Mi sento in dovere di introdurre questo scritto con le parole della signora Simona Ferrari, figlia del compianto maestro Giuseppe Ferrari (1931-2001), poste in chiusura, in quarta di copertina, per l'esattezza, di ''L'identità della memoria, Cirò Marina 'a ri tempi 'e na vota'', Calabria Letteraria Editrice, Soveria Mannelli, 2002, volume della cui revisione del manoscritto, stanti le condizioni di salute del papà, ella stessa ha dovuto farsi carico:
''Trasformare la memoria e il dolore in impegno ha dato senso ad una morte altrimenti dimenticata. Mio padre, persona giusta, intelligente e finemente colta, innamorato fin troppo del suo paese, ha dedicato tutta la sua attività letteraria e pittorica al recupero di antichi valori.
Con la pubblicazione di questa sua pregevole opera, ricca di storia, lascia agli anziani una dolce rimembranza e a noi giovani una preziosa conoscenza del vivere di un tempo, perché esso possa essere preso a modello per il futuro sviluppo morale e culturale della nostra comunità.''
Aggiungo alle parole di Simona Ferrari un mio personalissimo ricordo, visto che stiamo parlando di memoria e memorie: la copia in mio possesso di quel volume non mi è stata 'regalata' dai miei genitori, ma 'tramandata', con un moto quasi di fiero compiacimento negli occhi di mio padre e un guizzo di materna umanità in quelli di mia madre, che per inciso del maestro Ferrari era (e vorrei tanto dire: 'è'...) cugina, mentre affermava, nella sua semplicità, che 'Peppino è tanto bravo', coniugando al presente quel verbo essere, in quello che ho letto come un omaggio, magari inconscio, alla persistenza della memoria, e all'opera, di Giuseppe Ferrari. Credo che questi siano gli 'anziani' dei quali si parla in quella 'quarta di copertina'. Al curatore di questo blog rimane quel libro, e la certezza, ormai, di una catabasi, di un ritorno, che non ci sarà... anche a questo servono i libri, quelli sentiti: a dare portabilità alla identità e alla memoria, e alla riedizione del vissuto.
Ho estrapolato da quel volume alcune pagine (sperando nella clemenza dei detentori dei diritti d'autore) che mi sembrano profetiche, o che comunque, e di questo sono certo, descrivono quasi perfettamente lo stato della Cirò Marina dell'epoca della stesura del testo e i suoi successivi sviluppi che, con dispiacere di quanti amano quel luogo, hanno dato in gran parte ragione alle previsioni del maestro Ferrari.
Chiudo la mia riflessione aggiungendo che l'ultima considerazione del Ferrari ne richiama un'altra, parimenti fervorosa, e purtroppo 'favolosa' o troppo avveniristica (il riferimento al porto-canale) dello storiografo cirotano Giovan Francesco Pugliese: ritengo che si tratti, in pratica, di una condivisione di desideri di questi due eminenti psicronei... un desiderio e una visione troppo alti, forse, perché potessero trovare realizzazione a certe latitudini. Ad ogni buon conto, quando 'a Marina s'allaga' potete saperne, dalle parole del Ferrari, il perché: ma questo 'perchè' non sono i canaloni, costruiti con intelligenza - almeno credo - ma chi li ha interrati. O no?
Le pagine che seguono sono quelle da 32 a 35 del testo; con 'NdA' ho indicato le note in calce presenti nell'originale.
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Cirò Marina,
situata sulla costa ionica a pochi metri di altezza rispetto al livello del mare,
non aveva la pendenza sufficiente da consentire il deflusso delle acque
piovane. Pertanto quando cadevano abbondanti piogge il paese era soggetto ad
allagarsi, anche perché lungo le pendici delle colline che lo circondavano si
formavano innumerevoli rigagnoli di acqua e di fango che precipitavano
verso l'abitato, confluendo nelle zone basse. Queste comprendevano
un'ampia fascia che interessava l'attuale piazza Diaz, parte di via Roma, di via
Carducci e di via della Libertà. Altra depressione territoriale occupava una vasta
area posta a nord del paese, denominata Vùrighi (Vurghe, NdA), comprendente i ruderi
del tempio di Apollo Aleo. In queste zone l'acqua ristagnava, creando paludi
affollate di rane, di insetti e soprattutto di uccelli.
