sommario dei post

mercoledì 30 luglio 2014

§ 104 300714 George Gissing, 'Cotrone'.

E' il 1897, George Gissing giunge a Cotrone...
Da 'Sulla riva dello Ionio', Cappelli Editore, Bologna, 1a ed. 1957, capitolo VII, pagine da 62 a 70, traduzione e introduzione di Margherita Guidacci.
Di mio aggiungo solo le foto, e l'auspicio che questi 'post' possano indurre qualche lettore, per eventuale e raro che sia, ad indagare e rivedere la storia di questi luoghi.

'Bologna! Bologna! '- gridarono i miei compagni... Un momento dopo venne la fermata, mentre i nostri corpi ammaccati cozzavano vigorosamente per l'ultima volta; si era all'albergo Concordia.

... speravo che la notte avrebbe riportato la calma e la possibilità della gita! Dis aliter visum.  
Traversando l'Esaro mi soffermai a guardare l'acqua verde e fangosa che apparentemente non scorreva. Gli alti canneti...

domenica 27 luglio 2014

§ 103 270714 Mario Fortunato e il Grand Tour.

   'Mario Fortunato e il Grand Tour', ma forse sarebbe più congruente 'Il Grand Tour di Mario Fortunato'... 


Lo incontrai una volta sola, in un tempo ormai perso quasi del tutto, se non fosse per questa mia incapacità di dimenticare completamente che non mi abbandona mai. Parlo di un incontro reale, tra persone. Non ebbi modo di rivederlo, benché dalle cronache, non più locali, io abbia avuto modo successivamente di apprendere cosa stesse combinando in giro per il mondo. Quel giorno lo vidi mentre passeggiava dalle parti dello scalo ferroviario, per strade che erano un po' il mio piccolo inalienabile mondo, e questo rappresentava per noi, 'quelli della stazione', quasi un attacco, una incursione da parte di estranei. Lo giudicai ben vestito, elegante, un ragazzo garbato, come i suoi due amici... erano quasi una nota stonata, in quel posto dove vivevo troppo spesso mimetizzato, parlando da solo, nella mia mente troppo incline alla rinuncia, di Borges o di Baudelaire, di Cielo d'Alcamo o Coluccio Salutati, così, magari a vanvera, come mi veniva, purché nessuno mi sentisse.          

    Declamava, a voce abbastanza alta ma controllata, una poesia che parlava di una rosa. Il bianco era il colore prevalente nei vestiti di quei tre ragazzi. Ero sudato, le mani sporche di pallonate e le scarpe erano le solite, sfregiate dai calci e dalle frenate sull'asfalto - i freni delle 'Graziella' prese in prestito erano sempre rotti - e bisognava usare i piedi, come nei cartoni animati degli Antenati. Li seguii per un po', a debita distanza, cercando di carpire parole e gesti, così come si segue una preda che non si catturerà mai, un pesce argentato che non ammette reti né esche di nessun genere. Forse parlavano di una poesia in latino, non saprei, non riuscii a catturarla... e intanto pensavo, ascoltando di nascosto, a Diego Vitrioli, al Reghium Julii, al premio di poesia latina Amstelodamiense... Pensieri fuori luogo, senz'altro, il pallone era finito dall'altra parte della strada e rotolava via in quella che chiamavamo 'a conetta', che a un certo punto spariva alle viste, in quanto coperta dal cemento, inghiottendo palloni, sudori, rabbie, e lasciando, forse, a incancrenire, solo echi di bestemmie.
Altro che poesie latine.

