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mercoledì 25 dicembre 2013

§ 023 251213 L'identità misconosciuta, a proposito di 'Maledetto Sud', di Vito Teti.



L’identità, la nostra.
Crotone, novembre 2013.
    Tra i volumi esposti sul banchetto al centro della libreria, uno attira la mia attenzione, nella sua elegante livrea bianca e con tanto di ‘struzzo’ della casa editrice in bella mostra in copertina: il segno distintivo della Einaudi, quasi un certificato di garanzia. La garanzia, invece, è nel nome dell’autore: Vito Teti, docente di antropologia all’Unical (che è la sigla dell’Università della Calabria, anche se mi ricorda tanto le scritte sui sacchi di  calce, quelli che vedevo scaricare dai ‘discìpuli’ dei muratori…).
   Sono in cerca, come quando venivo a Crotone da liceale senza una lira in tasca, di libri che parlino della mia terra, della Calabria, che è l’unica terra alla quale mi sento di appartenere, da sempre a sempre, anche se mi impongo di reprimere la nostalgia che mi deriva dalla mia non scelta di vita che mi ha portato ad abitare lontano dal mio amato ‘sfasciume pendulo sul mare’, secondo la definizione di Giustino Fortunato… che poi, volendo capovolgere l’assunto, si potrebbe - magari con un po’ di partigianeria - leggere come raggruppamento e tenuta miracolosi, lo ‘sfasciume’, equilibrismo vertiginoso, quel ‘pendulo’, e come apertura verso un orizzonte possibile, quel ‘mare’… ci vuole un po’ di coraggio, a credere in questa lettura, e questo lo so bene. 
Di solito non leggo i libri, nemmeno quelli che compro… gli trovo un posto su un ripiano e li lascio lì a decantare, a proporsi o a ritrarsi… sento che dentro ogni libro – quasi in ogni libro – c’è qualcosa che pulsa… sono voci rilegate, anime tenute insieme, che prima o poi esplodono, dirompono, e allora mi rassegno a leggerli, a farmi dire attraverso le loro righe, i loro caratteri, ciò che io avrei spesso voluto dire, con le mie righe, coi miei caratteri…
   Fiuto l’aria, sento che la ‘preda’ è lì, calda, che mi si sta proponendo, e che anch’io la sento… la immagino, mentalmente separo già i fili della trama, immagino l’ordito, cosa ha da dirmi quel libro… non lo apro nemmeno, non devo farmi una idea, non mi serve… è come puntare su qualcuno o qualcosa, ad occhi chiusi, sapendo che nel rapporto con il libro non ho nulla da perdere, e che la spesa è solo questa transeunte manciata di euro… ne prendo due, uno per me, uno da regalare, di questo ‘Maledetto Sud’, Le Vele n° 88, Einaudi 2013.
   Il libro, 131 pagine tutto compreso, rimane per qualche giorno nella mia borsa dei desideri, quella blu, quella che accoglie i miei pennini, le matite spuntate, il piccolo portatile, biro di tanti colori e quadernetti dove non scrivo immutabilmente nulla, manco un rigo.
   Poi, come d’improvviso, un giorno il libro mi appare tra le mani, non cercato, non richiesto, quasi per incanto, e capisco subito il motivo di tanta per me non sorprendente ‘corrispondenza’… Non lo leggo il libro, bensì lo divoro… dimenticavo di dire che i libri o non li leggo – testardo come un mulo – o che mi incaponisco fino a quando non si rassegnano a gridarmi ‘fine!’, basta, non c’è scritto nient’altro… puoi solo rileggerlo o sfogliarlo, sottolinearne qualche frase (mai, neanche sotto tortura…) oppure chiuderlo, ripensarlo, accettare quello che è stato, quello che ti ha comunicato e crescere,magari impercettibilmente, grazie a quella lettura.