Nell'opera di
bonifica e di risanamento del territorio promossa dal governo fascista fu
costruita una rete di canali per la raccolta e il deflusso delle acque che,
partendo dai piedi delle colline, finivano per varie diramazioni al mare. Due
erano i canaloni principali: il primo, proveniente da Manca da rina (Località ‘a sinistra della rena del mare', NdA), attraversava
per un buon tratto la campagna dividendosi in due tronchi. L'uno proseguiva
verso est arrivando al mare nella località Gammittta; l'altro si dirigeva
verso settentrione, attraversava le Vurghe
e terminava sulla costa nord di Punta Alice. Il secondo canalone percorreva l'attuale via
Roma.
Aveva quattro diramazioni, due per ogni lato, che abbracciavano l'intero
abitato e il territorio circostante. Due rami si dipartivano all'altezza della "Santa Croce". (Era questa un'opera di scultura
realizzata dai Padri Passionisti a ricordo di una loro missione religiosa in paese.
Era costituita da una grande
croce in legno di colore nero, circondata da una bassa inferriata quadrangolare e da gradini, sui quali le persone in
estate dopo la lunga passeggiata
serale solevano sedersi. Anni addietro è stata demolita e al suo posto esiste
ora un pietoso rifacimento.) Uno di quei canali per un breve tratto si allungava
verso sud, poi piegava verso est e al termine del suo percorso finiva al mare
(l'attuale via Togliatti oggi vi si estende di sopra); l'altro, diretto a settentrione, attraversava il paese confluendo nel
canale di Punta Alice.
Scendendo verso l'abitato, all'altezza dell'attuale via della Libertà, il gran canalone si ripartiva in altri due bracci: l'uno verso sud si collegava al canale di via Togliatti, e l'altro verso nord dopo un lungo percorso terminava nel canale della Gammitta. Detti canaloni erano allora a cielo aperto e venivano periodicamente ripuliti onde evitare impedimenti allo scorrimento dell'acqua piovana. Siccome attraversavano un vasto territorio più o meno coltivato, qua e là le due sponde erano collegate da pontini (ponticelli, NdA) di cemento con corrimano di ferro. Oggi quei canali di bonifica non sono più funzionanti, sono stati coperti da case e da strade asfaltate, per cui quando le piogge cadono abbondanti il paese torna ad allagarsi. La rete fognante stracarica fa saltare i chiusini e il liquame dilaga in superficie soprattutto nelle zone basse, dove l'aria s'impregna del puzzo di fogna a danno della salute pubblica.
Scendendo verso l'abitato, all'altezza dell'attuale via della Libertà, il gran canalone si ripartiva in altri due bracci: l'uno verso sud si collegava al canale di via Togliatti, e l'altro verso nord dopo un lungo percorso terminava nel canale della Gammitta. Detti canaloni erano allora a cielo aperto e venivano periodicamente ripuliti onde evitare impedimenti allo scorrimento dell'acqua piovana. Siccome attraversavano un vasto territorio più o meno coltivato, qua e là le due sponde erano collegate da pontini (ponticelli, NdA) di cemento con corrimano di ferro. Oggi quei canali di bonifica non sono più funzionanti, sono stati coperti da case e da strade asfaltate, per cui quando le piogge cadono abbondanti il paese torna ad allagarsi. La rete fognante stracarica fa saltare i chiusini e il liquame dilaga in superficie soprattutto nelle zone basse, dove l'aria s'impregna del puzzo di fogna a danno della salute pubblica.
