Nessuna premessa, non sono all'altezza, del resto se qualcuno dovesse imbattersi in questo post sarà senz'altro un cultore della materia, quindi più preparato di me (cosa più che normale e facile). Mi limito a proporre la trascrizione del capitolo dedicato da Pietro Giannone (Ischitella 1676 - Torino 1748) alle 'Quattro lettere arbitrarie', in Istoria Civile del Regno di Napoli, volume II libro XXII cap. V, 1723, opera che al Giannone costò la scomunica e l'esilio, oltre alle critiche di Manzoni che lo accusò di ripetuti plagi.
Catavuru.
(Immagine da Wikipedia)
PIETRO GIANNONE
ISTORIA CIVILE DEL REGNO DI NAPOLI, 1723.
VOLUME II, LIBRO
XXII, CAPITOLO V: DELLE QUATTRO LETTERE ARBITRARIE
Fra' capitoli del Re Roberto, non sono meno
celebri i Conservatori regj, che le quattro Lettere Arbitrarie: riconoscono per
Autore anch'elle questo savio Principe, il quale usando ora rigore, ora
clemenza, secondochè la quiete e la tranquillità del suo Regno richiedevano, le
drizzava alli Giustizieri delle province. Ne leggiamo ancora un'altra diretta a
Giovanni di Haya Maestro Giustiziero e Reggente della Corte della Vicaria, la
quale in alcuni esemplari va sotto la rubrica: Litera arbitralis; in altri sotto il titolo: De Praeminentia M. C. Vicariae, e comincia: Si cum sceleratis. Quest'ultima, come quella che contiene le grandi
prerogative che furono solamente concedute al Gran Giustiziero e suo Tribunale,
e non gli altri Giustizieri delle province, come di procedere contro i
disrobatori di strade, omicidi, ladri famosi, ladroni ed altri, per loro gravi
ed infami delitti, senza accusa e senz'ordine; e di poter procedere col solo
processo informativo alla tortura de' rei (prerogativa, che unicamente
s'appartiene al Tribunal della Vicaria): ciò che non essendo stato ad altri conceduto,
siccome furono le altre quattro lettere arbitrali drizzate a' Giustizieri della
province, quindi avvenne, che questa non si annoverasse tra le quattro, ma le
facessero passare sotto il titolo de
Praeminentia M. C. Vicariae. Girolamo Calà (a)
nel Trattato che compilò sopra questo oggetto, credette che tal prerogativa non
dal Re Roberto fosse stata data a questo Tribunale, ma che prima l'avea già
avuta da Carlo II suo padre per lo capitolo in
accusatis; e che per questo capitolo si
cum sceleratis, da Roberto le fosse stata tolta più tosto che conceduta,
vedendosi essere stato quello drizzato a Giovanni di Haya, a cui unicamente fu
conceduto tal arbitrio per le sue particolari ed eminenti virtù di fede , di
giustizia e di zelo, e d'odio contro gli scellerati: dice però che da Roberto
fu restituita tal preminenza a questo Tribunale per lo Capitolo juris censura, e per l'altro provisa juris sanctio. Ma non bisogna
allontanarsi da quel che sentirono gli altri nostri Scrittori regnicoli ,
essere stata tal autorità ad arbitrio conceduto da Roberto a Giovanni, non già
per le sue particolari virtù, ma come Gran Giustiziero della G. C. della
Vicaria, per cui venne comunicata al suo Tribunale. Assai più s'ingannò quest'
Autore, quando scrisse, che da Roberto le fosse stata restituita tal preminenza
per li Capitoli juris censura, e provisa juris sanctio, come se quelle
lettere fossero state drizzate al Gran Giustiziero di quel Tribunale. Il
Capitolo juris censura, come si vedrà
più innanzi, fu drizzato al Capitano di Napoli, Ufficiale, come si è detto, ch'
era allora affatto diverso, e distinto dal Giustiziere della Vicaria: e l'altro
conviene a tutti i Giustizieri delle province, non già unicamente al
Giustiziere della G. C.
Furono chiamate Lettere Arbitrarie, non
solo perchè Roberto le concedè rivocabili a suo volere e beneplacito; ma anche
perchè si commetteva all'arbitrio degli Ufficiali di procedere ne' delitti in
ogni tempo, o con tortura o senza, o con accusa, o per inquisizione, ovvero con
composizione, usando clemenza, o con imporre le pene stabilite dalle leggi,
usando rigore. Una di queste lettere porta perciò il titolo: De Arbitrio concesso Officialibus.
