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venerdì 16 maggio 2014

§ 082 160514 La riforma del Calendario (segue dal 'Giornale Arcadico...)


Il post relativo all'abate Calandrelli si chiudeva con un vago 'sarà continuato': ecco il seguito, apparso nel tomo III, Luglio, Agosto, e Settembre 1819, del 'Giornale Arcadico, di scienze, lettere, ed arti'. Il testo è alquanto lungo, ma per la completezza della trattazione viene postato nella sua interezza. Come se non bastasse, per i più interessati o indomabili, apparirà anche una terza puntata... Le due parti qui presentate sono apparse nello stesso tomo del 'Giornale', occupandone le pagine da 237 a 242 e da 356 a 378, che, sommandosi alle pagine da 404 a 415 del tomo II (vedere link in basso), formano in pratica un piccolo saggio a se stante.
Per la prima parte, ecco il link:
http://originicirotane.blogspot.it/2014/05/proprio-interessante-questo-giornale.html

giovedì 15 maggio 2014

§ 081 150514 Intanto, Giano Lacinio...

   Proviamo a piazzare il primo tassello per quel che riguarda Giano Lacinio, nella speranza che altri ne seguano, magari di provenienza vizziana...
Estratto da una pagina di 'Presidio Romano overo della Milizia Ecclesiastica, libri III, di Gio: Pietro Crescenzi Romani, 1648.
103. Sono le Nubi figlie di que' vapori, da cui sorsero di già gli Vccelli: non è egli dunque meraviglia, se così questi, come quelli s'inalzano per l'aria. Il Pererio osservò certe simboleità trà le cose prodotte, e gli Elementi, da cui furo prodotte: come trà Pesci, e l'Acqua, trà le nubi e gli Vccelli, trà gli Animali, e la Terra, tra le Stelle, e il Cielo. Quelli, che trattano di Nobiltà, apprezzano molto più le Casate Illustri anco da canto di femmine, che quelle, lo splendore di cui solo vieneda' maschi: e è la lor ragione, perche se bene al parere delle Scuole la femmina non somministra, che la materia, e dall'huomo venga la forma, è però semprepiù nobile il composto, quando á nobile forma è soggetta nobil materia. Gli alchimisti, e con essi Giano Lacinio presso il Cardano, e Antonio Mirandolano gran Filosofo provano, che iMetalli ponno con arte tramutarsi naturalmente in oro, perche hanno con l'oro la materia comune: Dottrina, che di Avicenna portò Alberto Magno. Filosofiamo adunque à questo modo nelle cose morali...
   Vediamo come tratta la 'Pretiosa margarita novella', e di conseguenza il nostro Giano Lacinio, Cesare Vasoli nel 'Dizionario biografico degli italiani', volume 12, 1971, alla voce Bono, Pietro (Bono Lombardo).
   Sottolineo un 'ferrarius'... chissà perché, devo tornarci su, ma nei destinatari delle epistole del Casopero, il vocativo 'ferrario' è abbastanza ricorrente, che si tratti di coincidenze o di una 'scuola' ferrarese attiva ancora ai tempi di Giano Lacinio.
   Strano destino, quello della 'Pretiosa...', finora non tradotta in italiano, per quel che ne so, se non in parte (rimarco i miei dubbi): Moreno B. Miorelli, Pretiosa margarita novella, 4° canto, Kellerman 1994.
   Per quanto riguarda il volume del Miorelli non sono riuscito ad ottenere altre informazioni, per cui attendo che me ne arrivi una copia per saperne e dirne di più... (magari ho preso un abbaglio!)
Per la versione inglese dell'opera:
 https://archive.org/details/newpearlofgreatp00laciiala
Per le versioni latine... fate voi.
Dalla edizione di Norimberga, 1554.
  
