Ricevo e ripropongo un commento al post n° 275 ‘L’otto marzo di Cirò Marina. Alcune note su
cronaca e percepito calabro’ e, al fine di non lasciarlo seminascosto
tra i link sulla destra di questa pagina, lo riporto qui per esteso, in calce a queste mie note, in modo da
offrire materia di riflessione e analisi a quanti potrebbero avvertire la
necessità, o la voglia, di meditare sulle parole della lettrice (ché tale dal
testo si evince essere).
Innanzitutto
ringrazio per l’attenzione concessami: è un onore che raramente i miei
cinque-sei lettori mi concedono.
Le
parole della lettrice meritano la massima considerazione, ritengo. Per inciso,
sono scritte con garbo e chiarezza di vedute, senza fronzoli, e pongono, di
conseguenza, quesiti secchi, ai quali dovrei rispondere... o forse no. Il ‘forse
no’ non è dovuto a sussiego o alterigia, tutt’altro... forse non dovrei essere
io a rispondere di quanto avviene a Cirò Marina, bensì a mio carico è la
risposta ai quesiti inerenti ciò che io ho scritto.
Ci
provo, non senza prima informare la lettrice che non vivo a Cirò Marina da
trentotto anni e che vi ho trascorso solo i primi vent’anni della mia vita.
Questo aspetto può avere una duplice valenza: da un lato potrebbe consentirmi
di giudicare la ‘materia marinota’ con occhio più sereno, dall’altro potrebbe inficiare
la mia capacità di interpretare quella materia a causa di un ‘peccato di
idealizzazione’ (nella migliore delle ipotesi, o di ‘sciatte romanticherie’,
nella peggiore).
Di
quello che ho scritto (di getto, purtroppo: non mi piace rileggere, né correggere,
quello che scrivo, è questa una cosa che mi annoia e che distorce
l’originarietà dei pensieri) sono e rimango fermamente convinto: quelli che ho
cercato di spiegare (‘spiegare’ proprio nel senso di sciorinare, di mostrare
alla vista e ai pensieri altrui) sono concetti che esulano, volendo, dal
tremendo ‘fatto contingente’ (e non sto scagliando il pallone in tribuna, né,
tantomeno, mi sto rifugiando in calcio d’angolo): il circolo vizioso, la
coazione a ripetere, - se vuole aggiungerò il conclamato (spesso da sociologi
della domenica) ‘familismo amorale calabro’- sono ‘elementi’ che io per primo,
in compagnia di migliaia e migliaia di altri calabresi denunciamo, troppo
spesso, purtroppo e per forza, con parole che sono poco più di un sussurro:
questo sussurro, spesso, si riduce ad una occhiata di intesa o poco più, una
occhiata che vuol dire che purtroppo è così, che forse sarà sempre così...
oppure no: le cose cambiano, mi creda... Lei frequenta la Calabria da
vent’anni, da soli vent’anni: un tempo relativamente breve per poter cogliere
certi cambiamenti, mi creda.
Potrei
stare qui ad annoiarLa per molto tempo, troppo, per cui stringo: quello che io
ho detto non collide con quanto Lei dice, le Sue e le mie considerazioni non si
elidono a vicenda, non confliggono se non in qualche particolare
trascurabile... Lei è troppo intelligente per non intuire che ciò che Lei
denuncia al sottoscritto fa ancora più male, perché da quella terra il
sottoscritto proviene, perché quella terra custodisce coloro che mi hanno dato
la vita ed è la sola terra dove avrei dovuto vivere, con un compito preciso:
fare qualcosa per quella comunità e per quella terra, cosa che in verità avrei
voluto fare, se un giorno non avessi deciso di mollare tutto e sopravvivere a
me stesso e a quella terra alla quale, oggi come quasi quarant’anni fa, non ho
nulla da dare, se non qualche riflessione, qualche parola sparsa... Mi scuso
per la ‘mediterranea teatralità’ con la quale ho risposto al Suo invito
finale... Per il resto, non tema: tornerò a parlarne, di questa 'calabresità'.
Con la
speranza che altri vogliano intervenire,
La
saluto.
Il commento della lettrice:
Gentile
signor Amoruso,
frequento
il Suo paese per motivi familiari da quasi vent'anni.
