L’identità, la nostra.
Crotone, novembre 2013.
Tra i volumi esposti sul banchetto al
centro della libreria, uno attira la mia attenzione, nella sua elegante livrea
bianca e con tanto di ‘struzzo’ della casa editrice in bella mostra in
copertina: il segno distintivo della Einaudi, quasi un certificato di garanzia.
La garanzia, invece, è nel nome dell’autore: Vito Teti, docente di antropologia
all’Unical (che è la sigla dell’Università della Calabria, anche se mi ricorda
tanto le scritte sui sacchi di calce,
quelli che vedevo scaricare dai ‘discìpuli’ dei muratori…).
Sono in cerca, come quando venivo a Crotone da liceale senza una lira in
tasca, di libri che parlino della mia terra, della Calabria, che è l’unica
terra alla quale mi sento di appartenere, da sempre a sempre, anche se mi impongo di reprimere la nostalgia che mi deriva dalla mia non scelta
di vita che mi ha portato ad abitare lontano dal mio amato ‘sfasciume pendulo sul
mare’, secondo la definizione di Giustino Fortunato… che poi, volendo
capovolgere l’assunto, si potrebbe - magari con un po’ di partigianeria -
leggere come raggruppamento e tenuta miracolosi, lo ‘sfasciume’, equilibrismo
vertiginoso, quel ‘pendulo’, e come apertura verso un orizzonte possibile, quel
‘mare’… ci vuole un po’ di coraggio, a credere in questa lettura, e questo lo
so bene.
Di solito non leggo i libri,
nemmeno quelli che compro… gli trovo un posto su un ripiano e li lascio lì a
decantare, a proporsi o a ritrarsi… sento che dentro ogni libro – quasi in ogni
libro – c’è qualcosa che pulsa… sono voci rilegate, anime tenute insieme, che
prima o poi esplodono, dirompono, e allora mi rassegno a leggerli, a farmi dire
attraverso le loro righe, i loro caratteri, ciò che io avrei spesso voluto
dire, con le mie righe, coi miei caratteri…
Fiuto l’aria, sento che la ‘preda’ è lì, calda, che mi si sta
proponendo, e che anch’io la sento… la immagino, mentalmente separo già i fili
della trama, immagino l’ordito, cosa ha da dirmi quel libro… non lo apro
nemmeno, non devo farmi una idea, non mi serve… è come puntare su qualcuno o
qualcosa, ad occhi chiusi, sapendo che nel rapporto con il libro non ho nulla
da perdere, e che la spesa è solo questa transeunte manciata di euro… ne prendo
due, uno per me, uno da regalare, di questo ‘Maledetto Sud’, Le Vele n° 88,
Einaudi 2013.
Il libro, 131 pagine tutto compreso, rimane per qualche giorno nella mia
borsa dei desideri, quella blu, quella che accoglie i miei pennini, le matite
spuntate, il piccolo portatile, biro di tanti colori e quadernetti dove non
scrivo immutabilmente nulla, manco un rigo.
Poi, come d’improvviso, un giorno il libro mi appare tra le mani, non
cercato, non richiesto, quasi per incanto, e capisco subito il motivo di tanta per
me non sorprendente ‘corrispondenza’… Non lo leggo il libro, bensì lo divoro…
dimenticavo di dire che i libri o non li leggo – testardo come un mulo – o che
mi incaponisco fino a quando non si rassegnano a gridarmi ‘fine!’, basta, non
c’è scritto nient’altro… puoi solo rileggerlo o sfogliarlo, sottolinearne
qualche frase (mai, neanche sotto tortura…) oppure chiuderlo, ripensarlo,
accettare quello che è stato, quello che ti ha comunicato e crescere,magari
impercettibilmente, grazie a quella lettura.
