Ritenendo di fare cosa gradita, ecco le due paginette
della lettera datata Cirò, li 9. Settembre 1826. di Gio: Francesco[1] Pugliese (1789-1855) al figlio Don Emilio[2] quindicenne (1811-1852), all’epoca residente in
Napoli per motivi di studio, come si evince dalla missiva medesima. E' una
lettera delicata ma risoluta, davvero 'paterna', posta in appendice al
'Compendio delle Attribuzioni de' Giudicati Regi', del quale occuperebbe le
pagine n° 369-370 (manca la numerazione), appena prima dell'ultima pagina,
quella degli 'errata corrige'.
Ancora una volta Gio: Francesco mi sorprende con la
vastità della sua cultura e con il suo metodo 'maieutico', che già ho potuto
apprezzare nel proemio alla 'Descrizione delle Origini ecc.', la sua opera più
nota - o meno misconosciuta – sulle origini di Cirò (o ‘del Cirò’, come si
diceva all’epoca).
Se qualcuno avrà la pazienza di leggere la lettera lo prego di non far caso a quelli che oggi risultano essere errori grammaticali o lessicali... siamo nel 1826 e all'epoca quasi nulla poteva darsi per scontato nel normare la lingua italiana, nemmeno gli errori.
Se qualcuno avrà la pazienza di leggere la lettera lo prego di non far caso a quelli che oggi risultano essere errori grammaticali o lessicali... siamo nel 1826 e all'epoca quasi nulla poteva darsi per scontato nel normare la lingua italiana, nemmeno gli errori.
Mi concedo di annotare alcuni punti che ritengo
divergenti dalle attuali norme, segnatamente in fatto di ortografia, dalla
lingua italiana.
L’Inglese filosofo al quale fa riferimento il Pugliese
sarebbe Robert Dodsley (1704-1764), se non fosse che la paternità dell’opera
‘The economy of human life’ è al momento contesa tra questi e Philip Dormer
Stanhope, quarto conte di Chesterfield (1694-1773); si tratta di un’opera filosofica
e morale contenente soprattutto precetti che dovrebbero informare una retta
esistenza. I temi trattati nelle sette parti dell’opera sono: i doveri che
spettano all’uomo come individuo, le passioni, la donna, la consanguineità, la Provvidenza, ovvero le
differenze accidentali degli uomini, i doveri sociali, la religione. L’opera è
del 1750 e la prima traduzione italiana è datata 1759.
Figlio Benedetto[6]
-- Ho inteso con piacere che la stampa della mia Operetta sulle attribuzioni
de'[7]
Regj[8]
Giudici sia al termine[9]
, e mi auguro
che mediante la vostra attenzione riesca senza errori per quanto più è possibile.
Io col mio
lavoro , qualunque siesi , ho dato un saggio di
quanto ho potuto riunire, e di quanto ho saputo pensare sulle materie che vi son
contenute, e se non coglierò dal publico[10]
un benigno compatimento , avrò sempre il vantaggio di aver dato a voi uno sprone ,
onde
impegnarvi a studiare, ed a far buon uso del tempo , impiegandolo a cose utili , ed
alla coltura
dello spirito. Attendo da voi quanto prima una pruova[11]
del vostro profitto : voi avete l'[12]opportunità sotto la
guida de' degni precettori , cui ho commesso
la vostra educazione civile e letteraria, di formare il vostro cuore per la virtù , e la vostra mente per le scienze.
Per me vi dico che continuo a scrivere sulla stessa
opera
aggiungendo osservazioni a qualche articolo, che forse merita migliore sviluppo ,
sempre autorizzando
i miei detti colla trascrizione delle relative supreme, o superiori disposizioni, ed avvenendo nuove modificazioni al sistema giudiziario , ed alle
leggi , ho in voto di rediggere[13]
il supplimento , che indicasse i cangiamenti[14]
, che forse sarebbero per introdursi. Così
occupo quel tempo che rubbo[15]
alle cure domestiche ed
all'educazione delle vostre sorelle. Nè[16]
mi curo di chi possa malignamente
detrarre alla mia stima , perchè[17]
al dire dell'Inglese filosofo[18]
autore dell'aureo libretto
sull'economia della vita umana. »
L'invidioso si nutre di malizia e di
odio , ed il cuore suo non sta mai tranquillo.
Si sforza di avvilire chicchesia che lo avanzi , interpetrando sempre male le
operazioni che fa ; sta in agguato ;
medita insidie. L'abborrimento[19]
però de'mortali gli corre dietro da
per tutto ; alla fine rimane acciaccato,
come un ragno, nella sua medesima tela.
Vi stringo al cuore,
e benedico per sempre.
Il vostro Padre affettuoso
Gio: Francesco Pugliese.
Sig. D. Emilio Pugliese
Napoli
[1] La presenza dei due punti
dopo ‘Gio’ indica che si tratta di Giovanni…, sarebbe ‘Gio puntato’, come ecc.
[2] ‘Il 9 marzo 1848 (Emilio)
Pugliese, figlio dello storico Giovan Francesco, rivolgeva un appello
elettorale agli abitanti del distretto di Crotone perché scegliessero un degno
rappresentante da mandare al Parlamento napoletano. La borghesia cirotana,
però, contraria alla divisibilità dei demani e per nulla incline a soddisfare
le esigenze della popolazione, non partecipò alle vicende napoletane del 15
maggio 1848.’ (Massimiliano Pezzi, in ‘Cirò-Cirò Marina’, a cura di Fulvio
Mazza, Rubbettino, 1997).
[3] Senza accento nel testo, correttamente.
[4] Ai numerali delle date
segue il punto.
[5] Secondo l’uso ottocentesco
- ma non solo – il nome del mese reca l’iniziale maiuscola.
[6] Sottolineo questa dolce
forma allocutiva, con annessa lettera iniziale maiuscola.
[7] Forma apocopata ricorrente
con apostrofo.
[8] Al plurale era previsto
per le parole in -io l’uso della -j.
[9] Nella stampa si nota uno
spazio che precede la virgola e un altro spazio che separa quest’ultima dalla
parola successiva.
[10] Con una sola ‘b’ nel testo, forse
reminiscenza latina.
[11] Prova, nel lessico di
quel tempo.
[12] Anche tra l’apostrofo
della forma contratta dell’articolo determinativo e la parola seguente si nota
uno spazio.
[13] Tutto sommato, sempre meglio ‘rediggere’ con
due -g che ‘redarre’….
[14] Forma ricorrente
all’epoca.
[15] Con due -b nel testo.
[16] Nei testi coevi ricorre
l’accento grave, forse per motivi di stampa.
[17] Come alla nota 15,
accento grave in luogo dell’acuto.
[18] Vedi nella nota
introduttiva.
[19] Come alla nota 15.
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