Sfogliando 'Quelli che ami non muoiono', Bompiani 2008, di Mario Fortunato, mi rendo conto di parecchie cose, non tutte facili da dire. Magari scopro che non ero il solo, nemmeno a Cirò-Macondo, ad amare Borges, o Adolfo Bioy Casares, e che forse avrei dovuto parlarne prima, con persone reali, di queste mie passioni letterarie che col tempo si sono svuotate alquanto, ma mai del tutto. Non importa. Dicono che volere sia potere, e spesso è così. Così credo sia stato per Mario Fortunato, da Cirò Marina, edizione 1957, il cui successo letterario non credo dipenda tanto dal censo o dalla testardaggine, come si potrebbe pensare sfogliando qualche pagina del libro che ho citato più sopra, ma soprattutto dal valore della sua opera. 
Intanto, voglio riproporre - sempre nella speranza di non violare le norme dei diritti d'autore - un articolo a firma dello stesso Fortunato, in cui tratta, anche, di un paio di miei numi tutelari, ovvero di quel George Gissing e di quel Norman Douglas delle cui opere si è parlato, e riportato qualche pagina, anche su questo blog. 
Non nascondo che sono rimasto sorpreso nel leggere questo articolo, per l'idea, evidentemente errata, che mi ero fatta, cioè che la materia 'calabra' non interessasse all'autore di 'Luoghi naturali'.
Non è così, per fortuna, e l'articolo - ci mancherebbe altro! - è molto ben strutturato, questo lo capisco anch'io, da profano.
Buona lettura.



mercoledì 23 luglio 2014

§ 102 230714 F. Vizza, L'idrogeno ecologico ed efficiente (da 'Le Scienze').

Con piacere segnalo questo comunicato scientifico con intervista al professor Francesco Vizza, nel quale egli illustra un risultato scientifico ottenuto dal team da lui diretto presso il CNR. 
Secondo me, 'Ciccio' deve essere un discendente di Giano Lacinio, chissà...
Nel riportare questa 'scoperta' che fa parte della sua professione di ricercatore mi piace ricordare l'altra sua ricerca, quella 'parallela' per così dire, di profondo indagatore dei misteri storici cirotani, poiché, a ben guardare, di mistero ne aleggia proprio tanto intorno ai vari personaggi cirotani d'antan, da Casopero ai Lilio, ai Maleni o Basamy, ai Giano Lacinio... Ma non difettandogli, di certo, la pazienza e l'intuito - tanti saggi ne ha già dato - ne verrà a capo, di questi 'misteri': ad maiora, Francisce Vitia!
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Ecco il testo, da 'Le Scienze'.
''Sviluppato dall’Iccom-Cnr un sistema che produce idrogeno pulito con un risparmio energetico del 60%, grazie all’impiego di elettrodi nanostrutturati e alcol etilico. Diverse le potenziali ricadute tecnologiche. La ricerca è stata pubblicata su Nature Communications
Roma, 23 luglio 2014 - Produrre idrogeno in maniera pulita, sicura ed efficiente a partire da soluzioni di alcoli rinnovabili. È il risultato raggiunto da un team dell’Istituto di chimica dei composti organometallici del Consiglio nazionale delle ricerche (Iccom-Cnr) di Firenze, diretto da Francesco Vizza e illustrato su 'Nature Communications'.


“Comunemente l’idrogeno si ottiene dal metano, un metodo che produce CO2 e quindi inquina”, spiega Vizza. “Un'alternativa pulita è quella dell’elettrolisi dell’acqua, processo che implica la scomposizione dell’acqua in ossigeno e idrogeno 'a zero emissioni', ma ha un elevato consumo energetico e, quando prodotto in alta pressione, presenta problemi di sicurezza poiché il mescolamento dei due elementi può generare miscele esplosive. La novità del nostro studio è che abbiamo messo a punto un elettrolizzatore in grado di produrre idrogeno, ma non ossigeno, a partire da soluzioni acquose da alcoli rinnovabili (etanolo, glicerolo o altri alcoli superiori estratti da biomasse), ottenendo un risparmio energetico del 60% rispetto all’elettrolisi dell’acqua. Come era noto, infatti, per rompere l’acqua in presenza di alcoli serve meno energia rispetto a quella necessaria quando c’è solo acqua, ma nessuno prima del nostro gruppo aveva pensato di sfruttare queste caratteristiche degli alcoli rinnovabili per la produzione di idrogeno”. 


