Nella 'ciropedia' del Pugliese, segnatamente nel II volume della 'Descrizione ecc.' (quella che in questi scritti indico come 'DEIN 2') possiamo leggere questo IV § della P.te V, Cap. I, in cui il Nostro affronta il tema del 'lutto per morte', quasi sbottando in un 'altro non manca che il rogo', che indica chiaramente il disagio avvertito dal Pugliese, intellettuale avido di modernità e di sviluppo sociale, economico e culturale, di fronte alla persistenza di usi quant'altri mai, forse, legati alla tradizione e retaggio a stento sopprimibile di credenze, superstizioni, riti e rituali scaramantici.
Dopo tale lettura, cosa dire? Forse che le cose, a distanza di quasi due secoli sono cambiate solo in parte, dal momento che non mancano sopravvivenze degli usi descritti dal Pugliese, soprattutto negli strati più popolari, che sono poi, di converso e ovviamente, quelli più soggetti a cambiamenti sostanziali d'indirizzo, e a questo sforzo con maggior forza richiamati.
In tutta sincerità credo che il Pugliese non abbia deliberatamente calcato più di tanto la mano sulle usanze in caso di lutto: ancora oggi esiste, ed è innegabile, tutta una casistica tacitamente statuita e quasi universalmente in tali evenienze osservata, con notevole precisione, per quanto riguarda qualsiasi aspetto comportamentale, anche quello più impensato. Il rito funebre diventa quasi manifestazione e performance corale, in cui il ritorno ad una teatralità di origini greche, e non solo greche, è di tutta evidenza: il Pugliese lamentava taluni comportamenti risalenti alla prima metà del XIX secolo, ma se si guarda ancora oggi a certi 'schiamazzi', al ruolo di 'prefiche' - non so fino a che punto richiesto, peraltro - assunto da conoscenti o familiari, ai pianti 'alla longobucchese', ai capelli strappati, ai graffi sul viso, alle urla, alle bande nere sulle porte in caso di dipartita di un capofamiglia, alle richieste fatte al defunto di incontrare e salutare (questa forse è una piccola razionalizzazione del 'viaggio') i cari defunti, intercedendo presso questi ultimi per averne aiuti ultraterreni... cosa si può dire? Nulla, forse, dal momento che nessuno può sentirsi autorizzato a giudicare l'altrui modo di affrontare il lutto, e chissà che magari lo stretto attenersi ad un rituale ormai secolare non aiuti a meglio a superare - se ci si riesce - una prova così pesante... magari dedicandosi ('spurijànnu') a stilare le classifiche d'importanza dei partecipanti, a vario titolo, in ordine di apparizione, di importanza, di consistenza (corona, mazzetto, telegramma...).
Meglio non insistere e parafrasando il Pugliese, auspicare che almeno si finisse quella usanza di salutare i parenti schierati ai due lati della porta della chiesa... un rituale che mi sembra troppo pesante per i parenti del defunto, nella riaffermazione di una partecipazione al rito funebre che col dolore e l'affetto c'entra proprio poco poco. Ma queste sono mie considerazioni inutili, oziose, da perdigiorno in un pomeriggio di foschia padana...
Buona lettura, toccando ferro.
IV. Lutto per morte.
Comunque a poco a poco la civiltà
raddolcisse i costumi, e richiamasse al suo impero la ragione, pure in
occasioni di lutto tra '1 popolo non si può da un'anima sensibile reggere nel
sentire i schiamazzi, i piagnistei, e vedere i graffiamenti, le percosse, e ‘l
denudarsi la testa da tutti i capelli; e di alcune donne è cosi commovente il piangere,
che dicesi repito, e laudo o lodo del defunto, che il cuore più duro si commuove, e partecipa
al pianto ed al dolore. La stanza si scompiglia. Si siede sulla terra nuda, o
sopra un paglione: si butta ciò che trovasi nella finestra e si rompono vasi,
teste di erbe e fiori; si sbattono porte, e finestre, maggiormente se trattasi
di capo di casa. Il cadavere si accompagna dalle famiglie schiamazzando fino
alla chiesa, ed al camposanto. Non si va a messa per più tempo , e si sta per
più mesi all'oscuro, ripetendo gli stessi lai al trigesimo, ed all'anno. Gli
uomini non si radon la barba per più tempo ed indossano il cappotto di lana
ove si avvolgono anche ne’ mesi della canicola, col cappello appannato sugli
occhi, e se non lasciano di frequentare le campagne, si astengono però di
comparire il più che possono nelle publiche adunanze dell'abitato. Scoprirsi la
testa è tra' popoli primitivi segno di sommissione e di rispetto per altrui;
coprirsi la testa poi, e nascondersi il viso è segno di profondo duolo.
Intanto meritano di esser
notate alcune superstiziose usanze, ed altre pietose pratiche.
Quando alcuno è agonizzante, la famiglia
pensa al viaggio dello spirito, e prescindendo da' soccorsi della religione, fa
dono al vicino più povero di un bocale di acqua, di piccola quantità di olio
sufficiente per vivificare una nottata, e due pani, ovvero un piatto di farina.
S'intende far precedere con quell'elemosina l'acqua per dissetarlo, il lume per
guidarlo, e 'l pane per ristorarlo.