In passato le strade
del paese erano pavimentate con pietre di varie dimensioni incastonate tra loro. Vi erano
due carreggiate per agevolare il transito di
andata e di ritorno dei carri e dei traini. La parte centrale di esse era leggermente arcuata e consentiva alla pioggia di
defluire verso i marciapiedi. Anche
questi erano costruiti con pietre; però u bàsulu (il cordolo, NdA) era
costituito da resistenti lastroni di
basalto, di colore grigio scuro. Le vie, ai lati delle quali cominciavano a sorgere nuove case, erano di terra
battuta. Tra esse quelle di maggiore
insediamento urbano erano via Tirone, via Vittorio Emanuele, via Cesare Battisti e in parte via Muraglione. Le
strade oggi non hanno più le pietre di una volta, sostituite con
l'asfalto, e i marciapiedi con moderni sampietrini
esagonali. Dove sono andati a finire quei lastroni di basalto che racchiudevano i marciapiedi di via Vittorio Emanuele
e di via Cesare Battisti? Con la loro
perdita è venuta a mancare un'altra occasione di conservare un aspetto
dell'autentico vecchio paese: noi moderni, abituati a recidere con indifferenza le nostre radici, facilmente
seppelliamo, deformiamo e sostituiamo gli aspetti duraturi di antico valore con più appariscenti ed
effimere sovrastrutture.
Come sarebbero
apparse diverse e ricche di fascino oggi via Tirone e via Vittorio Emanuele
se avessero conservato il volto di un
tempo. I forestieri e gli abitanti del luogo avrebbero avuto motivo di utile
lettura, continuando gli aspetti del passato con le nuove vie e le uniformi
costruzioni che si sono via via sovrapposte alle vecchie, ricche di
semplici motivi architettonici. Con le loro pagine antiche avrebbero raccontato
alla gente che vi transita o vi sosta la loro bella e significativa storia. Una
donna conserva il suo t'ascino solo se la si lascia nel suo vestito
d'epoca, con gli ori e la pettinatura del suo tempo. Purtroppo la politica e la
dirigenza raramente si sposano con la sensibilità artistica e la morale. Vanno invece
spesso a braccetto con la speculazione e il denaro.
E che dire poi del
ginepraio delle costruzioni sotte senza controlli ai lati di via Roma e a nord
di piazza Cremissa! Negli anni 1930 e 1940 vi erano ampi spazi
pianeggianti, rigogliosi di giardini di aranci e di seminati qua e là
segnati da
qualche vasto caseggiato o da qualche casupola. Ora quel verde territorio, data la
progressiva espansione del paese, è occupato da lunghe file di abitazioni concatenate tra
loro come vagoni di treni, distanziate da strette strade senza luce e respiro.
Mancano adeguati spazi e piazze, che sono i luoghi pubblici di riunione delle
persone in un paese degno di rispetto. Non a caso "Shanghai" è il nome ironicamente dispregiativo dato a
questi nuovi insediamenti umani per il brulichio degli abitanti. Purtroppo il
procedere a zigzag appartiene a quattro categorie di esseri: ai politicanti, ai
ladroni, ai serpenti e agli ubriachi.
Altra considerazione negativa riguarda il muraglione e la spiaggia. L'uno, a sud e a nord
del paese, ha subito continua appropriazione indebita che ha tolto ampi
spazi di territorio demaniale destinati a più comoda viabilità e a fasce di verde pubblico; l'altra, col suo arenile meraviglioso dal
colore dell'oro, che avrebbe
rappresentato un richiamo per il turismo è stata aggredita e deturpata da inutili e dispendiose scogliere,
fino a giacere ora sotto un ammasso di cemento armato che chiamano porto.
