Riprendo questo scritto, a distanza di qualche tempo. Ieri, 26 ottobre, una delle mie figlie, la grande, mi ha domandato il perché di tanta mia dedizione a quella che lei vede forse come la mia personale 'causa calabra'. Ho farfugliato qualcosa... intanto che ricorrevo alla definizione alla quale ero giunto la sera precedente: un debito d'origine; e intanto soggiungevo, tra me e me 'come un peccato, il più evidente', ma questo non gliel'ho detto.
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Dei pochi che mi corrispondevano tanto, rimane, grazie a Dio o a non so cosa, la parte più coriacea, quella che non cede al lenocinio della lontananza. Rimane una madre con le sue mani che tante spine hanno cercato di separare, a volte riuscendoci, altre invano. Rimangono soprattutto ricordi intimamente fusi, e perciò difficilmente scindibili, isolabili, e non cancellabili, se non cumulativamente, come sarebbe prassi di sommari colpi di spazzola.
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Dei pochi che mi corrispondevano tanto, rimane, grazie a Dio o a non so cosa, la parte più coriacea, quella che non cede al lenocinio della lontananza. Rimane una madre con le sue mani che tante spine hanno cercato di separare, a volte riuscendoci, altre invano. Rimangono soprattutto ricordi intimamente fusi, e perciò difficilmente scindibili, isolabili, e non cancellabili, se non cumulativamente, come sarebbe prassi di sommari colpi di spazzola.
Rimane altro, certo, di troppo
intimo perché valga la pena di affidarne a parole l’esposizione, che ne
risulterebbe comunque vaga e al di là della portata del mio dire. Fatica
inutile sarebbe, quindi, parlarne.
Rimane lo Ionio, a destra, e la
piana che annuncia la Presila
a manca, se guardo verso Borea, o il contrario, come in un gioco di mani o in
un cambio di punto di orientamento.
Rimane un paese che non conosco,
che avevo abbandonato in cerca di nulla, neanche di un approdo, un posto a
caso, con la scusa di un lavoro o di un qualsiasi motivo che mi portasse lontano,
a sopravvivere senza troppi patemi d’animo, ad annullarmi in un luogo dove la
risultante del dare e avere fosse uguale a zero, o almeno molto prossima a questa
cifra-non cifra.
Di quei pochi che mi
corrispondevano tanto, in gran parte diffusi quasi a spaglio per l’Italia,
invece, mi è rimasto tanto, tanto da non dover ricorrere a parole, per dire.
Nemmeno i soli gesti basterebbero a camuffarci o confonderci, ogni sguardo,
ogni gesto, risultando impeccabilmente preciso.
Di tanti che hanno compartito con
me il mistero di questa terra, rimane, irripetibile, ineffabile, il senso di
una appartenenza innegabile e irrinnegabile.
‘Fuja quantu voj’, questo
scriverei sui cartelli all’uscita dei paesi del mio ‘sfasciume pendulo sul
mare’.
‘Corri quanto vuoi che qui ti
aspetto’, un refrain arcinoto, da queste che saranno sempre le sole ‘mie
parti’, quelle da cui provengo, e mai altre, con tutto il rispetto.
Cosa sia la Calabria io in fondo non
l’ho mai saputo né capito del tutto, forse perché la amavo e la amo troppo,
forse perché troppo presto l’ho abbandonata, o da lei mi sono fatto
abbandonare, non saprei.
Di un amore vero, in fondo,
spesso non si capiscono bene i motivi e un amore da spiegare difficilmente
potrà risultare imperituro, pur rimanendo nell’ambito della umana misura del
tempo e dell’eternità.
Rimangono piccole, ineludibili,
generiche ‘cose’ di quel tempo, di quei vent’anni che ho vissuto tra i sogni e
le speranze che puntualmente si andavano vanificando. Però è stato bello, come
bello è sognare, e doloroso, come doloroso è sentirsi incapace di cedere ai
sogni. Forse i sogni bisognerebbe sconfiggerli per farne realtà…
Rimarrà sempre meno tempo, mi
rimarrà sempre meno tempo per queste mie parti, per queste solitudini azzurrate
di mare, di cieli e di favolose nuvole bianche di bambagia., questi bozzoli
lenti dei sogni e dei pensieri.
O forse non mi rimarrà nulla che
possa ripetere o ritrasmettere, appena, magari, il silenzio degli oleandri, i
loro colori che esplodono senza freni, o il profumo dei gigli di mare,
irresistibile, ancor più quando il giorno declina e nella sera è puro piacere
poterne inspirare la grazia combattiva, essenziale, sottile. Questo sì, forse
questo mi rimarrà, e forse qualcos’altro che non so dire, che non oso dire,
perché è solo mio – almeno così mi illudo che sia – e intangibile, o
incomunicabile; per mia manifesta incapacità, lo ammetto.
E allora la pianto, perché è
notte, perché è tardi, perché non ho altro modo per dire dei silenzi in cui mi
rifugio, tanto… non fuggo, so dove mi aspetti.
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