Ecco la nota del Vasoli (fonte Treccani.it):
   ''Solo scarse notizie si possiedono sulla vita del B., autore di un trattato di alchimia, la Pretiosa margarita novella, a quanto attesta l'explicit dello stesso trattato nei codici più accreditati, in cui egli è chiamato "magister Bonus Lombardus de Ferraria" ed è definito "fisico", ossia dottore in medicina. L'explicit aggiunge che l'opera fu composta nell'anno 1330 a Pola "in provincia Ystriae". E in fine del trattato l'autore dichiara inoltre di avere già composto una quaestio simile, quando si trovava a Traù nel 1323 (e potrebbe forse trattarsi della redazione contenuta nel ms. Lat. 299 = α. M. 8. 16 della Biblioteca Estense di Modena: cfr. anche G. Tiraboschi, Storia della letter. ital., II, Milano 1833, p. 311).
   Al di fuori di queste notizie non si possiede altro riferimento sicuro sulla persona del B., che è stato talvolta identificato con Pietro Buono Avogaro, professore di astronomia e astrologia a Ferrara nella seconda metà del Quattrocento: identificazione non suffragata da alcuna prova, contro la quale ostano vari argomenti giustamente valutati dal Thorndike (pp. 147 s.: fra l'altro, il cognome "Avogaro" non ricorre mai nella tradizione manoscritta, e d'altra parte non sono noti particolari interessi alchimistici dell'Avogaro, mentre l'autore della Pretiosa margarita novella dimostra, a sua volta, di attribuire scarsa importanza all'astrologia e alla sua conoscenza per il compiuto possesso dell'arte alchimistica). La concordanza dei nomi e del luogo di origine non ha del resto un gran valore, perché il nome di Pietro Bono (o Buono) è molto diffuso sia a Ferrara sia in altre città dell'Italia settentrionale, come provano numerosi esempi citati sempre dal Thorndike (pp. 148 ss.). Tra l'altro è da ricordare che il Tiraboschi (pp. 311 s.), citando un Opuscolum de doctrina virtutum et fuga vitiorum, opera di un Pietro Buono da Mantova che si dichiara esiliato dalla sua città, avanza l'ipotesi di una sua identificazione col B., che avrebbe dunque soggiornato durante l'esilio a Ferrara e poi a Pola. Un'altra possibile identificazione lo stesso Tiraboschi propone con l'alchimista noto con il nome di "frater Ferrarius", autore di un'opera sulla pietra filosofale (edita sotto il nome evidentemente deformato di "Efferarius", in Verae alchemiae doctrinae, Basileae 1561, II, pp. 232-237): ma anche in questo caso, senza alcuna prova oggettiva (e il fatto che il B. autore della Pretiosa margarita novella non sia mai qualificato come frate o comunque come appartenente allo stato ecclesiastico toglie ogni verisimiglianza all'ipotesi).
   Accettabile sembra la datazione al 1330 fornita dai manoscritti, che appare confermata dal fatto che nella Pretiosa margarita novella non vengono citati autori, come Alberto Magno, Tommaso d'Aquino, Ruggero Bacone, Arnaldo da Villanova e Raimondo Lullo per le opere alchimistiche loro attribuite (Thorndike, pp. 150 s.); più tardi, sarebbe stato impossibile che uno studioso e praticante di alchimia ignorasse opere ormai largamente diffuse e comunemente commentate, discusse e adoperate. È vero che la Pretiosa margarita novella non viene citata in altre importanti opere alchinustiche del Trecento o, addirittura, del Quattrocento; ma la circostanza non appare del tutto straordinaria, dato il carattere particolare della circolazione dei testi alchimistici.
   Comunque, a parte la circolazione manoscritta, la Pretiosa margarita novella deve la sua discreta influenza sulla letteratura alchimistica del Cinquecento all'edizione - che in effetti è una rielaborazione in forma ridotta, insieme con testi provenienti da altre opere alchimistiche - stampata a Venezia, per i tipi aldini, nel 1546. L'autore di questa edizione, che si presenta sotto il nome di Giano Lacinio (ma sarebbe in realtà il francescano calabrese Giovanni da Crotone, secondo G. C. Sbaralea, Supplementum... ad scriptores trium Ordinum s. Francisci, II, Romae 1921, p. 22), mostra di considerare la Pretiosa margarita novella come opera di un contemporaneo di Alberto Magno, Lullo e Arnaldo da Villanova.
Il trattato è stato più volte ripubblicato: a Venezia nel 1557; in forma ridottissima, insieme con gli altri testi editi dal Lacinio, a Norimberga nel 1554; poi, a Basilea nel 1572, a Mömpelgard nel 1602, a Strasburgo nel 1608. Queste tre ultime edizioni recano un testo uguale a quello del codice del British Museum, Harleian. 672 studiato dal Thorndike; ed è questo il testo ristampato più tardi nelle classiche collezioni alchimistiche di L. Zetzner e di J. J. Manget nelle loro diverse edizioni. L'opera fu tradotta in tedesco a Lipsia nel 1714 da W. G. Stollen, ed ha avuto più recentemente anche una versione e riduzione inglese di A. E. Waite (The New Pearl of Great Price, London 1894).