Esso dovrà fare i conti con le grandi
mareggiate, che periodicamente si abbattono sulla nostra costa con impeto spaventosamente distruttivo. Detti uragani provenienti dal mare
arrivano puntuali dopo un certo
numero di anni: ce lo insegna la
passata esperienza. Essi non sono
determinati da venti o da temporali, anche
se questi concorrono ad esaltarne la
devastante potenza, ma da correnti marine
che in maniera precisa e costante,
percorrendo da sempre il medesimo
itinerario, aggrediscono
violentemente la costa sempre nello stesso punto. In tutta la sua storia marinara il nostro paese ha perduto una sola imbarcazione,
perché i vecchi pescatori, avvezzi a fiutare
e a leggere il tempo, mettevano al
riparo tra le case le barche prima
che il mare scatenasse la sua indomabile furia. Oggi i pescatori, sicuri dell'attuale rifugio
portuale, in previsione di un'eventuale mareggiata non procederanno di
certo a collocare in altro posto sicuro i
loro natanti. Ed anche se lo volessero non potrebbero farlo, perché impediti dall'attuale struttura litoranea realizzata, la quale nel futuro
non sarà sempre all'altezza di
fronteggiare le forze immani della Natura.
Un porto canale scavato lungo la zona bassa delle Vurghe, collegante la
Gammitta con la
costa settentrionale di Punta Alice, avrebbe risolto in maniera ottimale il
problema dell'importante attività peschereccia del paese per diverse ragioni:
si sarebbe costruito un utile bacino di carenaggio da essere anche un sicuro
rifugio per le imbarcazioni; lo sbocco sui lati sud e nord del litorale avrebbe
consentito ai pescatori di uscire in mare aperto nel punto dove le condizioni
meteorologiche sarebbero state più favorevoli; si sarebbe lasciata la spiaggia
prospiciente il paese libera di poter accogliere i turisti e gli abitanti del
luogo durante la stagione estiva, fronteggiando le grandi mareggiate con
adeguate dighe che la tecnologia mette a disposizione; la zona delle Vurghe avrebbe offerto maggiore spazio
per realizzare le varie strutture attinenti al commercio del pesce. Ciò non
avrebbe impedito sull'isola felice di Punta Alice, scaturita in seguito al
taglio del canale, la messa in opera di impianti di attrezzature balneari che,
insieme a quelle sportive e di svago, avrebbero richiamato numerosi turisti.
La realizzazione del progetto aveva bisogno solo di un'oculata programmazione,
che è mancata nel tempo dovuto. Le attività in argomento sono state realizzate
isolatamente, una dopo l'altra, e non inserite in un piano complessivo. Gli
esiti sono stati e continueranno nel tempo ad essere disastrosi sia per il
bilancio economico pubblico sia per la deturpazione del territorio. Da certi
progetti cervellotici traggono benefìci solo gli ambulanti della politica e i "gratta-gratta" della
speculazione.
A poco a poco della
vecchia Cirò Marina non resterà nulla, perché l'indolenza, l'egoismo, la
corruzione, l'impreparazione e la presunzione insediati ai posti di comando
opereranno sempre nuovi abusi e danni fino a cancellare ogni parvenza del
passato e a strutturare in maniera sbagliata l'immagine del territorio futuro.
Allora non resterà che volare sulle sepolte rovine con i nostri ricordi, perché
solo l'identità della memoria è capace di erigere un monumento duraturo alle
sembianze di una civiltà che scompare.
''A poco a poco della vecchia Cirò Marina non resterà nulla, perché l'indolenza...'' |
quanta tristezza e rabbia assale noi emigrati nel trovare tutto questo scempio
RispondiEliminaMa forse la rabbia e la tristezza sono le stesse che provano i residenti... solo che loro ci convivono e insomma bisogna trovare il modo migliore per vivere, e qui, forse più che altrove, non c'è nulla di facile né di scontato. Non so se dico una sciocchezza, ma mi pare che quelli che rimangono (mi riferisco alla comunità civile) spesso sono costretti a perdere in casa, mentre noi che viviamo lontano accusiamo una sconfitta fuori casa, che in media inglese (tra l'altro mi pare che gli amanti del calcio non usino più questo parametro) è meno penalizzante della 'sconfitta tra le mura domestiche'... e comunque non muove la classifica: ''com a giri, e com a voti...''. Non so se mi sono spiegato, in tal caso chiedo scusa.
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