'Terra mia, vièntene con me!', 'terra mia, venitìnni ccu mmìja!', dice, ormai ricco ed avaro, Mazzarò, sentendo prossima la fine. Non sono diventato né ricco né avaro, e spero che la fine, 'quella fine', abbia la bontà di attendere per un buon tratto ancora. Un'altra fine, una 'scompetura' per dirla coi miei amati poeti e scrittori napoletani del XVI secolo, mi si è invece palesata, si è fatta bisogno reale ed impellente: l'abbandono, cioè, di questo impegno (da nessuno prescrittomi) di indagare la materia 'ipsicronea' (di Cirò e della sua Marina), tramite la ricerca di tipo scolastico (e nulla più) di elementi di quella storia 'patria' che ad un certo punto mi è sembrata così lontana, o forse vicina e insepolta, ma comunque inarrivabile. Mi sono occupato, coi miei modesti mezzi intellettuali, volutamente non affinati, di un personaggio che, quanti altri mai disconosciuto e misconosciuto, tale Giovan Francesco Pugliese, aveva avuto il coraggio o l'amore di dedicare la propria opera al paese che gli diede i natali: con reiterate e prolungate interruzioni ne ho indagato il pensiero, e l'opera, per circa sette anni, poco più, poco meno... per altrettanti anni (più qualche decina precedente, in nuce) ho 'lavorato' -tutto sommato è il termine esatto- a quel 'Repertorio della parlata di Cirò e della Marina', per la cui pubblicazione mi sono sottomesso alle forche caudine di essere il primo a produrre un lavoro del genere, dal quale altri potessero attingere e 'si groliare' per giunta -ma non è certo questo un (o il) problema: occorreva che qualcuno disboscasse, o cominciasse a farlo, quella boscaglia nella quale era (ed è) avviluppata la parlata cirotana. Che poi ci fosse ben altro da dire, da indagare, da esplicitare, riguardo a quella parlata non è compito mio segnalarlo a linguisti ed etimologisti, a vocabolaristi della domenica e dei prefestivi: un po' di olio di gomiti anche per loro non guasta. Però arriva il momento di fermarsi, arriva il giorno in cui le forze ti abbandonano e allora la voglia viene meno, e come i due matti davanti al cancello del manicomio (barzelletta che non ricordo bene) decidi di non entrare o di andartene, qualcosa del genere, ma che non so ridire. Mi spiace aver coinvolto tante persone nello 'studio' del dialetto, tramite il gruppo fb che ho messo in piedi, e ora doverle non abbandonare, ma defilarmi: sapranno come e cosa fare, nessuno è indispensabile. La seconda edizione del 'Repertorio' è pronta o quasi, e tutto sommato credo non sia nemmeno paragonabile alla prima (e di questo mi sento in colpa verso i pochi acquirenti che forse qualcosa potrebbero avere da ridire). Non è un 'repertorio' o un 'lemmario': ho inteso in esso spiegare ancora di più cosa credo ci sia di diverso, o di particolare, nella parlata cirotana, paragonandola a tante altre rigorosamente non calabre; nel farlo ho escluso tassativamente la consultazione di altri vocabolari dialettali calabresi: la comparazione mirava a dimostrare altro, e così è stato, almeno credo, anzi, così sarebbe stato. Altro motivo dolente e di delusione, recata a me e purtroppo ad altri, è il non poter portare a termine l'opera storica non su Cirò o la Marina, ma su Pugliese, e di questo, ribadisco, mi dolgo, per quanto non sia ancora detta l'ultima parola: sono abituato a non contrarre debiti, figurarsi a lasciarli inestinti. Per il resto delle 'cose' non c'è problema, 'se ne vengono con me', sono solo poesiole, raccontini e altre amenità, come questo blog al quale non presto più cure: il tempo non consente, e manco il luogo, tutto sommato.
Vale.
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