Cuore dell’esperimento sono gli elettrodi nanostrutturati impiegati in una cella elettrolitica di nuova generazione. “Si tratta di elettrocatalizzatori anodici costituiti da nanoparticelle di palladio, depositati su architetture tridimensionali di nano-tubi di titanio”, aggiunge il ricercatore dell’Iccom-Cnr, “grazie ai quali è possibile realizzare elettrolizzatori per produrre idrogeno da soluzioni acquose di alcoli derivati da biomasse, consumando 18,5 kWh per la produzione di 1 kg di idrogeno, rispetto a 45 KWh per 1 kg di idrogeno prodotto da sola acqua, un grande guadagno energetico ed economico. Il risultato supera abbondantemente le raccomandazioni del Doe, il Dipartimento di energia statunitense che, entro il 2020, ha fissato un limite di 43 KWh di consumo di energia elettrica per kg di idrogeno prodotto”. 


Diverse le potenziali ricadute tecnologiche della ricerca. “L’idrogeno pulito e a basso costo energetico, opportunamente immagazzinato, potrebbe servire per generare corrente elettrica da qualche kWh fino a potenze più alte: generatori di corrente portatili e stazionari, a zero impatto ambientale. Inoltre, l’elettrolizzatore dell’invenzione permette di ottenere, a partire da alcoli rinnovabili, composti ad alto valore aggiunto, utili nell’industria cosmetica e tessile (derivati del glicerolo e del glicole etilenico), alimentare (acetato da bioetanolo) e nella produzione di plastiche biodegradabili (acido lattico da propandiolo), attualmente ottenuti solo mediante costosi ed inquinanti processi industriali”, conclude Vizza.
La ricerca è stata finanziata dal progetto europeo Decore e dal progetto Hydrolab2 dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, le cui due unità di ricerca sono coordinate rispettivamente da Alessandro Lavacchi e Francesco Vizza.''

domenica 20 luglio 2014

§ 101 200714 Chjùda l'occhj, Chiudi gli occhi, con note.

Chjùda l'occhj
E para a mana[1]
Strincia sa jùnta[2] 'e amùra[3]
è šcura
Senta, sa jùnta è amùru[4]
è šcuru[5]
Ma un ti špagnàrə[6]
C'un ti parràmu[7]
Su' eccussì beddi[8]
si penzèri di toj
'nta s'occhj 'e zingarèdda[9]
e tunə[10], citta 
citta[11]
jùncia i mani
e rapa s'occhj stritti stritti
ca addùvə ajùncin ni parràmi[12].

Chiudi gli occhi
e apri la mano
stringi questo pugno di more
sono rosse
Senti, questo pugno d'amore
è buio
Ma non aver paura
ché non ti faccio cadere
sono così belli
questi pensieri che hai 
nei tuoi occhi di zingarella
e tu, zitta
zitta
unisci le mani
e apri quegli occhi stretti stretti
che fin dove arrivano ci parliamo.




[1] Chiudere gli occhi e aprire la mano mostrandone il palmo era atto ricorrente nei giochi dell’infanzia, o semplicemente nella ‘cerimonia di consegna’ di qualche piccolo dono o ‘sorpresina’.
[2] Una ‘junta’ è la quantità contenuta nelle mani giunte, ‘a giumella’… praticamente il doppio di nu pugnu’, quantità contenuta in una sola mano… misure da prendersi con beneficio d’inventario.
[3] ‘Amùra’, collettivo femminile per ‘more’, ‘’amura ‘e cèuza’’, o ‘’ ‘e ruvèttu’’, comunque nere o rosse, ‘’šcura’’, come detto in seguito.
[4] Il gioco è tra le more scure e l’amore ora che è ‘’šcuru’’, buio e la ragzza potrebbe avere paura…
[5] ‘S’ iniziale rigorosamente palatalizzata.
[6] Quale paura? Quella delle more che potrebbero essere ‘parramate’, cioè fatte cadere dall’albero - anche se, in verità, ‘parramare’ significa ‘abbacchiare’, far cadere noci, olive, o altro, dai rami percuotendo questi ultimi con un bastone o pertica – oppure la paura della giovane amata che potrebbe, come le more, ‘cadere’, cedere alle lusinghe dell’innamorato? 
[7] Quindi: non aver paura, non ti indurrò in tentazione…
[8] E come potrebbe farla ‘cadere’? Sono così belli e puri, i pensieri di quella giovane, incastonati nei suoi occhi da piccola gitana…
[9] Sembra niente vero? E invece in questa parola abbiamo due caratteristiche salienti: la ‘z’ sorda e la doppia ‘d’ che, forse solo in cirotano, non è cacuminale.
[10] Con questa specie di ‘e’ capovolta si indica quella ‘e’ indistinta tanto frequente in posizione mediana in tanti dialetti, e soprattutto in posizione finale nel dialetto cirotano.
[11] Citta, citta… quieta quieta, il tipico raddoppiamento, una caratteristica del dialetto cirotano e calabrese.
[12] Dopo la premessa, l’invito ad aprire quegli occhi stretti stretti, superando la paura, ed unendo le mani, per spingersi solo fin dove le mani e gli occhi possono ‘’arrivare’’. La pronuncia dell’equivalente cirotano per ‘fin dove arrivano ne parliamo’ e per ‘fin dove arrivano le faccio cadere’ (le more di cui sopra) è praticamente identica, e anche in questo risiede il gioco di parole. 

