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sabato 30 agosto 2014

§ 111 300814 Domenico Amoruso, Memorie di una famiglia. A capiddina, il DDT.

Di Domenico Amoruso, zzu Micucciu, (1916-2013), ricordo soprattutto lo scambio di lettere che intratteneva, lui emigrato a Moncalieri, con mio padre rimasto nel paese natale. E poco altro, come le cento lire che mi diede in premio per aver risposto immediatamente 'Amatore Sciesa!' alla sua domanda 'Chi disse tiremm innanzi?'; l'ultima volta che l'ho visto era ormai quasi cieco e appesantito dal dolore per la morte imminente di mio padre... lo trovai piccolo e imponente, fuor di ossimoro.
E' alquanto singolare - e importante - che un uomo 'di altri tempi', tempi assolutamente estranei alle comodità dell'informatica, abbia voluto lasciare queste memorie scritte con caparbietà e fatica, con l'intento - risultato poi vano - di farne un libro i cui proventi sarebbero dovuti essere devoluti ai Padri Passionisti. Caro zio... non poteva certo sapere, e probabilmente nemmeno immaginare, quanto candore ci fosse in quel suo intento. 
Rimane una importante attestazione familiare, a volte incerta, per il peso che gli anni esercitano sulla memoria, spesso claudicante quanto a scrittura, come è ovvio, come ci si può aspettare da una persona che non ha avuto la fortuna, per censo, solo per censo, di poter proseguire gli studi. Ma non c'è supponenza nell'enunciato, vi è invece la soddisfazione, la consapevolezza, di rovesciare il piatto: sembra quasi uscire sconfitto, dalla lettura del 'libro', il detto 'in piatto poco cupo poco pepe cape': pepe e piatto si adeguano a vicenda, si 'corrispondono', e le parole dicono quel tanto che vogliono 'significare', anche quando sembra che vogliano inoltrarsi in ambiti più difficili, come la storia di Cirò o la situazione italiana durante i due conflitti mondiali. E' una voce che narra, a parenti, amici, conoscenti, seduti intorno alla ruota in legno del braciere, al cui interno vive il fuoco, piccolo o grande non importa, della storia vissuta, cioè la memoria... quella che i libri possono cercare di tramandare, ma che i lettori devono saper recepire per farsene a loro volta custodi e portatori.

Il passo che propongo viene riprodotto pari pari, ben lungi dal sottoscritto l'idea di emendarlo, edulcorarlo o renderlo più 'letterario' (sempre ammesso che io ne sia capace). E allora ecco cosa diceva zio Micuccio, errori compresi, a proposito di materassi, pulci, peronospera e DDT.
Erano i tempi, quelli del DDT, in cui i bambini si 'carusàvano', cioè venivano rapati a zero per eliminare le 'residenze' di lendini e pidocchi, e il termine 'cercare', usato in senso assoluto, senza complemento oggetto, significava liberare i capelli da quegli ospiti indesiderati, come fanno le scimmie a Superquark... Fortunatamente oggi basta scaricare una App, e con pochi clic sulla tastiera dello smartphone si possono avere teste immediatamente e perennemente disabitate... 
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Per quanto la parola verme possa apparire piccola ed insignificante, nominabile quasi con indifferenza, in realtà questo termine si poteva associare ad un vero flagello per il coltivatore di vigneti. Questo piccolo viscido esserino era infatti capace di mettere in crisi tutta la viticoltura del tempo, per chi di più per chi di meno, tanto da potersi paragonare ad una epidemia... era un'infezione come la peste, incurabile, non esistevano infatti preparati per poterla combattere e garantire così una perdita più esigua del prodotto. Mio padre tentava di tutto per riuscire a preservare il raccolto: prendeva subito l'iniziativa all'arrivo di un nuovo prodotto consigliato anche da suo cognato, Francesco Caruso, esperto di vigneti tanto che in quei tempi era chiamato "il professore". Irroravano così le viti con estratto di tabacco, con arsenico di piombo e altri preparati, ma per ottenere concreti risultati dovettero attendere la seconda guerra mondiale, durante la quale, dall'America fu importata una portentosa soluzione: il D.D.T. Il rimedio era un insetticida multifunzionale: efficace contro le pulci, le cimici, scarafaggi e pidocchi. Inizialmente se ne apprezzarono solo le funzionalità ignorando che potesse essere nocivo, assai nocivo per le persone. Solo anni dopo se ne ridimensionò l'utilizzo ma negli anni del dopo guerra questo "miracolo" liberò l'Italia da quella tortura, da quella peste. Fu importante anche perché utilizzato per lo sterminio dei pidocchi bianchi che si insinuavano numerosi nella vita di qualsiasi uomo, a prescindere a quale ceto sociale appartenesse e di quali agi usufruisse. Questi insetti si potevano ritrovare anche nella bianchissima biancheria dei neonati!
   Il dilagare di tale malessere era da attribuirsi alla guerra... il corpo era puntellato dai morsi delle pulci... che diventavano una tortura! Le cimici si annidavano nelle tavole del letto, all'interno della spalliera, persino nei materassi; quando si cambiava la paglia dal saccone e si metteva la nuova nel mese di agosto in quella vecchia le pulci somigliavano a formiche in movimento! Allora certo non c'erano i materassi con le molle e ci si accontentava del crine, oppure si utilizzava erba secca raccolta da terreni argillosi che in dialetto calabrese viene chiamata "capiddina", anche più resistente del crine.
   Per soddisfare la curiosità riguardo all'antico letto eccone di seguito una delucidazione: di seguito si metteva il saccone pieno di paglia e di sopra il materasso con la crine o capiddina! Così si faceva il letto di una volta! L'arrivo del disinfestante mise un giorno tutti in condizione di vivere e dormire in pace. Visto il successo dello sterminio di pulci e cimici e di pidocchi, per ben due anni la disinfestazione fu obbligatoria e gratuita in tutta la penisola italiana, in ogni città, paese e borgata.
    I medicinali venivano buttati nei pollai, nei porcili, nelle stalle, individuate dalla scritta dell'anno 1950, mese, giorno e la sigla D.D.T. In seguito il commercio divenne pubblico: in bustine era venduto nei consorzi che si occupavano di prodotti per animali.

    Chi ebbe per primo l'idea di utilizzare il disinfestante anche sul vigneto fu Giovanni Adorisio. Impiegato all'ufficio di collocamento di Cirò Marina, lui solo, ripeto, per primo trattò le sue vigne con il D.D.T. presso il suo terreno della contrada di Vriso, in agro di Cirò Marina. Quando arrivò la fine dell'agosto del 1952 i passanti poterono ammirare dei bei grappoli in nessun altro vigneto presenti perché infraciditi e consunti dal terribile e piccolo verme. L'apprezzamento si trasformava in invidia e incredulità. Chi attribuiva a tale conservazione solo la fortuna e nemmeno il suo fattore poteva credere a così tanta riuscita della sua idea! Aveva involontariamente posto fine o quasi ad una tortura che affliggeva i viticultori da secoli, i quali dopo tanto lavorare in un intero anno dovevano assistere inermi al deperire di un futuro raccolto. Oggi per fortuna il problema è stato risolto!

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