L'altra, de Componendo, et Commutatione
poenarum. La terza, Quod latrones ,
disrobatores stratarum, et piratae omni tempore torqueri possunt; e
l'altra, de non procedendo ex officio,
nisi in certis casibus, et ad tempus. Quella che fu drizzata a Giovanni di
Haya pure fu detta Lettera Arbitrale;
perchè nella fine si leggono queste parole: In
his enim tibi plenam potestatem meri, et mixti Imperii, ac arbitrium competens
duximus concedendum. È da credere che fosse stata dettata da Bartolommeo di
Capua, come quella, che porta la data del 1313, quinto anno del Regno di
Roberto.
Fabio Montelione da Girace in quel suo
ridicolo Commento, che fece nell'anno 1555 sopra queste quattro Lettere
Arbitrarie, dedicato da lui a Carlo Spinelli I, Duca di Seminara, portò
opinione, che la prima lettera arbitrale fosse quella, che tra ' capitoli del
Regno leggiamo sotto la rubrica De non
procedendo ex officio, ec. la qual comincia : Ne tuorum : ma se deve attendersi l'ordine de' tempi, dovrà quella
riputarsi l'ultima, non la prima. Fu questa istromentata per Giovanni Grillo
Viceprotonotario del Regno, dopo la morte di Bartolommeo di Capua, nel 1329
ventesimo primo anno del Regno di Roberto, come porta la sua data; la quale
deve correggersi , ed in vece di Regnorum
nostrorum anno 20 deve leggersi anno
21. In questa si dà arbitrio e potestà a ' Presidi e Capitani di poter procedere
ex officio in alcuni delitti, senza
querela, o accusazione, cioè in tutti quelli, dove dalle leggi vien imposta
pena di morte civile o naturale, ovvero troncamento di membra: ove si tratti
d'ingiuria inferita a persone ecclesiastiche, pupille e vedove: e finalmente
negli omicidj clandestini, ove non appaja accusatore alcuno.
Più antica certamente fu quella, che
leggiamo sotto la rubrica de Arbitrio concesso Officialibus; che comincia:
Juris censura. Quella fu dettata da Bartolommeo di Capua nel 1313 quinto anno
del Regno di Roberto, come è chiaro dalla sua data somministrataci da Jacopo
Anello de Bottis nelle sue addizioni a questo capitolo. A chi fosse stata
drizzata, ce ne mette in dubbio l'edizione vulgata, nella quale si legge: Magistris Rationalibus, etc. e Bottis,
il quale riferisce in altre edizioni leggersi indrizzata Iustitiario
Basilicatae. Ma dal corpo della lettera è facile conoscere, che quella fosse
stata drizzata al Capitano di Napoli, poichè si commette al suo arbitrio, e
potestà, per li frequenti eccessi, che si commettevano nella città di Napolo e
di Pozzuoli, e ne' loro distretti, dove erano insorti famosi ladroni,
disrobatori di strade, incendiari, rattori violenti, ed altri autori d'enormi
scelleraggini, e d'infami delitti, che procedesse in quelli con ogni severità e
rigore, postergato ogni ordine, non osservate le regole comuni prescritte ne'
Capitoli del Regno; ma attendendo solamente alla pura e semplice sostanza della
verità, col consiglio del suo Giudice, sterpi, e svella da que' luoghi questi
reprobi, ed uomini sì rei, affinchè ritorni in quelli la quiete, nocendi, facultas abeat, et pacis optata
amoenitas suavius raviviscat. È noto, che al Capitano di Napoli
s'apparteneva in quei tempi anche il governo di Pozzuoli e suo distretto, come
fu chiaramente dimostrato da Camillo Tutini nel Teatro de' Gran Giustizieri del
Regno, e da noi altrove fu rapportato.
L'altra lettera arbitrale, che leggiamo
sotto la rubrica: Quod latrones,
disrobatores, etc., e che comincia: Provisa
juris sanctio, non vi è dubbio, che pure fosse stata da Roberto scritta per
mano di Bartolommeo di Capua, poichè sopra della medesima abbiamo di questo
Giureconsulto alcune note. Si dà facoltà per la medesima a' Giustizieri del
Regno, che contro gl'insigni ladroni, che nelle strade, nelle case ed in mare
rubano, e contro altri malfattori notati di maggiori scelleraggini, possano
procedere in ogni tempo a tormentargli, eziandio in giorno di Pasqua, senza
accusatore, senza ricercar plegierie, a loro arbitrio e facoltà.
L'ultima si legge sotto il titolo, de Componendo et Commutatione poenarum,
e comincia: Exercere volentes benigne.