sabato 19 luglio 2014

§ 100 190714 Ferrovie promesse sullo Jonio.

Ciclicamente, anche se non ho capito quale sia la cadenza, gli organi di informazione locali danno spazio, probabilmente loro malgrado, a notizie che riguardano la situazione dei trasporti nell'area jonica della Calabria, con la sequela penosa di dati che riguardano l'aeroporto di Crotone- S. Anna, i tagli di treni, i morti sulla 106, i porti che servono soprattutto da postazioni per la pesca con la lenza... Non mancano, ovviamente, le notizie di convegni e studi specifici... Sembra quasi che essere calabresi comporti per statuto l'obbligo di essere presi in giro: e allora ecco il prossimo decollo di aerei che collegheranno Crotone all'universo mondo, croceristi americani e tedeschi che sbarcano festanti sulle banchine del porto di Crotone, o di Sibari, treni che non bastano a smaltire il traffico di pendolari e uomini d'affari, per cui si rende necessaria la realizzazione di una metropolitana leggera che colleghi l'alto Jonio cosentino all'aeroporto di S. Anna... Accidenti, che scenario!!! Altro che magnifiche sorti e progressive - in effetti 'la ginestra' non mancherebbe: freddura, mia, questa, da incazzatura: Leopardi non c'entra - qui siamo nell'iperspazio, quanto a promesse e scemenze varie...
E allora spiaccico qui le pagine di una rivista ferroviaria, 'La Tecnica Professionale', edita dal CIFI (Collegio Ingegneri Ferroviari Italiani), numero 6, anno LIV, giugno 1989... l'avevo conservata, chissà perché... 
La differenza è che, mentre gli autori dell'articolo che propongo miravano onestamente ad esporre le proprie idee e la ragionevole fattibilità delle stesse, quegli altri, i politicanti dalla promessa facile, non sanno, molto probabilmente, nemmeno quello che dicono, e se lo sanno è anche peggio: mentono sapendo di mentire.
Nelle due foto finali, il paesaggio stupendo che offre, comunque, la ferrovia sullo Jonio: come si può notare, a nord di Sibari la linea è elettrificata, a sud... non vedo fili né pali. Le foto le ho scattate dalla vettura di coda di un IC 565 di non so quando.
Magari, in un successivo post, vi racconterò dell'Alta Velocità in Calabria... 
Links su questo blog:

martedì 15 luglio 2014

§ 099 150714 La Torre Vecchia di Cirò Marina, senza parole.

Figura 1, com'è...

Fig. 2, come era, almeno.

Fig. 3, come sarà, a parte le isole in più e 'il tubo' in meno.

Fig. 4, forse l'aria di mare 'giova', almeno da questa prospettiva.

Fig. 5, fosse almeno così.... tanto per non crollare.