Negli ultimi tempi assisto ad una fioritura, non eccessiva, in vero, di
testi sul Meridione d’Italia, la sua storia, i suoi problemi… spesso si tratta
di pubblicisti che pur compiendo una opera non deprecabile di informazione –
penso a Pino Aprile e altri – non hanno il taglio e la documentazione
scientifica necessari ad affermare quanto si va offrendo al lettore: sono cose
che possono rimanere ‘al di qua’ delle conoscenze del lettore appassionato di
un dato argomento, che può essere la
storia del brigantaggio, la nascita di una nazione e la sparizione di un’altra,
o la dicotomia tra nord e sud… insomma, fate voi. Ribadisco: operazioni ed
opere meritevoli benché tardive, e certo non per colpa degli autori delle
pubblicazioni alle quali accennavo prima, tardive per la frattura che la storia
ufficiale ha creato ad arte nella società italiana, con ‘storici’ di parte,
proni e pronti alle indicazioni, alle lusinghe, alle regalie, alle prebende del
potere, cioè degli amministratori della storia scritta dai vincitori e per i vincitori, quella storia imposta nelle aule
di qualsiasi grado e fatta circolare subdolamente per ogni luogo d’Italia,
intesa a creare le tante leggende metropolitane che a tutt’oggi infestano il
Bel Paese.
Il professor Teti offre le sue riflessioni sulla storia e sulle
condizioni del Sud, in questo saggio che ha sì il taglio antropologico
dello studioso, ma il suo rigore è mitigato e umanizzato dai ricordi personali
dell’autore, nei quali il lettore potrà ritrovarsi, anche se sempre di meno, ovviamente, a
causa dei mutati tempi: le condizioni dei calabresi degli anni ’50 del
novecento (quelli dell’infanzia di Vito Teti) risultano, io credo,
inimmaginabili per un adolescente di oggi. Si potrebbe dire che tutto è
cambiato, invece non credo sia così: è solo una traslazione, il divario è
sempre lì, ineliminabile per volontà e scelta dell’Italia, o almeno di una
parte del Paese… (con la 'p' maiuscola, come prescrivono le italiche grammatiche).
Sulla copertina di ‘Maledetto Sud’ si legge: ‘Sudici, oziosi,
malavitosi, briganti, mafiosi… In quanti modi sono stati chiamati gli abitanti
del Sud? Attraverso storie vissute, narrazioni letterarie e riflessioni
antropologiche possiamo smontare i principali luoghi comuni sulla ‹‹ razza
maledetta ››. Specificherei che non di abitanti soltanto si tratta, ma in genere di
tutti i sudici, bastando le origini per una condanna sommaria o per alimentare i sospetti, fatte sempre salve le immancabili differenze.
Concludendo, il libro è una sorta di ‘indice’, un vademecum per sviluppi
futuri da parte del lettore che volesse interessarsi della storia del Sud; i
temi fondamentali sono indicati dall’autore con garbo e partecipazione e la
nota all’apparato bibliografico ne è una riprova, dove si afferma che non tutto
è detto e riportato nel libro, come è ovvio, e soprattutto, aggiungo, quando si
parla di una storia con la esse minuscola come quella del nostro Sud e della
sua identità, una storia i cui appassionati sono visti, perloppiù, come dei don
Chisciotte o dei personaggi fuori tempo massimo… Per quel che mi riguarda, dico Don
Chisciotte sì, sempre, per quanto riguarda il tempo ci sto pensando... Intanto, piccoli don Chisciotte crescono, anche al mio paese, a passeggio sul lungomare parlando di Barrio, Pugliese, Filottete... e prima o poi qualcuno la riscriverà la bella storiella d'Italia, dei mille, dei terroni cattivi, di Arlecchino, di Pulcinella, ma spero che lo faccia con indipendenza culturale e rigore scientifico...
PS: non mi sfugge un piccolo refuso contenuto in una frase in dialetto, ma è pochissima cosa, per cui sorvolo. Segnalo, invece, l'interessante parte dedicata alla melanconia come caratteristica del 'meridionale tipo', almeno secondo certa letteratura... era qualcosa che sentivo ma che ancora non avevo 'inquadrato'. Un libro serve anche, o forse soprattutto, a questo, a chiarirsi, no?
PS: non mi sfugge un piccolo refuso contenuto in una frase in dialetto, ma è pochissima cosa, per cui sorvolo. Segnalo, invece, l'interessante parte dedicata alla melanconia come caratteristica del 'meridionale tipo', almeno secondo certa letteratura... era qualcosa che sentivo ma che ancora non avevo 'inquadrato'. Un libro serve anche, o forse soprattutto, a questo, a chiarirsi, no?
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