In questa Roberto, temperando il molto rigore finora praticato, permette a'
suoi Ufficiali, e dà loro potestà di poter componere, e commutare con multe
pecuniarie le pene stabilite dalle leggi in questi delitti, cioè d'asportazione
d'armi, per gli omicidj clandestini; commutar le pene che gli Ufficiali
medesimi avranno imposte ne' loro banni o che imponeranno nell'avvenire
all'università o persone particolari le pene delle difese, de parendo juri, e
nell'altre arbitrarie, e nelle multe. In tutti questi casi loro si permette,
avuto riguardo alla povertà, in certa
quantitate pecuniae componere pro curiae nostrae parte.
Fu per questa lettera arbitrale Roberto
biasimato d'avarizia de' suoi detrattori, e che avesse perciò oscurata la fama
delle altre virtù sue; e Scipione Ammirato ne' suoi Ritratti rapporta, che
questo savio Re fosse stato perciò biasimato d'avarizia, e creduto essere stato
cagione delle molte discordie e divisioni, che nacquero in molte città del
Regno tra' lor Cittadini per le composizioni, ch'egli traea dagli misfatti dei
suoi sudditi, più in danari che in sangue; e ch'egli era solito scusarsi con
dire, che tutto ciò gli conveniva di fare per aver onde nudrire cotante armate,
che quasi ogni anno era costretto di mettere in punto per la ricovrazione del
Regno di Sicilia. Ma chiunque considereà, che Roberto queste composizioni le
ristrinse a certi non gravi delitti con tanta riserva e moderazione, ed avuto
ogni riguardo alla condizione delle persone, ed a molte altre circostanze,
secondo l'arbitrio d'un uomo prudente e da bene, non lo condannerà certamente
per sordido ed avaro.
Queste sono le cotanto presso di noi
celebri e famose Lettere Arbitrarie, sopra le quali sin da' tempi della Regina
Giovanna I, il Viceprotonotario Sergio Donnorso fece un Commento, del quale fa
egli menzione nelle note a' Capitoli del Regno (a), e
di cui fu anche ricordevole Pier Vincenti nel suo Teatro dei Protonotari del Regno
(b);
le quali nell'investiture dei Feudi furon da poi concedute a' Baroni insieme
col mero e misto imperio; non che Roberto avesse quelle a loro concedute,
poichè esse furono drizzate a' Giustizieri, non a ' Baroni, i quali allora non
aveano giurisdizion criminale, nė il mero e misto imperio, siccome aveano I Giustizieri
delle province. I Baroni insino al Regno d'Alfonso I d'Aragona, ovvero, come
credettero alcuni, di Giovanna II, non aveano nelle loro terre e castella, che
la giurisdizion civile. Non potevano prima d'Alfonso i Feudatari, che
possedevano terre con Vassalli, esercitar altra giurisdizione, se non quella
infima e bassa, indrizzata unicamente a sedar le liti e le discordie, che
sogliono nascere tra gli abitatori de' luoghi, creando a questo fine alcuni
Ufficiali annuali chiamati Camerlenghi, i quali non avean altra giurisdizione,
che di conoscere e giudicare d'alcune cause minime e sommarie.
I Giustizieri delle province ed il Tribunal
della Gran corte erano quelli Magistrati, che esercitavano l'alta e piena
giurisdizione sopra tutti i castelli e luoghi del Regno (c).
Non altrimenti che
praticavasi a' tempi
de' Romani, i quali nelle loro città e terre aveano minori Magistrati, che
s'eleggevano dal Corpo delle medesime chiamati Defensores, dai quali s'esercitava una bassa, ed infima
giurisdizione , consistente nella cognizione delle cause minime, e sommarie
civili.
In luogo di questi Difensori, secondo avvertì a proposito Andrea d'Isernia (a),
succederono poi nel nostro Regno i Baglivi de' luoghi, i quali conoscevano
delle cose civili, de' furti minimi, de' danni dati, dei pesi e misure, e d'altre
cause leggieri, e di picciolo momento (b). Ma
le cose più gravi e massimamente quelle, che riguardavano il mero imperio, e la
giurisdizione criminale, secondo le leggi de' Romani, appartenevano a' Presidi
delle province, in vece de' quali da poi nel nostro Regno furono costituiti i
Giustizieri delle Regioni (c). E
però non è maraviglia, che le concessioni delle Terre con vassalli, portassero
con esso loro quell'infima giurisdizione, come a loro coerente, e da esse inseparabile,
e non il mero imperio e la giurisdizion criminale, che non poteva dirsi alla medesima
coerente, siccome quella, che non da' proprj Magistrati, ma da' Presidi prima
soleva esercitarsi, e da poi non da' Baglivi dei luoghi, ma da' Giustizieri
delle regioni.