Fig. 6, ho giocato un po'...
E' solo un giochino, non saprei dire se rattristato o rallegrato da un fotoritocco a buon mercato. I quasi cinquecento anni di quella torre, situata in località 'Madonna di Mare', o 'San Cataldo', su quello stesso promontorio che ospita i cosiddetti 'mercati saraceni', nonché la ben nota chiesetta, e da dove lo sguardo può veramente spaziare per largo raggio sullo Jonio, quei cinquecento anni di vita, dicevo, stanno andando a farsi benedire nel silenzio generale. Il giochino mostra lo stato più recente del manufatto (Fig. 1), nonché altri 'esercizi di stile', per così dire... Non aggiungo altro: avevo detto 'senza parole', nel titolo del post, dico solo che se questi 'luoghi dell'anima' sono tenuti in tali condizioni vuol dire che forse 'le anime non hanno luogo', almeno a certe latitudini, dove comunque fanno fatica ad esistere e ad esprimersi, ed è un vero peccato, per gli uomini, per le cose, per la grandezza delle anime, che comunque sopravvivranno, sempre...
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Links:
http://originicirotane.blogspot.it/2014/01/lettere-ara-marina-5-degrado-del.html
http://originicirotane.blogspot.it/2013/12/fontana-della-lice-e-torre-vecchia-ciro.html

mercoledì 9 luglio 2014

§ 098 090714 Dal 'Viaggio in Sicilia del Signor Barone di Riedesel'... nel tratto da Crotona a Cirò e fino a Cariati.


Fig. 1: forse l'osservazione della base della Colonna aiuta a capire la descrizione del tempio.
 Il brano che segue è tratto dall'edizione palermitana del 1821 del 'Viaggio attraverso la Sicilia e la Magna Grecia' ('Reise durch Sicilien und Gross Griecheland', Zurigo 1771), di Joseph Hermann, barone di Riedesel (1740-1785), qui nella traduzione di Gaetano Sclafani. Il viaggio del barone cominciò da Napoli il 10 marzo 1767, a bordo dello sciabecco del Re 'Santa Maria del Parco' e, dopo la visita all'isola dei Vicerè, il barone risalì la costa jonica calabrese, toccando Crotona (non è infrequente questa forma per 'Crotone', è solo più classica o ricercata: è quella adottata anche da Luigi Siciliani nel 'Giovanni Fràncica') e, il 15 maggio, Punta Alice, che tale è in tutta evidenza, nonostante l'errore di stampa ('Capo Alia', vedi figura 2)... Del resto, l'ubicazione del 'Capo' tra Crotona e Cariati, e l'indicazione successiva di questa località, cioè di 'capo Alia', posta ad inizio - o a chiusura, dipende dai punti di vista... - del Sinus Tarentinus, fuga ogni dubbio; e poi, parlando di sardella e di alici, di cosa si potrebbe parlare, se non di Punta Alice?
Figura 2: quello che ritengo essere un errore di stampa, ovvero 'Alia' in luogo di 'Alice'.
   In questi resoconti di viaggio non mancano gli spunti interessanti, anche se, a lungo andare,  si rassomigliano un po' tutti, soprattutto quando non riescono a sorprendere, cioè a staccarsi dai luoghi comuni, dalle infarinature storiche e geografiche del tempo, vieppiù quando il narratore rimane troppo lontano emotivamente dai contesti che visita. Credo di poter dire, però, che queste narrazioni andrebbero lette e interpretate con i dovuti approfondimenti: ritengo che esse siano sì passibili di una lettura per così dire 'di superficie', ma che spesso meriterebbero degli approfondimenti consistenti, magari legati a dettagli a prima vista trascurabili: la coltura della manna, ad esempio, di cui si cenna nel finale del brano che propongo, potrebbe fare da apripista per incursioni nell'economia di quel tempo, o nella monetazione, o nel sistema di riscossione dei tributi... ce ne sarebbero di nozioni da rivangare, ma per un non specialista come me va bene anche una godibile lettura 'di superficie'. Se poi qualcuno volesse approfondire...
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Figura 3: copertina interna del libro.
  Voi (1) al certo resterete maravigliato, come tutti questi avanzi di antichità si trovino sempre situati sotto le città attuali di Calabria. La ragione di ciò si è che tutte le città di questa provincia, a motivo della cattiva aria che vi regna durante il caldo sono state fabbricate sulle alture; ciò che non era così comune ai tempi antichi; la numerosa popolazione di questa contrada apponevasi allora alla cattiv'aria i di cui effetti perniciosi non erano affatto conosciuti in quei tempi.
   Trovai sul Capo di Mezzo, situato tra Capo Rizzuto e Capo Colonna, tre promontorj vicinissimi l'uno all'altro, gli avanzi di una città considerevole; essi consistono ìn un piccola tempio quadrato lungo, in cui vi si distingue ancora la nicchia, ov'era situata la statua della divinità ancorché le mura del tempio noni si sieno conservate che all'altezza di un palmo sul suolo; per altro è così piccolo, che havvi luogo a credere esser desso un tempio domestico destinato al culto de' lari; di più avvi un serbatojo d'acqua di forma quadrata fabbricato di mattoni. Lungo il mare veggonsi ancora delle fondamenta, ed alcuni pavimenti di mosaico, pajono avanzi di un antico palazzo. Io non oserò determinare quale abbia potuto essere questa città: Cluverio non ne dice niente nella sua Italia antica.