Debbo
dirLe che ho letto con molto interesse la parte del Suo articolo riguardante il
"percepito della calabresità".
Tralasciando
il triste e deprecabile fatto di cronaca che non mi appassiona, colgo
finalmente l'occasione di confrontarmi con Lei in merito alla percezione che si
ha del suo paese.
Tante
volte ho provato in questi anni ad affrontare il "problema" ma mi
sono sempre scontrata con un 'muro", quasi che l'essere calabrese fosse
una sorta di santuario vergine e inviolabile di cui non si potesse neppure
discutere.
Le
confesso che, nonostante i venti anni ormai trascorsi dalla prima volta che ho
visitato Cirò Marina, anche io, come forse buona parte d'Italia, in questa
triste occasione, mi sono schierata "contro" la Sua cittadina. Anche
io ho fatto fatica, come Lei ben descrive nel Suo articolo, a parlare di
femminicidio, ma ho pensato subito all'ennesimo omicidio avvenuto in Calabria.
Anche io ho percepito quella che il giornalista di Rete 4 definisce come:
"...la naturale disposizione ad una insopportabile teatralità...",
non perché io sia nata in un'altra regione, ma perché è quello che tutte le
estati vedo, sento, vivo nella Sua cittadina.
La reazione poi dei suoi concittadini è alquanto strana, controversa
direi.
Mi scusi
Signor Amoruso, ma la concezione che si ha della donna a Cirò Marina riporta le
lancette della storia indietro di almeno 50 anni rispetto al resto d'Italia;
perché mai all'improvviso tutti si scoprono anime sante e vanno in massa al
funerale di una donna uccisa; per dimostrare cosa? E tornando alla teatralità:
la bara bianca? I palloncini...??? L'assurda sceneggiata vicino la caserma?
Cosa
vuole dimostrare questa Sua comunità? Che ciò che è accaduto è forse un
elemento esterno ad essa, che linciando quell'assassino avrebbe riscattato
tutta una esistenza di persone umili, lavoratrici, rispettose delle regole
forse? Dove era quella comunità quando arrestarono i boss che in quanto a
crimini violenti nulla hanno da invidiare a quel disgraziato, anzi... sappiamo
bene sia io che Lei di cosa si sono macchiati quegli individui, ma la
sceneggiata c'è stata solo questa volta, come mai Signor Amoruso?
Quella
comunità, caro Signor Amoruso, non ha bisogno di qualcuno che la difenda, che
la giustifichi, bensì di qualcuno che le faccia capire che sta sbagliando e che
l'aiuti a incamminarsi, se possibile, sulla retta via. Che le faccia notare che
Ciro Marina è un paese che vive di mafia, di soprusi, che rifiuta ogni forma di
legge, che chiama i servitori dello stato "sbirri", che distrugge ciò
che ha di bello, che costruisce case e palazzi senza chiedere alcuna
autorizzazione, che si allaccia abusivamente ai servizi di prima necessità.
Vuole che continui Signor Amoruso o forse queste cose le sa già...
...che non paga i tributi, che taglia gli alberi in quel che
resta della pineta, che devasta l'ambiente, che butta rifiuti in ogni angolo,
che parcheggia la propria auto in riva al mare!!! per non fare 20 metri a
piedi; che con moto d'acqua o barca arriva fin sulla costa mettendo a rischio,
tutte le estati, la vita di bambini ed adulti? Che in molti, tanti, hanno case
o ville che non risultano nemmeno accatastate; che molte strade sono chiuse
perché qualcuno ha pensato di costruirsi casa! Potrei continuare ma sono certa
che una persona intelligente come Lei queste cose le sa già, e sono anche certa
che Lei come una parte (non la maggioranza però) di Ciro Marina siete l'unica
speranza perché quel piccolo gioiello che è Cirò, stretto fra il mare e la
collina, possa un giorno godere dell'appoggio di tutti gli taliani e non essere
additato, in saecula saeculorum, come Lei ben riporta come " lo sfasciume
pendulo sul mare". Signor Amoruso, almeno Lei e le persone che come Lei
hanno una mente aperta, aiutate i Vostri concittadini a prendere atto di come
vivono, POI lamentatevi di come è percepita la calabresità.
Cari saluti.
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