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mercoledì 9 luglio 2014

§ 098 090714 Dal 'Viaggio in Sicilia del Signor Barone di Riedesel'... nel tratto da Crotona a Cirò e fino a Cariati.


Fig. 1: forse l'osservazione della base della Colonna aiuta a capire la descrizione del tempio.
 Il brano che segue è tratto dall'edizione palermitana del 1821 del 'Viaggio attraverso la Sicilia e la Magna Grecia' ('Reise durch Sicilien und Gross Griecheland', Zurigo 1771), di Joseph Hermann, barone di Riedesel (1740-1785), qui nella traduzione di Gaetano Sclafani. Il viaggio del barone cominciò da Napoli il 10 marzo 1767, a bordo dello sciabecco del Re 'Santa Maria del Parco' e, dopo la visita all'isola dei Vicerè, il barone risalì la costa jonica calabrese, toccando Crotona (non è infrequente questa forma per 'Crotone', è solo più classica o ricercata: è quella adottata anche da Luigi Siciliani nel 'Giovanni Fràncica') e, il 15 maggio, Punta Alice, che tale è in tutta evidenza, nonostante l'errore di stampa ('Capo Alia', vedi figura 2)... Del resto, l'ubicazione del 'Capo' tra Crotona e Cariati, e l'indicazione successiva di questa località, cioè di 'capo Alia', posta ad inizio - o a chiusura, dipende dai punti di vista... - del Sinus Tarentinus, fuga ogni dubbio; e poi, parlando di sardella e di alici, di cosa si potrebbe parlare, se non di Punta Alice?
Figura 2: quello che ritengo essere un errore di stampa, ovvero 'Alia' in luogo di 'Alice'.
   In questi resoconti di viaggio non mancano gli spunti interessanti, anche se, a lungo andare,  si rassomigliano un po' tutti, soprattutto quando non riescono a sorprendere, cioè a staccarsi dai luoghi comuni, dalle infarinature storiche e geografiche del tempo, vieppiù quando il narratore rimane troppo lontano emotivamente dai contesti che visita. Credo di poter dire, però, che queste narrazioni andrebbero lette e interpretate con i dovuti approfondimenti: ritengo che esse siano sì passibili di una lettura per così dire 'di superficie', ma che spesso meriterebbero degli approfondimenti consistenti, magari legati a dettagli a prima vista trascurabili: la coltura della manna, ad esempio, di cui si cenna nel finale del brano che propongo, potrebbe fare da apripista per incursioni nell'economia di quel tempo, o nella monetazione, o nel sistema di riscossione dei tributi... ce ne sarebbero di nozioni da rivangare, ma per un non specialista come me va bene anche una godibile lettura 'di superficie'. Se poi qualcuno volesse approfondire...
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Figura 3: copertina interna del libro.
  Voi (1) al certo resterete maravigliato, come tutti questi avanzi di antichità si trovino sempre situati sotto le città attuali di Calabria. La ragione di ciò si è che tutte le città di questa provincia, a motivo della cattiva aria che vi regna durante il caldo sono state fabbricate sulle alture; ciò che non era così comune ai tempi antichi; la numerosa popolazione di questa contrada apponevasi allora alla cattiv'aria i di cui effetti perniciosi non erano affatto conosciuti in quei tempi.
   Trovai sul Capo di Mezzo, situato tra Capo Rizzuto e Capo Colonna, tre promontorj vicinissimi l'uno all'altro, gli avanzi di una città considerevole; essi consistono ìn un piccola tempio quadrato lungo, in cui vi si distingue ancora la nicchia, ov'era situata la statua della divinità ancorché le mura del tempio noni si sieno conservate che all'altezza di un palmo sul suolo; per altro è così piccolo, che havvi luogo a credere esser desso un tempio domestico destinato al culto de' lari; di più avvi un serbatojo d'acqua di forma quadrata fabbricato di mattoni. Lungo il mare veggonsi ancora delle fondamenta, ed alcuni pavimenti di mosaico, pajono avanzi di un antico palazzo. Io non oserò determinare quale abbia potuto essere questa città: Cluverio non ne dice niente nella sua Italia antica.

   Capo Colonna è il Promontorium Lacinium, vicino a Crotona, su cui era fabbricato il famoso tempio di Giunone Lacinia, di cui si sono conservati considerevolissimi avanzi. Questo tempio era dello stesso antico ordine dorico di quei di Pesto, di Girgenti, ec. La sua larghezza è di sessantasei de' miei passi, e la suà lunghezza di cento trenta due; questa misura approssimativa basta di farvi giudicare ch'esso era di una bella grandezza. Da un lato sussiste ancora parte de' muri della nave, in cui vi ho osservato una cosa singolarissima, cioè ch'essi erano fabbricati a strati alternativamente di pietra e di mattoni; il primo strato è di pietra, ed ha sette palmi e mezzo di altezza; il secondo, che non ho potuto misurare a causa della sua altezza, è di mattoni e reticolato; ora è cosa chiara che con ciò si ha voluto dare più leggerezza a tali mura. Io non vi dirò so a questo strato di mattoni ne succedeva un altro di pietre o se la fabbrica reticolata continua per tutto il resto dell'altezza del muro, dappoichè non se ne è conservato molto da poter giudicare: frattanto quest'ultimo sentimento mi sembra il più verisimile, perchè un nuovo strato di pietre avrebbe affondato i mattoni. Questo tempio, così come tutti quei che sono stati fabbricati dai Greci, è voltato verso l'oriente e vi si entrava dal lato dell'occidente. Non esiste più che una sola colonna di tutto l'edificio, ed ssa faceva parte della colonnata che passava dietro la nave; l'ordine di questa colonna, come ve l'ho detto, è antico dorico senza base, e non ha altro di notabile che la sua picciolezza in proporzione alla grandezza del tempio; di più essa non ha che venti scanalature invece di ventuna che trovansi in tutte le altre colonne di quest'ordine; questo è un fatto che posso affermare ed attestare avendole io stesso contate sino a tre o quattro volte. In questo tempio salivasi per quattro scalini, e scendevasi per quattr'altri. E' ancora una particolarità di questo tempio l'avere profondata la nave da quattro scalini, ognuno di un palmo e mezzo napolitano di altezza.
Figura 4: notare la didascalia... scoglio e colonna! (Particolare di una cartolina postale).