   La Pretiosa margarita novella è un manuale pratico di alchimia, anzi potremmo dire di divulgazione dell'arte alchimistica; il che non toglie che l'opera risulti lunga e prolissa - più della maggior parte degli altri trattati alchimistici - e mostri la tendenza a dare una formulazione e un andamento tipicamente "scolastici" alla trattazione della materia, rivelando la mentalità professorale del suo autore. Questi d'altro canto non perde un'occasione per insistere sulla natura veramente "mistica" dell'opera alchimistica; così come è sempre propenso ad inserire nel suo discorso concetti e termini di natura schiettamente filosofica, anzi a cercare una giustificazione della sua arte nei canoni della "fisica" e della filosofia aristotelica della natura.     
   Proprio per questo discute minutamente gli argomenti contro l'alchimia contenuti nel testo allora corrente del quarto libro delle Meteore, sostenendo che essi non rispecchiano il genuino pensiero di Aristotele, il quale sarebbe invece perfettamente espresso nel Secretum Secretorum. Egli sa, e lo dichiara, che la paternità aristotelica di quest'opera è stata posta in serio dubbio, ma ritiene che la testimonianza di Haly sia argomento sufficiente per attribuire senz'altro il Secretum allo Stagirita. Anzi la sua fede nella piena conciliabilità tra la pratica alchimistica e la filosofia aristotelica è tale da indurlo a confortare le proprie dottrine con citazioni della Metaphysica, dell'Organon, del De anima e della Historia animalium.
   Il rapporto dell'alchimia con la filosofia naturale è simile a quello che connette la medicina alla stessa naturalis philosophia: come il medico mira con la sua arte a preservare la salute, curare le malattie e ristabilire l'equilibrio naturale, così anche l'alchimista ha come scopo la cura e il perfezionamento dei "metalli vili"; egli vuole trasformare in oro quei metalli imperfetti che non hanno ancora raggiunto il loro ultimo stadio di perfezione.
   Il B. ritiene del tutto indiscutibile il principio della relativa "imperfezione" dei "metalli vili e questi sono però naturalmente "ordinati" a diventare oro, e costituiscono insomma i gradi "medii" di una "scala" che ha come estremi, da un lato, l'argento vivo e lo zolfo, dall'altro, l'oro e l'argento. Perciò l'alchimista potrà operare facilmente su di loro, giacché sono in uno stadio avanzato lungo la via che li porterà a diventare oro.
   Quanto al carattere particolare che distingue l'alchimia da tutte le altre arti e scienze, il B. non ha difficoltà ad ammettere che essa si fonda più su di un'ispirazione di carattere divino ed iniziatico che sulla rigorosa argomentazione scientifica. Confessa che è impossibile addurre ragioni sufficienti per spiegare la "pietra filosofale" e che l'operazione alchemica esige, soprattutto, una fede profonda. Proprio perché mancavano di questa fede, gli antichi alchimisti fallirono nei loro propositi e non, raggiunsero quel segreto divino, trascendente la natura e l'esperienza, nel quale consiste tutta la potenza e superiorità dell'arte.
L'aspetto più interessante della Pretiosa margarita novella è costituito dai frequenti e vasti riferimenti ai testi e agli autori classici della tradizione alchimistica, come Geber, Morienus, Senior, il Lilium, Haly, Razis, le cosidette Scoliae e Stellicae miticamente attribuite a Platone, Alphidius, ecc. Non si citano invece esplicitamente gli autori latini, che sono però indicati in modo generico come i "moderni" e contrapposti agli "antiqui". Tuttavia il Thorndike segnala l'utilizzazione della versione-esposizione del De mineralibus attribuita ad Aristotele, opera di Alberto Magno. Non mancano inoltre citazioni di opere di medicina (Galeno e Avicenna) e di astrologia (Abū Ma`shar).
   Come gran parte dei trattati di alchimia del tempo, la Pretiosa margarita novella dedica solo una parte, del resto abbastanza sviluppata e ricca di notizie interessanti anche per la storia della tecnologia trecentesca, allo studio delle operazioni effettive necessarie per la pratica alchimistica. In questo il trattato non si allontana da quegli insegnamenti comuni e divulgati (operare solo sui metalli e non sugli altri minerali, considerare l'argento vivo come la causa materiale della pietra filosofale e lo zolfo come l'"agente", ecc.) che s'incontrano nei vari scritti attribuiti ad Alberto Magno, Ruggero Bacone e Arnaldo di Villanova. Si distingue però per la notevole semplicità dei procedimenti proposti e per la sua natura di manuale pratico, scritto per un pubblico di "fisici" e professori scolastici.
    Bibl.: L. Thorndike, A History of magic and experimental Science, III, New York 1934, pp. 147-162; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I London-Leiden 1963, pp. 315, 379.''

