Quarta puntata.
Capo delle Colonne detto anco Nao, detto Promontorio
Lacinio,
et più anticamente chiamato stortingo.
CAPITOLO XI: 67
Questo Capo delle Colonne, che hora diciamo,
fù primieramente detto Promontorium stortingum, come dice Isacio
Interprete di Licofrone, e sta detto di sopra, e che poi fu detto Lacinio da
Lacinio Corcirio Socero di Crotone, e l'Interprete di Teocrito dice così detto
da Lacinio, che diede la sua figlia Laura per moglie à Crotone: Plinio,
Pomponio, Mela, Tolomeo, e altri, Lacinio lo chiamorno, Diodoro nel 13. lib.
dell'historie, e Appiano Alessandrino nel quinto, e Servio dichiarando quelle
parole del 3. lib. di Virgilio, Attollit se Diva Lacinia contra,
affermano che fù detto Lacinio da Lacinio Rè, il quale dal suo nome diede il
nome al Promontorio, e al Tempio della Dea Giunone Lacinia, che vi edificò:
ancorche Isacio dice, che i Crotoniati fecero quel Tempio dedicandolo alla Dea
Theti Giunone per li molti benefici ricevuti; altri dicono, che Ercole havesse
edificato questo Tempio, e postole il nome di Lacinio, come frà l'altri dice il
Boccaccio lib. 13 della Genealogia degli Dei parlando di Ercole, e se n'è
ragionato altrove.
Tito Livio parlando di questo Tempio nel 14.
così dice: Sex millia aberat Urbe (parlando per Crotone) nobile Templum ipsa
Urbe erat nobilius, Lacinia Iunonis, Sanctum omnibus circa populis. Lucus ibi
frequenti sylva , & proceris abirctis arboribus septus. Lata in medio
pascua habuit, ubi omnis generis sacrum Dea pascebatur pecus sine ullo pastore, separatimque egressi cuiusque generis greges
nocte remeabant ad stabula; nunquam insidijs ferarum, non fraude violari hominum; magni verò fructus ex eo pecore capti,
columnaque inde aurea solida facta, et sacrata est, inclitumque Templum
divitijs etiam non tantum sanctitate fuit, ad miracula aliqua affinguntur,
plerumque tàm insignibus locis. Fama est aram esse in vestibulo Templi, cuius
cinerem nullas unquam moveat ventus.
Tutto questo affermano anco Plinio lib. 2. cap. 100. & Valer. Maſſ. nel
primo.
Da queste parole di Livio s'intende, che
questo Tempio era sei miglia discosto dalla Città di Crotone, che il Tempio era
più nobile dell'istessa Città, venerato molto da tutti li popoli convicini, vi
era un bosco folto d'alberi, questo bosco hoggi chiamasi la fossa dello Lupo
come sta detto, nel cui mezzo erano pascoli fecondissimi, dove senza pastore
pascevano ogni sorte d'animali dedicati alla Dea, e separati di ogni spetie la
sua grege uscivano a pascere, e la sera se ne ritornavano nel medesimo bosco,
dove giacevano; questi animali da insidie de fiere, ò inganno di mal'huomini
non furo danneggiati giamai, e essendosi fatta una gran massa di denari dal
frutto di quelli animali, se ne fondò una colonna d'oro massiccia, e consacrata
alla Dea, tanto fù inclito, e superbo questo tempio di ricchezze, più che di
santità; per li tanti miracoli si affigenano tanti voti; è fama publica, che
nel vestibolo del Tempio vi era un'altare, sopra il quale erano certe cenere,
quale nessuno vento potè mai movere, come sta detto, con l'auttorità detta di
sopra.
Et Isacio dice, che il Sacerdote sacrificava
sopra un picciolo scudo. Strabone afferma, che questo Tempio fù sontuossimo, e
ricchissimo. Dionisio Alicarnasio dice, che Enea passando per questi luoghi
smontò in Crotone, e andato a visitare il Tempio, le fece dono d'una tazza di
bronzo, nella quale si leggeva, come quella era stata data alla Dea da detto
Enea, in queste parole tradotte in lingua latina dal Greco:
Aeneas
in Templo Iunonis pateram aneam reliquit.
