sacramento e del Rosario, un tempo ric­chissime, ma non ha del pari gli amichi cenobi, ritrovan­dosi dismessi dal 1770, cioè: l'Annunciata dell'ordine di S. Francesco di Paola, fondato nel 1581; S. Leonardo di mi­nori riformati: Madonna di Costantinopoli di PP. capuccini, eretto nel 1614; e S. Francesco di minori conventuali. Era stato molto prima disciolto il convento di S. Michele dell'ordine Florense[10]. Cirò è patria di virtuosi e degni soggetti, vale a dire di Antonio Spo1etino, Antonio dell'abi to dei minori, e Bernardo Piccolo, vescovi, il primo di Cotrone nel 1402, il secondo di Catanzaro nel 1435, e il terzo di Strongoli nel 1621: Lorenzo Mascabruno, religio­so dottissimo, autore di diverse opere letterarie; e Antonio dell'ordine di S. Francesco, uomo di vita esemplare, mor­to a Palermo nel 1646; non che Bonaventura dei francesca­ni, e Angelo Cerella dei carmelitani, ambi provinciali eme­riti, l'uno nel 1660, e l'altro nel 1695[11]. Ma la sopra di tutti gode il P. Cosmo Balsamy dei minori conventuali, asceso nel provincialato nel 1543, 1570 e 1589. Fu egli un in­signe filosofo, un dotto teologo, e un classico oratore: tale, che Giovan Teseo Casopero della stessa Cirò, nelle sue poe­sie, lo chiama decoro di Calabria e diletto della patria[12]. Non facciamo parola di Aloisio Giglio, altro ciriate, filoso­fo e medico illustre, autore della nuova forma del così det­to anno gregoriano, giacché non vestiva il sacro abito chericale[13]. — Melissa e Crucoli sono comuni del circonda­rio di Cirò. Il Barrio crede Melissa un fabbricato dei Me­lissei, popoli di Creta, o del loro sovrano, e per dimostra­re antico il paese fa capo di un verso di Ovidio[14]. Melis­sa divenne feudo dei Malatacca nel 1393[15]: era abitalo di 828 nel 1816, ed al presente il suo popolo è di 1500. Fu decorato di tre parrocchie, ridotte poscia a due, cioè a S. Nicola, arcipretura propriamente, e S. Giacomo, il di cui patronato è in controversia tra l'ex barone e il dema­nio regio. Ha inoltre le chiese filiali di S. Caterina e dell'Assunta, e un'altra, detta dell'Udienza. L'Ughelli at­tribuisce a questo lungo un monistero di agostiniani, un ospedale, e tre confraternite, che non più esistono. Il mo­nistero portava il titolo dell'Annunciata, e manca dall'ul­tima occupazione militare. Melissa dette la culla a Domeni­co agostiniano, e a Bonaventura minore osservante, pro­vinciali, al 1666 e 1675 uno, e al 1717 l'altro[16]. Crucoli poi era in piedi al tempo dei normanni, secondo l'Inveges; ma secondo il Casopero, fu edificato assai dopo da po­poli di Oriente, che espulsi dal turco, si ricoverarono nelle nostre contrade[17]. Fu marchesato dei Malfitani dal 1649[18] al 1806: avea 236 fuochi all'epoca del Fiore, e 2000 son oggi i suoi abitanti. E' decorato delle chiese di S. Pietro e Paolo, arcipretale curata; Assunta, mantenuta di obblazioni; e S. Maria di Marepuglia, rurale, con abazia. Ha la confraternita della Concezione; ed è patria di Antonio Rizoleo dell'ordine dei minori, e Bonaventura della stretta osservanza, morti con odore di santità, il primo nel 1596, il secondo nel 1675; nonché di Aloisio d'Aquino, religioso di S. Domenico, autore di diverse opere letterarie[19]. — Casabona, che ha Zinga per villaggio, e San Niccolò col suo villaggio Carfizzi, son comuni del circondario di Stron­goli. Vi è chi vuole Casabona l'antica città di Chone, che la favola dice fondata da Filotette, e Licofrone chiama opulenta, la quale città, secondo Strabone, sorgeva circa al pro­montorio Crimissa[20]. Casabona esisteva nel 1198, quan­do una sua chiesa, detta di S. Dionigi, fu da papa Innocenzo III confermata al monistero del Patiro di Rossano[21]. Avea un popolo di 600 nel 1793, in cui riconosceva a suoi baroni i Capecelatri[22]. Ha il popolo nello stesso numero, e gode il patrocinio di S. Nicola vescovo, che il medesimo popolo venera nella chiesa di tal santo, ufiziata da un arci­prete curato e da cinque minori partecipanti; la quale chiesa nella sua giurisdizione racchiude l'altra dell'Assunta cui si unisce un eremitorio. Vi era sin dal 1519 il con­vento dei frati dell'osservanza[23], oggi soppresso. Questo paese dette la culla a Bonaventura, minorita di costumi evangelici; ad Antonio degli Osservanti, provinciale nel 1615, ed a Scipione Pisciotta, cavaliere di Calatrava[24]. Zinga poi nei tempi del Barrio sorgeva a contrada di Casabona, ma era stato un forte castello, che decaduto, risorse circa al 1660 per opera del suo barone Epaminonda Ferra­ro[25]. Ultimamente avea la qualità di feudo dei Giannuzzi Savelli[26]. Si abitava da 105 all'epoca dell'Ughelli, 400 nel 1793, 200 nel 1816, e da 600 si abita oggi. Quivi sono le chiese di S. Giovanni Battista , arcipretale curata, ed Imacolata Concezione, semplice. — San Niccolò, Carlizzi, e Pallagorio fanno una popolazione di 3600, partita in 1800 a San Niccolò, 890 a Carfizzi, e 910 a Pallagorio. Eran essi, feudo dei Capecelatri il primo, marchesato dei Maleni il secondo, e principato dei Rovegna il terzo[27]. Questi tre paesi hanno abitanti di origine, lingua e costumi dell'Albania , donde i loro padri vennero nel tempo di Ferdinando I d'Aragona, e si facevano governare da greci sacerdoti. Vi si trovano, a San Niccolò cioè, le chiese di S. Nicola vescovo, arcipretale curata; Assunta e S. Domenico, mantenute di obblazioni; S. Michele arcangelo con eremitorio, e la confraternita del Purgatorio. A Carfizzi le chiese di S. Giovanni Battista, arcipretale curata; S. Filomena semplice, e S. Maria del Carmine con altro eremitorio. Ed a Pallagorio la chiesa di S. Veneranda, il di cui arciprete cu­rato estende la sua giurisdizione sulla chiesa semplice di S. Antonio.