Il suono delle campane indica le qualità
naturali e civili di chi è trapassato. Si usa il suono in gloria pei bambini,
per le verginelle, e per le vedove, che han serbato lunga vedovanza e che si
dicono avere riacquistata la verginità. Si usa il suono della sola campana
grossa a mortorio per gli adulti di entrambi i sessi; e questo suono è
ristretto alla classe più povera. La campana grossa è di proprietà, e di
diritto pubblico, ed il parente o amico può suonarla senza nulla pagare. Si usa
infine l’acclasso, o sia il suono
successivo ed immediato di tre campane, battendo un colpo alla piccola, un altro
alla mezzana, e '1 terzo alla grossa. Era questo il suono di onore accordato
prima ai Vescovi, e Sacerdoti, poi a' nobili del paese, e gradatamente a' Professori,
e si è già diffuso anche a' maestri d'arti, bottegai, massari, e persone che
possono pagare il diritto di suono al Clero, che lo comprende a’ diritti
funerarj della Cappa. E questo acclasso si
unisce anche alle glorie, suonandosi
per una vergine un acclasso, ed una gloria successivamente. Ogni gloria si paga al sagrestano grana
cinque.
E’ antichissimo costume di recare i parenti
o intimi amici alla famiglia in lutto una cena di refocillamento e per lo più
di pesci, e non di carni; ma a poco a poco la gara fra' ricchi è cosi
cresciuta, che trattasi ora di scandalosi stravizzi. E siccome i chiassi di
verace dolore della gente bassa si fanno da loro, così presso famiglie civilizzate,
contenendosi piuttosto il duolo nell'animo che in inutili sfoghi, vi concorrono
a fare il repito, o lodo quelle donne
che si qualificano le più intime, ed affezionate, che rappresentano in certo modo
le romane prefiche; e queste per non
solamente satollarsi ne’ lauti pranzi e cene di tre giorni, ma per farsi la
provista per più giorni, essendoché il costume porta che nulla deve esser
restituito dopo entrato nella casa in lutto, e vi si attacca il mal augurio. A
buon conto la festa per la morte di un ricco che abbia numerosa clientela è per
cosi dire desiderato; e quel detto che più volte si sente pronunziare da
qualche affettuoso ghiottone: «succeda
ogni mese una simile festa», dovrebbe far moderare la vanità dei pranzi.
Nel dì della commemorazione de' morti il
popolo s'impadronisce della campana grossa, e suona or l'uno or l'altro per
tutta la sera, notte, e porzione del 2 novembre a mortorio. Crede ciascuno di
mandar suffragio alle anime de' suoi trapassati con quel suono. Le donne sempre
che entravano in chiesa quando le sepolture Ecclesiastiche sussistevano, e
maggiormente edificavano col recitar preci, coronelle del rosario, e spargere
acqua benedetta sulle lapidi delle sepolture. Ed in questo giorno ogni famiglia
commoda cuoce una e due fornate di focacce col lievito a forma di Buzzolato Buccellato,
dette pitte cullure per dispensarle
in suffragio delle anime de’ trapassati; e ciò oltre all'elemosine in danaro,
ed in Messe.
Il tempo pel quale dura il segno del lutto
con vestire a bruno, comunque sia diminuito per l'innoltrata civiltà, pure è
vario. La vedova per loppiù non cambia vestimento nero se non colla morte, o
se non passa a seconde nozze, ed ancora qualcuna conserva l'antico uso d'indossare
camicia di lana nera sulle carni, o pure camicia affumicata ed annerita...
E se io qui mi limito ad esporre il lutto
come si usa a Cirò, non può però includersi che costume eguale sia nelle
Calabrie. Gli usi variano da paese a paese, ed anche da famiglia a famiglia
con questo solo osservabile, che i luoghi marittimi ricevendo progressiva
civiltà lasciano a poco a poco ciò che sembra alla barbarie appartenere,
mentre ne' paesi di montagna comunque non mancassero famiglie cospicue, gli
antichi usi più rigidi e tenaci si conservano. A Cirò per esempio tutti i
parenti intimi concorrono a celebrare il lutto di tre giorni in casa del
trapassato; ma in San Giov. in Fiore ogni parente si ritira in casa propria e
vi resta chiuso pei tre giorni; uomini e donne del volgo della famiglia del
defunto non depongono la camicia che indossano nel giorno del trapasso se non
dopoché si è consunta e lacera sulle carni. In quasi tutti i casali di Cosenza
la porta d'ingresso è appannata con una coperta di lana in nero; ed il lutto si
prolunga per molto tempo precisamente dalle vedove, che o sono effettivamente o
vogliono dimostrare di essere inconsolabili, talché agli strazii ed alle
privazioni altro non manca che il rogo.
E
non è da passarsi sotto silenzio che l'amor conjugale in Cirò forma la più
bella virtù della maggior parte, comunque i matrimonj di vedovi non siano
infrequenti, e per loppiù causate dal bisogno di un sostegno, o di aver prole.
E potrei qui tesser l’elogio di molte vedove anche giovani che o han conservato
rispetto costante alle ceneri del marito, educato e cresciuto i figli; ma di
alcune che sono state vittima del dolore concepito per la perdita del marito,
al quale han sopravissuto pochi mesi.
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