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domenica 20 luglio 2014

§ 101 200714 Chjùda l'occhj, Chiudi gli occhi, con note.

Chjùda l'occhj
E para a mana[1]
Strincia sa jùnta[2] 'e amùra[3]
è šcura
Senta, sa jùnta è amùru[4]
è šcuru[5]
Ma un ti špagnàrə[6]
C'un ti parràmu[7]
Su' eccussì beddi[8]
si penzèri di toj
'nta s'occhj 'e zingarèdda[9]
e tunə[10], citta 
citta[11]
jùncia i mani
e rapa s'occhj stritti stritti
ca addùvə ajùncin ni parràmi[12].

Chiudi gli occhi
e apri la mano
stringi questo pugno di more
sono rosse
Senti, questo pugno d'amore
è buio
Ma non aver paura
ché non ti faccio cadere
sono così belli
questi pensieri che hai 
nei tuoi occhi di zingarella
e tu, zitta
zitta
unisci le mani
e apri quegli occhi stretti stretti
che fin dove arrivano ci parliamo.




[1] Chiudere gli occhi e aprire la mano mostrandone il palmo era atto ricorrente nei giochi dell’infanzia, o semplicemente nella ‘cerimonia di consegna’ di qualche piccolo dono o ‘sorpresina’.
[2] Una ‘junta’ è la quantità contenuta nelle mani giunte, ‘a giumella’… praticamente il doppio di nu pugnu’, quantità contenuta in una sola mano… misure da prendersi con beneficio d’inventario.
[3] ‘Amùra’, collettivo femminile per ‘more’, ‘’amura ‘e cèuza’’, o ‘’ ‘e ruvèttu’’, comunque nere o rosse, ‘’šcura’’, come detto in seguito.
[4] Il gioco è tra le more scure e l’amore ora che è ‘’šcuru’’, buio e la ragzza potrebbe avere paura…
[5] ‘S’ iniziale rigorosamente palatalizzata.
[6] Quale paura? Quella delle more che potrebbero essere ‘parramate’, cioè fatte cadere dall’albero - anche se, in verità, ‘parramare’ significa ‘abbacchiare’, far cadere noci, olive, o altro, dai rami percuotendo questi ultimi con un bastone o pertica – oppure la paura della giovane amata che potrebbe, come le more, ‘cadere’, cedere alle lusinghe dell’innamorato? 
[7] Quindi: non aver paura, non ti indurrò in tentazione…
[8] E come potrebbe farla ‘cadere’? Sono così belli e puri, i pensieri di quella giovane, incastonati nei suoi occhi da piccola gitana…
[9] Sembra niente vero? E invece in questa parola abbiamo due caratteristiche salienti: la ‘z’ sorda e la doppia ‘d’ che, forse solo in cirotano, non è cacuminale.
[10] Con questa specie di ‘e’ capovolta si indica quella ‘e’ indistinta tanto frequente in posizione mediana in tanti dialetti, e soprattutto in posizione finale nel dialetto cirotano.
[11] Citta, citta… quieta quieta, il tipico raddoppiamento, una caratteristica del dialetto cirotano e calabrese.
[12] Dopo la premessa, l’invito ad aprire quegli occhi stretti stretti, superando la paura, ed unendo le mani, per spingersi solo fin dove le mani e gli occhi possono ‘’arrivare’’. La pronuncia dell’equivalente cirotano per ‘fin dove arrivano ne parliamo’ e per ‘fin dove arrivano le faccio cadere’ (le more di cui sopra) è praticamente identica, e anche in questo risiede il gioco di parole. 

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