   Capo Colonna è il Promontorium Lacinium, vicino a Crotona, su cui era fabbricato il famoso tempio di Giunone Lacinia, di cui si sono conservati considerevolissimi avanzi. Questo tempio era dello stesso antico ordine dorico di quei di Pesto, di Girgenti, ec. La sua larghezza è di sessantasei de' miei passi, e la suà lunghezza di cento trenta due; questa misura approssimativa basta di farvi giudicare ch'esso era di una bella grandezza. Da un lato sussiste ancora parte de' muri della nave, in cui vi ho osservato una cosa singolarissima, cioè ch'essi erano fabbricati a strati alternativamente di pietra e di mattoni; il primo strato è di pietra, ed ha sette palmi e mezzo di altezza; il secondo, che non ho potuto misurare a causa della sua altezza, è di mattoni e reticolato; ora è cosa chiara che con ciò si ha voluto dare più leggerezza a tali mura. Io non vi dirò so a questo strato di mattoni ne succedeva un altro di pietre o se la fabbrica reticolata continua per tutto il resto dell'altezza del muro, dappoichè non se ne è conservato molto da poter giudicare: frattanto quest'ultimo sentimento mi sembra il più verisimile, perchè un nuovo strato di pietre avrebbe affondato i mattoni. Questo tempio, così come tutti quei che sono stati fabbricati dai Greci, è voltato verso l'oriente e vi si entrava dal lato dell'occidente. Non esiste più che una sola colonna di tutto l'edificio, ed ssa faceva parte della colonnata che passava dietro la nave; l'ordine di questa colonna, come ve l'ho detto, è antico dorico senza base, e non ha altro di notabile che la sua picciolezza in proporzione alla grandezza del tempio; di più essa non ha che venti scanalature invece di ventuna che trovansi in tutte le altre colonne di quest'ordine; questo è un fatto che posso affermare ed attestare avendole io stesso contate sino a tre o quattro volte. In questo tempio salivasi per quattro scalini, e scendevasi per quattr'altri. E' ancora una particolarità di questo tempio l'avere profondata la nave da quattro scalini, ognuno di un palmo e mezzo napolitano di altezza.
Figura 4: notare la didascalia... scoglio e colonna! (Particolare di una cartolina postale).