Marino Freccia (d)
testifica perciò , che avendo egli letto il privilegio che fece Carlo I
d'Angiò, quando donò al suo figliuolo unigenito la città di Salerno col titolo
di Principato, con altre terre e città, come Ravello, Amalfi , Sorrento, Nocera
e Sarno, gli concedè solamente in questi luoghi la giurisdizione civile, e fu
notato per cosa rara, che nella città di Salerno gli concedesse ancora la
giurisdizion criminale, circoscritta però dal circuito delle mura, e dentro
quelle ristretta, e non oltre ; ma ciò fu propter
titulum suae dignitatis , come dice questo Scrittore, poichè in questi
tempi i Baroni non aveano giurisdizion criminale . Chi cominciasse a
concederla, vario e discorde è il parere dei nostri autori. Matteo d'Afflitto
(e),
Grammatico (f),
Caravita (g),
il presidente De Franchis (h),
ed altri sostennero, che il primo fosse stato il Re Alfonso I d'Aragona; e
quest'ultimo Scrittore dice non essersi ciò posto in uso, se non da' Re
Aragonesi. Altri, come Francesco d'Amico (i),
il reggente Capecelatro (k) e
Capobianco (l),
la riportano un poco più in dietro, cioè a' tempi della Regina Giovanna II; ma
se dobbiamo credere a quel gravissimo istorico, Angelo di Costanzo (a),
bisognerà dire, che il nostro Re Roberto fosse stato il primo. Favellando
questo Scrittore della liberalità di questo Principe, narra, che per infiniti
privilegi conceduti a' Baroni, a Cavalieri particolari, tanto Napoletani quanto
dell'altre terre del Regno, si vedea quanto fosse stato verso i medesimi
liberalissimo, a' quali donò Titoli, Castella,
e Feudi con giurisdizioni criminali, essendo fin a quel tempo costume, che rarissimi
de' Conti del Regno avessero la giurisdizione criminale nelle lor terre; e
questo Istorico medesimo rapporta ancora, che il Re Ladislao concede la
giurisdizione criminale ad Antonello di Costanzo sopra Tevarola, dov'egli ed i
suoi per ottanta anni non avevano avuto altro che la civile (b).
Che che ne sia, se Roberto o altri suoi
successori a qualche suo benemerito avesse usata questa insolita liberalità ,
egli è certo, che da Alfonso I e dagli altri Re aragonesi suoi successori,
furon poste in uso; e con maggior frequenza fu , nelle concessioni fatte ai
Baroni, data la giurisdizione criminale , o nell'investiture fu conceduto loro
anche la potestà, ed arbitrio contenuto in queste quattro Lettere Arbitrarie,
ed oggi si è ridotto a stile, e quasi formolario di tutte l'investiture , che
si danno, di mettervi anche questa facoltà per clausola.
Da ciò, n'è nato, che siccome prima queste lettere
erano a beneplacito ed arbitrio del Principe, rivocabili e ristrette a certi
confini ; così per quel che riguarda le persone de ' Baroni, per le
concessioni, che ne tengono nelle loro investiture, sono irrevocabili; e
maggiore si vide in ciò essere stata l'autorità, ed arbitrio dei medesimi, che
degli Ufficiali regi, a' quali (come al Reggente e suoi Giudici della G. C.
della Vicaria, a' governadori delle province, Capitani delle terre ed altri
Ufficiali del Regno) fu prescritto dall'Imperador Carlo V per mezzo di sue
prammatiche (c)
il modo di componere i delitti e commutar le pene corporali in pecuniarie, e
vietato di farlo senza suo consenso o del Vicerè del Regno, e senza rimession
della parte offesa, o ne' casi che si dovesse imporre pena di morte naturale ,
o di troncamento di membra. E poichè a' Baroni si trovavano concedute quelle
lettere , affinchè il loro arbitrio stasse ristretto fra' termini del dovere e
di giustizia; quindi l'istesso Imperador Carlo V con altra sua particolar
prammatica (d)
stabilita per li Baroni e loro Ufficiali ordinò che non dovessero abusarsi
della facoltà, che tenevano nella commutazion delle pene, ma servirsene fra'
termini del giusto e con ragionevol modo: minacciandogli in caso d'abuso della
privazione dei loro privilegj.
(b) Id. Hist. lib. 12 in fin.
(c) Pragm. la
sperata delictorum venia pragm. Et quia, etc.