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domenica 7 febbraio 2016

§ 193 070216 A madonnedda.

   'A Madonnedda segnava le colonne d'Ercole per gli abitanti della 'Stazione'. Oltrepassarla imponeva l'acquisizione di conoscenze successive a quelle tipiche dell'infanzia e forse dell'adolescenza. Arrivava un giorno in cui, locchi locchi, e a rasa rasa, con una certa eccitazione e un po' di timore, ci si staccava dalla ruva 'mamma' per inoltrarsi fino alla piazza e al lungomare, 'u muragghjunu', roba da grandi.
    'A Madonnedda è sopravvissuta, u campiceddu, poco oltre, ha ceduto il posto ad un supermercato, il lussurreggiante jardinu di agrumi ha ceduto il posto a quella 'fràvica' perenne che si vede a destra nella foto, i pioppi che si alternavano, ora da un lato, ora dall'altro, di via Roma sono passati a miglior vita, i lastroni di cemento che coprivano 'a conetta' hanno lasciato il posto a marciapiedi che sono la negazione della cura dei particolari. Su quei lastroni di cemento le bambine giocavano alla campana.       Chissà che qualche casella segnata col gesso non sia ancora rinvenibile, o che non sia rimasta a mezz'aria qualcuna di quelle espressioni tanto amabili quanto sgrammaticate di quando giocando a palla cotro i muri annunciavano 'alle bàttere... zigo zago...'
   A volte mi fermavo, quando tornavo nella casa dei miei, spesso sentendo di trascinarmi, o meglio, di essere trascinato da un motivo che mai sono riuscito ad isolare e intendere precisamente, fino a quella piccola edicola votiva, per guardarci dentro e rileggere le scritte e le figurine e le medagliette affisse, come se non sapessi a memoria cosa c'è scritto, quali voti vi sono custoditi, quali monetine vi risiedono, casualmente, al suo fondo, le stesse da decine di anni, come voglio immaginare.
   Intorno, a parte quelle costruzioni dove il cemento mi sembra più nudo e freddo che altrove, non c'è più quasi nulla che mi riporti agli anni andati, nulla di nulla, solo la memoria, soprattutto la memoria, e l'erosione che la aggredisce. 
   Mi porto dietro memoria di tanti nomi, e relativi, immancabili soprannomi, e di giochi che oggi sembrerebbero tribali o selvatici, quando non selvaggi... non credo che in Europa e forse nemmeno nel resto del mondo, si giochi a sassate o a frecciate, vere, con astine appuntite di vecchi ombrelli in disuso.
   Questo è il regno del verosimile, dove tutto ciò che potrebbe essere vero diventa incredibile e allo stesso tempo reale. Era una concessione al potere della fantasia e non lo sapevamo, non eravamo in grado di capirlo, qualcosa da vivere ma senza una ragione né una razionalità, peccato, peccato che tutto si sia sfaldato così, senza nemmeno prenderne coscienza.
   Quelle zie Marantòne, quei Zzi Peppi, quei Masti Lissandri, putigari, partuvaddari, fezzari, ferruvieri, cantuneri, masti 'e scola, battalamieri, tutto un mondo di gente si è spesa così, con le speranze per un futuro migliore per i propri figli e per la terra che quei figli avrebbero troppo spesso abbandonato per un avvenire speso, anzi contratto, in un ovunque fatto di grandi città, di periferie, di paesini, tutti, questi luoghi della diaspora, nobilitati dall'ubicazione in un altrove che imponeva un rispetto automatico, un inspiegabile timore reverenziale.
   Penso, ripenso, ogni volta che ci vado, ma quella che più mi rimane dentro è la sensazione di un vento quasi tangibile, di una desolazione sempre più evidente, di un silenzio che a queste latitudini non ti aspetti... si sentono soprattutto imposte che sbattono, come è giusto che sia, e cani che latrano, quasi a segnalare la loro presa di possesso di quelle vie, di quella 'ruva'.
   Cirò Scalo, così scrivevamo quelle date ormai dimenticate sui quadernetti delle elementari... 
   Che inguaribile ciotareddu che sono!... ma su questo sarà meglio che non insista...


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