Girolamo Bardi, e il Doglioni nel Teatro de
Prencipi prima parte, volume primo dice che Enea venne in Italia nell'anni del
Mondo 2786. Livio nel 28. lib. dice, che Anibale conduttore dell'esercito
Cartaginese vi dimorò un'estate, e vi fece erigere un'ara dedicandola al
Tempio, e in uina tavola di bronzo vi fece scolpire in lettere Cartaginese, e
Greche tutte le guerre, vittorie, e gesti fatti da lui, la quale tavola con
dette inscrittio dice haver visto in questo Tempio Polibio nel 3 lib. delle sue
historie, e altroue; mà nell'istesso lib. dice detto Livio Anibale havervi
fatto anco erigere una colonna, dove si vedeva descritto il numero
dell'esercito suo, ancorche Plutarco dice nella vita di Anibale non havervi
fatto erigere un'ara, mà uno arco con detta inscrittione.
Detto Livio nel 14. dice, che Anibale volse
riconoscere se quella colonna d'oro, già detta fosse d'oro massiccia, e che
perciò la fece perforare, ritrovandola tutta d'oro, se la voleva già portar
via; ma l'istessa notte (secondo Celio appresso Marco Tullio nel primo della
divinatione) l'apparve la Dea admonendolo molto turbata che non havesse ciò
fatto, altrimente l'haverebbe fatto perdere quell'occhio bono, che l'era
rimasto, mentre l'altro l'havea perso in Toscana; inteso questo Anibale pentito
di quanto haveva fatto, fece fare una bacchetta di quella polvere d'oro, che si
era fatta nel pertugiar la colonna, e la fece ponere nella sommità di quella;
mà poi detto Anibale, conforme dice Livio nel 39.volendo passare in Africa
disperato delle cose d'Italia volevaſi portar seco molti italiani, dico gente
di questo paese, quali ricusando, se ne fuggirono in questo Tempio, e egli
sdegnato dentro l'istesso Tempio li fece miseramente morire; non essendo stato
mai più prima da persona veruna violato.
Livio istesso dice, che nel sudetto Tempio
solevasi ogn'anno fare una solennità chiamata da’ Greci Panegiris; ciò è
uniuersale conventione, perche venivano da tutte le parti d'Italia, non solo
dalla Magna Grecia, l'huomini & le donne ad honorare la Dea Lacinia, &
in una Festa, nella quale conforme al solito erano concorsi infinite migliaia
d'huomini, e di donne, vi si mostrò, secondo anco dice Aristotile nel suo lib.
delle mirabile Auscultationi, la veste d'Alcistone Sibarita, la quale era
lavorata con tanto magisterio, e arteficio, che recò non poca admiratione a
chiunque la mirò; fù questa veste comprata da’ cartaginesi cento vinti talenti
(quale viene valutata in questa nostra moneta in ducati settanta dui milia,
perche ogni talento importava seicento scuti), vendutali da Dionisio, il che
afferma anco Nicolao Leonico Thomeo de varia historia lib. primo, cap 88. ella
era tutta purpurea di amplitudine di quindeci cubiti lavorata con certi
animalucci di Susa dalla parte di sopra & dalla parte di sottodi Persia,
nel mezzo si vedeva dipinto, Giove, Giunone, Themi, Minerva, Apolline &
Venere, & nelli lati Alcistone dell'una parte, & dall'altra Sibare sua
patria, tutta lavorata ad aco, & era anco, secondo Giovanne Tzetze, ornata di
bellissime, & ricchissime margarite, e altre pietre pretiose. Testore nella
seconda parte della sua officina raggiona di questa veste ancora.