martedì 13 maggio 2014

§ 080 130514 Giuseppe Calandrelli: 'Del Calendario Gregoriano, e dell'astronomia Romana: notizie storiche'.

Proprio interessante, questo 'Giornale Arcadico', animato da una sana voglia di conoscenza e divulgazione scientifica, artistica, letteraria, come è più o meno compendiato nella testata... Sarei tentato di scommettere (e con chi, poi?) che il mio amato G.F. Pugliese ne fosse un assiduo lettore nonché abbonato.
In questo tomo II° del 1819 troviamo un articolo dell'abate Calandrelli che affronta il tema della Riforma Gregoriana ('Liliana' direi, per amor di patria), e, forse in misura anche maggiore, la vicenda della Specula Vaticana. Nel pezzo l'autore muove alcune eccezioni alla primogenitura della scoperta liliana, ma, a mio modestissimo parere, tali 'eccezioni' possono rientrare nell'ambito di un onesto scavo cognitivo: in fondo, dal superamento dei dubbi e delle incertezze il genio del medico e astronomo psicroneo non può che uscirne rafforzato. Ed inoltre, il fatto che Luigi Giglio abbia trovato la soluzione al problema del ricalcolo del tempo (per dirla in maniera forse semplicistica) non vuol dire che debba cancellare dalla storia l'impegno, più o meno fortunato, di altri studiosi... non è e non deve essere questo lo spirito della ricerca, trattandosi di una disposizione intellettuale che dovrebbe essere sempre super partes... almeno credo.
Con questo scritto del Calandrelli vorrei aggiungere un altro punto di vista sull'opera di Luigi Giglio, sulla cui vita rimangono sempre e comunque dei punti oscuri, sconosciuti, concentrati soprattutto nella sua improvvisa 'sparizione', almeno dai dati documentari. Sarebbe una vera scoperta riuscire a sapere dove e quando morì. Ovviamente la storia, anche quella dei singoli, si sostanzia di fatti, di date, di opere più o meno considerevoli. Di Luigi Giglio, dopo un certo periodo - più che dopo una certa data, forse - non si sa più nulla, e questo può essere molto intrigante per gli studiosi della sua vita. Troviamo, in Venezia, dopo la sparizione di Lilio, due fratelli, Alvise e Domenico Giglio (o Lilio, latinamente, o Zio, alla veneziana, volendo), e per un attimo sono stato tentato dalla possibilità di scoprire un collegamento tra queste due coppie di fratelli... ma è stata solo la fola, la fantasticheria, di un attimo: non vi è collegamento alcuno, tra le due coppie di fratelli, la cirotana e la veneziana, ma ogni tanto bisogna concedersi anche qualche distrazione 'gialla' o 'noir'... Antonio e Luigi che diventano Domenico e Alvise, onesti, quasi oscuri, stampatori in esilio in laguna... ma dài....
Tornando alle fonti e ai fatti, a pagina 405 del 'Giornale Arcadico' si accenna ad un'opera del gesuita geografo di Sua Maestà Imperiale Leonardo Ximenes, dal 'Del vecchio e nuovo gnomone fiorentino e delle osservazioni astronomiche fisiche ed architettoniche fatte per verificarne la costruzione', il cui rimando ho inserito al termine dell'articolo del Calandrelli. Forse, introducendo il volume dello Ximenes, si comincia a capire il secolare interesse 'toscano' per l'astronomia e anche per Lilio.