   Il pavimento della nave è coverto di terra che agevolmente potrebbesi levar via; ciò che servirebbe a far riconoscere più facilmente la forma dell'edificio, eccettochè il pavimento non fosse stato distrutto; dappoichè non ha molto tempo, che vi si è stata gettata tale terra in questo luogo, allora cioè che si fece la bella operazione di disotterrare i gradini delle facce laterali del tempio, non già, come voi potreste immaginarlo, per vederli e metterli a scoverto ma per torli via ed impiegarli alla costruzione del nuovo porto di Crotona. Essendomi lagnato coll'ingegnere di questo porto, egli credè calmarmi, dicendo che se ne vedeva bastantemente dagli avanzi del posticon per dispensarsi di conservare il resto di questo tempio. La situazione di esso è la più ammirabile che si potesse immaginare per un simile edificio: il promontorio su cui è fabbricato si estende otto miglia smo al mare, e da ogni lato godesi della veduta di un golfo, e di quella della vasta estensione della contrada che abbraccia ognuno di tali golfi. E' verisimile che la citta intiera di Crotona era situata in questo medesimo luogo, almeno dal giudicarne dalla quantità di vestigia di tombe e di case che vi si trovano; ma esse in vero sono in uno stato di degradazione così totale che non è possibile potervi riconoscere più niente.
   In questo medesimo sito io cercai la così detta scuola di Pitagora (Scuola pythagorica), di cui tanto ne avea sentito parlare, e di cui se ne trovavano ancora, mi si diceva, delle tracce molto apparenti: tutte le mie ricerche furono inutili, e dopo alcune informazioni più esatte che pigliai a Crotona, scovrii l'errore che ha dato luogo a questa congettura. Si è rappresentato il tempio di cui vi ho parlato, assai più piccolo di quello che non l'è stato, e sonosi prese le mura della nave per un edifizio particolare; allora necessariamente ha bisognato che fosse lì la scuola di Pitagora, poichè si sa che questo filosofo ha insegnato a Crotona: ma così potrebbesi eziandio agevolmente darsi a vedere la casa dell'atleta Milone, ch'era di Crotona. La Crotona attuale, situata nel golfo sei miglia distante da questo capo, è la città la più orribile dell'Italia e forse del mondo intero. La cattiva aria che regnavi, la spopola così fattamente, che non contiene più di cinque mila anime; il suo promontorio è appena conosciuto, e rassomiglia alla campagna di Roma. Il re vi fa scavare un porto in questa città, e sonovi più anni che vi si traraglia; già la spesa rimonta sino a cento ottanta mila ducati napolitani; frattanto i vascelli non vi restano sicuri nè per gettarvi l'ancora, nè per difendersi dai venti; di modo che è chiaro che questo principe è stato ingannato. Si dimostrano a Crotona tre iscrizioni latine, che sonosi conservate su certe tombe, ma esse nulla offrono d'interessante. Due di queste iscrizioni sono nel castello, e l'altra dinanzi la chiesa di S. Giuseppe: io le ho trovate rapportate in un buonissimo libro ch'è comparito il secolo passato sotto il titolo: Della Calabria illustrata del Padre Capuccino Fiore 1691.
Figura 5: una delle tante vedute della Colonna.

   Da Crotona io me ne passai, li 15 maggio, al capo d'Alia, situato in faccia alle coste della Barbaria, per cui i corsari spesso vi fanno degli sbarchi, oppure si nascondono al di dietro. La migliore specie di sardelle del Mediterranoo (alici) ha preso il suo nome italiano da questo promontorio, nelle di cui vicinanze havvi una pesca molto abbondante. Non lungi da lì vi è Cariati, vescovado della Calabria, che somministra la migliore manna: i possessori degli alberi da cui si raccoglie, sono obbligati di renderla tutta al re, quella della prima classe chiamata in cannolo per due carlini la libbra, e quella di una qualità inferiore chiamata in frasca, per otto grani: questa entrata è fissata per trenta due mila ducati. A Cariati ed a Strongoli si fanno le più abbondanti raccolte di manna.
   Solamente da qui incommcia il golfo di Taranto (sinus Tarentini), ancorchè Virgilio lo facesse andare sino a Crotona. Aeneid., lib III, v. 552.
    Hinc sinus Herculei, si vera est fama, Tarenti Cernitur. Adtollit se diva Lacinia contra. 
(Post da completare)
1 La forma allocutiva è dovuta al carattere 'epistolare' della narrazione: questo brano fa parte della seconda lettera del volume, dal barone indirizzata al 'celebre signor Winkelmann'.





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