Quel dottissimo D. Antonio de Ponte, che
tanto tempo resse scuola di Grammatica in Crotone in un certo suo scritto à
penna, raccontando un suo viaggio, così disse parlando della spiaggia di Italia
da questa parte: A Crotoniarum salubri Lacinio quod hodie Naum a mirabili
Iunonis templo appellant, vada, enim id sonat noster maritimus cursus vela
primum pandat in altum, ubi Populi Romani fulmen Anibal columnas res belli sua
ordine continentes erexit, inde in primo Italia cornu Orientem quod, et Divae
Mariae caput, & Leuca dicitur attollit se Promontorium Salentinum &c.
Cicerone nel secondo dell'inventioni dice, che
voIendono i Crotonesi fare abellire questo Tempio, e ornarlo di bellissime
figure, fecero venire in essa Città Zeusi il più illustre Pittore di quella
età, costui pinse bellissime pitture, delle quali una gran parte per inſino à
suoi tempi per honor de la Dea si conservavano; & volendo pingere
un'imagine di Giunone, studiò per farla una delle più belle, che mai fosse
stata, perilche disse à Crotonesi egli in tal quadro voler dipingere il
simulacro d'Elena, costoro, come che ben haveano inteso Zeusi nel dipingere un
corpo di donna avanzare tutti i Pittori del mondo, diedero orecchie alla grata
domanda, giudicando, che se s'havesse preso fatica nel pingere un tal corpo di
donna, conforme la sua peritia in questa arte, sarebbe stata poscia questa
pittura una cosa mirabile al Religioso, e ben forbito Tempio, nè l'ingannò
punto tal pensiero; perche Zeusi li domandò voler vedere le vergini belle della
città, eglino subbito senza tardare, lo trassero in una palestra, mostrandoli
molti fanciulli di gran leggiadria, & bellezza, li quali visti Zeusi così
belli, e di tale corporea dispositione adorni, restò quasi attonito, e
stupefatto, confessando in tutto il mondo non possersi trovare, nè lui havere
visto giamai tale dispositione di corpi: soggiunsero i Crotonesi, che le
sorelle di quelli fanciulli erano à loro simili: perilche Zeusi le domandò
queste verginelle; acciò nel dipingere s'havesse servito della loro sembianza,
à proportione, i Crotonesi subito ridussero in uno luoco quelle Vergine, dando
potesta al Pittore, che sciegliesse di quelle quali esso voleva: n'elesse
cinque delle cui nomi molti Poeti ne fanno mentione, come dice Cicerone,
esistimando Zeusi, che in uno sol corpo, non posseano stare tutte insieme
quelle dispositioni, che si ricercano per formare una perfetta bellezza in un
simolacro.
Le parole di detto Marco Tullio Cicerone nel
detto secondo lib. dell'Inventioni sono queste, così poste in latino per
maggior sodisfattione de’ curiosi Lettori: Crotoniata quondam cùm florerent
omnibus copijs, et in Italia cùm in primis beati numerarentur, Templum lunonis,
quod religiosissime colebant egregis picturis, locupletare voluerunt; Itaque
Eracleotem Zeusim, qui tum longe caeteris excellere pictoribus existimabatur
magno pretio conductum adhibuerunt is, et caeteras tabulas complares pinxit,
quarum nonnulla pars usque ad
nostran memoriam propter sani religionem remansit; & ut
excellentem muliebris forma pulcritudinem
muta in sese imago contineat, Helenae se pingere simulacrum velle dixit; quod
Crotoniata, qui eum muliebri in corpore pingendo plurimum alijs praestare saepe
accepissent, libenter audierunt. Putaverunt.n. eum, si quo in genere plurimum
posset, in eo magnoperè elaborasset, egregiam sibi opus illo in sano
relicturum, neque tamen cosilla opinio sesellit: nam Zeusis illicò
quaesivit ab eis, quas nam virgines formosas haberent, illi autem statim
hominem duxerunt in palestram, atque
ei pueros ostenderunt multos magna praeditos dignitate. Etenim quodam tempore
Crotoniate multum omnibus, corporum viribus; & dignitatibus antesteterunt,
atque honestissimas, et gymnico certamine victorias domum cum maxima laude
retulerunt, &c. per il resto
rimetto il curioso Lettore al detto lib. di Cicerone.