   Il pavimento della nave è coverto di terra che agevolmente potrebbesi levar via; ciò che servirebbe a far riconoscere più facilmente la forma dell'edificio, eccettochè il pavimento non fosse stato distrutto; dappoichè non ha molto tempo, che vi si è stata gettata tale terra in questo luogo, allora cioè che si fece la bella operazione di disotterrare i gradini delle facce laterali del tempio, non già, come voi potreste immaginarlo, per vederli e metterli a scoverto ma per torli via ed impiegarli alla costruzione del nuovo porto di Crotona. Essendomi lagnato coll'ingegnere di questo porto, egli credè calmarmi, dicendo che se ne vedeva bastantemente dagli avanzi del posticon per dispensarsi di conservare il resto di questo tempio. La situazione di esso è la più ammirabile che si potesse immaginare per un simile edificio: il promontorio su cui è fabbricato si estende otto miglia smo al mare, e da ogni lato godesi della veduta di un golfo, e di quella della vasta estensione della contrada che abbraccia ognuno di tali golfi. E' verisimile che la citta intiera di Crotona era situata in questo medesimo luogo, almeno dal giudicarne dalla quantità di vestigia di tombe e di case che vi si trovano; ma esse in vero sono in uno stato di degradazione così totale che non è possibile potervi riconoscere più niente.
   In questo medesimo sito io cercai la così detta scuola di Pitagora (Scuola pythagorica), di cui tanto ne avea sentito parlare, e di cui se ne trovavano ancora, mi si diceva, delle tracce molto apparenti: tutte le mie ricerche furono inutili, e dopo alcune informazioni più esatte che pigliai a Crotona, scovrii l'errore che ha dato luogo a questa congettura. Si è rappresentato il tempio di cui vi ho parlato, assai più piccolo di quello che non l'è stato, e sonosi prese le mura della nave per un edifizio particolare; allora necessariamente ha bisognato che fosse lì la scuola di Pitagora, poichè si sa che questo filosofo ha insegnato a Crotona: ma così potrebbesi eziandio agevolmente darsi a vedere la casa dell'atleta Milone, ch'era di Crotona. La Crotona attuale, situata nel golfo sei miglia distante da questo capo, è la città la più orribile dell'Italia e forse del mondo intero. La cattiva aria che regnavi, la spopola così fattamente, che non contiene più di cinque mila anime; il suo promontorio è appena conosciuto, e rassomiglia alla campagna di Roma. Il re vi fa scavare un porto in questa città, e sonovi più anni che vi si traraglia; già la spesa rimonta sino a cento ottanta mila ducati napolitani; frattanto i vascelli non vi restano sicuri nè per gettarvi l'ancora, nè per difendersi dai venti; di modo che è chiaro che questo principe è stato ingannato. Si dimostrano a Crotona tre iscrizioni latine, che sonosi conservate su certe tombe, ma esse nulla offrono d'interessante. Due di queste iscrizioni sono nel castello, e l'altra dinanzi la chiesa di S. Giuseppe: io le ho trovate rapportate in un buonissimo libro ch'è comparito il secolo passato sotto il titolo: Della Calabria illustrata del Padre Capuccino Fiore 1691.
Figura 5: una delle tante vedute della Colonna.

   Da Crotona io me ne passai, li 15 maggio, al capo d'Alia, situato in faccia alle coste della Barbaria, per cui i corsari spesso vi fanno degli sbarchi, oppure si nascondono al di dietro. La migliore specie di sardelle del Mediterranoo (alici) ha preso il suo nome italiano da questo promontorio, nelle di cui vicinanze havvi una pesca molto abbondante. Non lungi da lì vi è Cariati, vescovado della Calabria, che somministra la migliore manna: i possessori degli alberi da cui si raccoglie, sono obbligati di renderla tutta al re, quella della prima classe chiamata in cannolo per due carlini la libbra, e quella di una qualità inferiore chiamata in frasca, per otto grani: questa entrata è fissata per trenta due mila ducati. A Cariati ed a Strongoli si fanno le più abbondanti raccolte di manna.
   Solamente da qui incommcia il golfo di Taranto (sinus Tarentini), ancorchè Virgilio lo facesse andare sino a Crotona. Aeneid., lib III, v. 552.
    Hinc sinus Herculei, si vera est fama, Tarenti Cernitur. Adtollit se diva Lacinia contra. 
(Post da completare)
1 La forma allocutiva è dovuta al carattere 'epistolare' della narrazione: questo brano fa parte della seconda lettera del volume, dal barone indirizzata al 'celebre signor Winkelmann'.