   Negli ultimi tempi assisto ad una fioritura, non eccessiva, in vero, di testi sul Meridione d’Italia, la sua storia, i suoi problemi… spesso si tratta di pubblicisti che pur compiendo una opera non deprecabile di informazione – penso a Pino Aprile e altri – non hanno il taglio e la documentazione scientifica necessari ad affermare quanto si va offrendo al lettore: sono cose che possono rimanere ‘al di qua’ delle conoscenze del lettore appassionato di un  dato argomento, che può essere la storia del brigantaggio, la nascita di una nazione e la sparizione di un’altra, o la dicotomia tra nord e sud… insomma, fate voi. Ribadisco: operazioni ed opere meritevoli benché tardive, e certo non per colpa degli autori delle pubblicazioni alle quali accennavo prima, tardive per la frattura che la storia ufficiale ha creato ad arte nella società italiana, con ‘storici’ di parte, proni e pronti alle indicazioni, alle lusinghe, alle regalie, alle prebende del potere, cioè degli amministratori della storia scritta dai vincitori e per  i vincitori, quella storia imposta nelle aule di qualsiasi grado e fatta circolare subdolamente per ogni luogo d’Italia, intesa a creare le tante leggende metropolitane che a tutt’oggi infestano il Bel Paese.
   Il professor Teti offre le sue riflessioni sulla storia e sulle condizioni del Sud, in questo saggio che ha sì il taglio antropologico dello studioso, ma il suo rigore è mitigato e umanizzato dai ricordi personali dell’autore, nei quali il lettore potrà ritrovarsi, anche se sempre di meno, ovviamente, a causa dei mutati tempi: le condizioni dei calabresi degli anni ’50 del novecento (quelli dell’infanzia di Vito Teti) risultano, io credo, inimmaginabili per un adolescente di oggi. Si potrebbe dire che tutto è cambiato, invece non credo sia così: è solo una traslazione, il divario è sempre lì, ineliminabile per volontà e scelta dell’Italia, o almeno di una parte del Paese… (con la 'p' maiuscola, come prescrivono le italiche grammatiche).
   Sulla copertina di ‘Maledetto Sud’ si legge: ‘Sudici, oziosi, malavitosi, briganti, mafiosi… In quanti modi sono stati chiamati gli abitanti del Sud? Attraverso storie vissute, narrazioni letterarie e riflessioni antropologiche possiamo smontare i principali luoghi comuni sulla ‹‹ razza maledetta ››. Specificherei che non di abitanti soltanto si tratta, ma in genere di tutti i sudici, bastando le origini per una condanna sommaria o per alimentare i sospetti, fatte sempre salve le immancabili differenze.
   Concludendo, il libro è una sorta di ‘indice’, un vademecum per sviluppi futuri da parte del lettore che volesse interessarsi della storia del Sud; i temi fondamentali sono indicati dall’autore con garbo e partecipazione e la nota all’apparato bibliografico ne è una riprova, dove si afferma che non tutto è detto e riportato nel libro, come è ovvio, e soprattutto, aggiungo, quando si parla di una storia con la esse minuscola come quella del nostro Sud e della sua identità, una storia i cui appassionati sono visti, perloppiù, come dei don Chisciotte o dei personaggi fuori tempo massimo… Per quel che mi riguarda, dico Don Chisciotte sì, sempre, per quanto riguarda il tempo ci sto pensando... Intanto, piccoli don Chisciotte crescono, anche al mio paese, a passeggio sul lungomare parlando di Barrio, Pugliese, Filottete... e prima o poi qualcuno la riscriverà la bella storiella d'Italia, dei mille, dei terroni cattivi, di Arlecchino, di Pulcinella, ma spero che lo faccia con indipendenza culturale e rigore scientifico...
PS: non mi sfugge un piccolo refuso contenuto in una frase in dialetto, ma è pochissima cosa, per cui sorvolo. Segnalo, invece, l'interessante parte dedicata alla melanconia come caratteristica del 'meridionale tipo', almeno secondo certa letteratura... era qualcosa che sentivo ma che ancora non avevo 'inquadrato'. Un libro serve anche, o forse soprattutto, a questo, a chiarirsi, no?

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