 

sabato 10 maggio 2014

§ 079 100514 Luigi Giglio, per Carlo Antonio de Rosa, Marchese di Villarosa.

Il sonetto di cui allo scritto precedente ('E questo chi è?') lo dobbiamo a Carlo Antonio de Rosa, Marchese di Villarosa (Napoli 1762 - ivi 1847); pur nella brevità e schematicità metrica del sonetto, il Marchese riesce a 'far dire' a Luigi Giglio alcuni degli aspetti principali della missione di cui il Cirotano si fece carico, almeno per quel che concerne la riforma del calendario, il tutto organizzando in maniera tale che non ritengo necessarie ulteriori spiegazioni. Ad evitare rilievi oziosi, rimarco che nella nota 1 al 'Sonetto' medesimo vi è un refuso, o svista, o svarione, più che evidente, cioè quell'anno di nascita fatto risalire al 1580 anziché al 1510...
E comunque, mi piace segnalare ancora le parole di Gio: Vittorio Rossi, alias Giano Nicio Eritreo:
'Hic Medicus ac Philosophus doctissimus solus perfecit, quo multi exogitarunt, pauci attigerunt, nemo persolvit'... 'Questo medico e filosofo dottissimo solo riuscì, dove molti si arrovellarono, pochi si avvicinarono, e nessuno ci colse': la traduzione è scherzosa - questo sia chiaro - a proposito del magistero liliano, e di quel 'solus' riportato con apparente indifferenza - in realtà con voluta ambiguità - dal sottoscritto. Vabbè...
  
Il capitolo relativo all'astronomo cirotano si trova nel primo dei due volumi che compongono i 'Ritratti poetici di alcuni uomini antichi e moderni del Regno di Napoli', apparsi a Naoli nel 1834, Stamperia e Cartiera del Fibreno, e possiamo desumerne che, almeno nella prima metà del XIX sec., la fama del cirotano reggeva il paragone con gli altri intellettuali più in vista del Regno di Napoli e non solo di quello, come lo stesso marchese fa dire al Giglio: 
Se plausi meritò la Bruzia gente 
Per opre eccelse de' suoi dotti figli, 
Ed i lor fasti lodansi sovente, 
Gloria le accrebbi pur co' miei consigli, 
Che Roma accolse, e mi credè valente (...)





 

§ 078 100514 E questo chi è?

... ve lo dico alla prossima puntata; l'identità del 'parlante' è evidente, ma di questo classico sonetto voglio parlare con più calma: perizia nell'uso dei metri e nella sintesi dell'opera del personaggio qui 'illustrato' - e al quale viene data voce - mi sembra che vadano di pari passo.


Sia pur dell'anno incerta la misura,
E ancor dubbio il girar in ciel le stelle,
Investigar saprò ben la natura,
Prevedendo le calme e le procelle.

La difficil celeste alma figura 
A' sguardi miei non si mostrò ribelle,
Ché ogni studio adoprai ed ogni cura 
Sue fasi a rintracciar viete e novelle.

Se plausi meritò la Bruzia gente 
Per opre eccelse de' suoi dotti figli,
Ed i lor fasti lodansi sovente,

Gloria le accrebbi pur co' miei consigli,
Che Roma accolse, e mi credè valente 
Onde l'anno innovar senza perigli.