Plinio nel 35. delle ſue historie naturali
dice, che a Zeusi fece questa pittura alli Agrigentini in Sicilia, e questo
forse per errore di stampa, la quale pittura così ben proportionata, e
perfettionata Zeusi non aspettò, come dice Valer. Massimo nel capitolo settimo
del terzo lib. il giuditio, che di tal'opra l'huomini far dovessero; mà subito
vi scrisse di man propria alcuni versi greci d'Homero, li quali secondo la
translatione d'Oliverio Arziganese sonano in latino:
Haud
turpe est frons, fulgenteque aere pelasgos
Coniuge
pro tali diuturnos ferre laboris
Aeternis
facies nimis est aequanda Deabus.
Perilche si vede chiaramente Zeusi tanto
havere attribuito alla sua destra, e tenuto per fermo egli con quella pittura
haver compreso ciò che la detta figliola di Tindaro, e madre d'Elena
ingravidata da Giove havesse partorito, & ciò che potè mai esprimere Homero
col suo acuto ingegno, e Ludovico Ariosto Poeta eccellentissimo al nostro
proposito, raggionando delle bellezze di Olimpia nel suo vindecimo canto così
và dicendo:
E si fosse costei stata à
Crotone,
Quando Zeusi l'imagine far
volse,
Che por dovea nel Tempio
di Giunone,
E tante belle nude insieme
accolse,
E che per una farne in
perfettione,
Da ch'una parte, e da
ch'un'altra tolse
Non dovevasi torre altra,
che costei,
Che tutte le bellezze
erano in lei.
Et Lodovico Dolce nel Tempio
della Signora Donna Geronima Colonna così disse:
Zeusi già per formare una
figura,
In cui locasse
ogn'eccellenza d'arte,
Da cinque belle con
estrema cura
Tolse sciegliendo la più
bella parte;
Onde tal poscia fù la sua
pittura,
Che l'honorano ancor tutte
le carte;
Perche in un corpo, veder
non potea
De la vera beltà la
propria Dea.
Licofrone nella sua Cassandra dice in questo
Tempio essere venuto Menelao, & Achille, & altri Greci, & Troiani
ancora ad offerire alla Dea pretiosissimi doni, così dicendo in latino il suo
Interprete tradotto dal Greco:
Venietgue ad Syrim, et
Lacinij recessus
In quibus inventa ortum parabit Dea
Hoploſomia plantis ornatum
Mulieribus vero lex incolis
semper
Lugere noctem cubitorum
Aeaci tertium,
Et doridis flammam miserae
pugnae,
Et neque auro pulchra
armare membra,
Neque tenuissimo filo
contexta inducere Pepla
Purpura variegata quanto
Dea Deus
Terra magnum stortingum
donauta condere.
In questo Tempio scrive Livio nel 23.
havervi sbarcato Senofane con altri legati da Filippo Rè di Macedonia mandati
ad Anibale, il quale caminando per la Puglia verso Capua, capitò nel mezzo
delli presidij Romani, e fù menato à Marco Valerio Pretore, che all'hora stava
accampato a Nocera; mà egli sottofintione d'essere mandato da Filippo à trattar
pace co’ Romani, hebbe luoco di passare nel campo d'Anibale, con il quale
concluse la pace, e la lega, e poi tornaro nel detto Tempio, dove havea
lasciato la nave con detti suoi compagni s'imbarcò, e soggiunge detto Autore,
che non solamente si vedeva ornato detto Tempio di tante eccessive ricchezze,
ma vedeasi rilucer gran reverenza, & osservanza da’ servitori & persone
che lo servivano essendo tutti legali, e fedeli senza fraudarle cosa veruna.