 In qualcuno dei luoghi descriui ha dovuto essere il monistero di S. Stefano, che i re Ruggiero e Guglielmo fabbricarono e dotarono pei monaci Basiliani di S. Maria del Patiro. Fu senza dubbio in diocesi di Umbriatico, altrimenti Roberto, vescovo umbriaticense, non avrebbe avuto il diritto di confermarlo ai monaci, come praticò nel 1167[28].


 



[1] (1) Ughell. t. 9. Umbriaticen. Episc.

[2] (2) Giuseppe Campanile, pag. 226.

[3] (3) Barrio lib. III. cap. 3. pag. 197.

[4] (4) Gio. Diacono chiame Abbondanzio, vescovo di Paterno, senza altra spiega o aggiunta; ma la firma di Abbondanzio al concilio di­ce: Abbundantius episcopus civitatis Paterni, o Tempsanae,o Tempsana, et apocrisarius totius synodi... subscripsi et definii. Il chiar. Leopoldo Pagano, scrivendo di Tempsa con molta critica e saggio av­vedimento, ha preteso, che vi furono due Tempse, una sul Tirreno e altra sul Jonio. Ved. la Dissertazione negli Atti dell'Accademia Cosentina, vol. 2.

[5] (5) Ved. il chiar. Gio. Fran. Pugliese nel Calabrese an.2, num. 1.

 [6] (1) Fiore, Calab. illustr. pag. 233; Calab. Santa pag. 384; Acet. pag. 353. Lo Zavarroni Bibl. Calab. pag. 172 fa del Cirò l'Astorino. Vedi Elia d'Amato Pantopolog. Calabra.

[7] (2) Fiore, Calab. Santa pag. 62.

[8] (3) Pugliese, nel Calabrese, an. 2, num. 8.

[9] (4) Filiberto e Giuseppe Campanile nelle loro opere; Aceti pag. 354.

[10] (5) Fiore, Calab. Santa, pag. 423, 419, 416, 401.

[11] (1) Fiore, cit. opera, pag. 966, 420; Aceti, pag. 354.

[12] (2) Fiore, ivi, pag. 401; Pugliese, nel Calabrese, an. 3. num. 23.

[13] (3) Giannone, Istoria civile; Aceti pag. 354.

[14] (4) Thurinus sinus, Melisen. Ovid. Met. lib. XV. Grida alto il Barrio lib. IV. cap. 6. pag.     304. a coloro che vorrebbero leggere Temesen  invece di Melisen.

[15] (5) Giuseppe Campanile, pag. 130.

[16] (6) Calab. Santa, pag. 387, 404.

[17] (7) Ved. Fiore, Calab. illustr. pag. 234.

[18] (8) Campanile, citata Opera pag. 145.

[19] (9) Aceti, pag. 355, equivoca dicendo essere Crucoli in diocesi di Rossano.

[20] (10) Pugliese,  nel Calabrese, an. 2, num 3.

[21] (11) Fiore, Calab. Santa, pag. 372.

[22] (1) Alfano, pag. 82.

[23] (2) Fiore, cit. opera , pag. 403.

[24] (3) Fiore, ivi, pag. 404. 431; Aceti pag. 348.

[25] (4) Nola Molise, Chron. Crotoniense, lib. 1. cap. 12; Aceti, pag. 348.

[26] (5) Alfano, pag. 91, 89, 79.

[27] (6) Ivi.

[28] (7) Ughelli, t. 9.


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