In questo Tempio violato da Quinto Fulvio,
come si legge appresso Livio nel quarantesimo secondo, dove racconta, che
havendo fatto voto detto Quinto Fulvio Flacco Censore Romano in Spagna nella
guerra Celtiberica di edificar alla Fortuna Equestre un Tempio, usò ogni studio
di farlo il più magnifico, & pomposo Tempio, che in Roma fosse giamai
veduto. Quindi, giudicando esser di non poco ornamento alla fabrica di quello
se le tegole fossero state marmoree, havendo visto quelle in questo Tempio, lo
fè scoprire per la metà, giudicando quella parte bastare per coprire il suo
(tanto era grande questo Tempio) & carricate le navi, tosto nel destinato
luoco furono le tegole conforme l'ordine del Censore portate nel tempio,
ch'egli edificava, & quantunque facesse ciò con ogni secretezza possibile,
subito nulladimeno se ne sparse la fama per tutto Roma, talche nacque in Corte
un romore, che d'ogni parte si sentivano voci, che li Consoli ciò dovessero al
Senato proponere; erano Consoli Lucio Postremio Albino, & Mario Papilio
Lenate; onde per tal causa chiamato il Censore, & venuto dentro al Senato
fù da tutti molto aspramente di tal cosa commessa biasimato, ributtandole in
faccia che fosse parso poco haver violato il più religioso, devoto & il più
gran Tempio di tutta Italia, & che nè Pirro, nè Anibale odiosi, &
inimici del nome Italiano l'havevano voluto violare per la riverenza, che
portavano alla Dea Giunone, il che per cosa di poco momento reputata sarebbe,
s'egli non l'havesse, così obbrobriosamente senza risguardo alcuno, quasi
rovinato, non che discoperto; posciache di forte rimaneva spogliato del
Pinnacolo, che restava ad esser tutto infracidito, & guasto per le pioggie,
& le tempeste, dicendoli ancora, che l'officio del Censore a questo fine da’
loro maggiori era stato instituito, acciò havesse constretto altri à far
racconciare i tetti dell'edifici sacri, e quelli accuratamente mantenesse, e
non che andasse per le Città loro confederate, rovinando i Tempij, &
denudando quelli; il che quando, pur nelli privati edifici dei confederati si
facesse, sarebbe degno di riprensione, supplicio, quanto maggiormente nelli Dei
immortali, obligando il Popolo Romano à così grave peccato edificando Tempij
con rovinar altri Tempij, come che li Dei immortali non fossero per tutto; ma
alcuni si dovessero honorare con le spoglie dell'altri dell'inimici, &
fatta questa reprensione ordinorno, che sottoformidabile pene le tegole si
riportassero, e riponessero nel Tempio al luogo loro con fare a Giunone
sacrifici per purgare così fatta sceleraggine, e dopò non molto tempo riferirno
i conduttori, à quali era stato il carico di riportarle al detto Promontorio
Lacinio, le dette tegole haverle lasciato nella piazza del Tempio, per non
haversi possuto ritrovare artefice, ch'avesse possuto ritrovar il modo di
riponerle al luogo loro. Soggiunge detto Livio, che detto Quinto Fulvio Flacco
la pena di tal sacrilegio pagò molto miseramente, perciò che di due suoi figli,
li quali erano per all'hora stipendiarij nell'Illirico, gli fu riferito, uno
essersi passato dal campo, e l'altro di grave, & pericolosa infermità
ritrovarsi aggravato, le quali cattive novelle subito ch'egli l’intese di
pianto, & di timore grandissimo assalito, fù tale, che, entrati i suoi
seruitori la mattina, conforme al solito, nella camera, ritrovorno quello
pendere per un laccio al collo, così infelicemente terminando la sua vita;
benche era fama, che deposto dell'officio di Censore divenne pazzo, lo che
publicamente si diceva esserli avvenuto per ira, & sdegno della detta Dea
Giunone Lacinia; il tutto racconta detto Livio, & anco Valer. Maſſ. nel
secondo cap. del primo libro.
Fù anco detto Tempio esposto in preda da
Sess. Pompeo il Giovane ad Antonino quando fù posto in fuga, come si racconta
in Appiano Alessandrino nel quinto lib. delle guerre civili; questo sarà stato
intorno all'anni del Mondo 3982. conforme il computo degl'anni di Girolamo
Bardi nelle sue età del Mondo.
Quanto era grande il Territorio di questa Città, con
le Città, & Terre, che stavano sottoil suo diretto dominio.
CAPITOLO XII: 77
Habbiamo descritto la grandezza della Città,
il Castello, il Porto, la sua Piazza, li Tempij, le statue, le Fontane, li
Fiumi, li Torrenti, l'Acque, li Monti, le Valle, li Giardini, li Boschi, &
quanto dentro, & suora le mura della Città trovavasi: adesso habbiamo à
trattare quanto stendeua il suo Territorio, dominio, & potesta con le
Città, Terre, Fiumi, Valle, Monti, & altro di bene, che questi luochi
producano, & ne' tempi antichi erano apparenti.
In
quanto alla grandezza del territorio, hò letto in Tucidide nel settimo libro,
che l'essercito Atheniese , quando stava sottoil governo di Demostene, &
Eurimedonte, havendoſi accoppiato amicitia con quelli della Republica Turina,
finita ch'ebbe l'espeditione, per non aggravare con la moltitudine de’ soldati
a essi Turini,volle trapassare nel territorio Crotonese, & gionto, che fù
con li soldati nel fiume Ilia, hoggi detto Trionte, non permisero Crotonesi,
che passassero oltre il fiume, non volendo in modo alcuno concederli luogo nel
territorio loro, perloche habbiamo, ch'el fiume Ilia era termine antico del
territorio Crotonese, quale fiume Ilia, seu Trionte, conforme si chiama hoggi,
è nella parte Orientale di Calabria, già detta Magna Grecia; l'altro termine
Occidentale del territorio Crotonese era anticamente, conforme al detto di
Plinio, e di Solino, la Città Terina, hoggi detta Nucera di Castiglione,
dall'istessi Crotonesi fabricata in una pianura vicino un Castello maritimo,
detto Castiglione, dal quale prende il nome, ma perche più oltre della detta
città Terina si vede un'altra Città destrutta dall'istessi Crotonesi, chiamata
Cleta, qual'hoggi dopò la sua riedificatione è detta Petra Mala, perciò inſino,
e per tutto detta Città si stendeva questo territorio.
E volendo incominciare il camino dal detto
fiume Trionte, inſino à detta Terra di Pietra Mala, si ritrova Crisia,
falsamente da’ Paesani detta Crosia, penultima prodotta, poi siegue
Calopizzati, Caliviti Abbadia, la quale già possedeva l'Abbate D. Giacomo
Vezza, Dottore dell'una, e l'altra Legge, Gentil'huomo di detta Città di
Crotone, persona molto dotta, e di molta auttorità, ma nel 1646. la diede à
pensione all'Abbate Gio: Pietro Suriano, anco Gentil'huomo di essa Città di
Crotone. Bocchigliero, Campana anticamente detta Calaserna; & in queste
parti si fa la Manna, della quale se ne farà particolare mentione; poi siegue,
alla Marina la Città di Cariati del Sign.Prencipe della Casa Spinelli; verso la
Montagna è la Terra detta la Scala; appresso viene Crucoli Terra della Famiglia
degli Amalfitani, Gentil'huomini della Città di Crotone, delli quali viveno
hoggi Diego Francesco il Barone, e Domenico suo fratello; poi siegue il
Promontorio Chrimissa, al presente detto dell'Alice; e verso terra sopra un
monte si vede la Terra Psicrò, hoggi Cirò, del Sign. Prencipe di Tarsia, con
titolo di Marchese, anticamente chiamata Paterno, più sopra la Montagna siede
la Città di Umbriatico, adornata del suo Vescovo, anticamente detta Bistaccia,
& è Patria di quei due fratelli nominati Aloisio, & Antonio Giglio,
valenti Medici, & Astrologi, li quali nel tempo di Gregorio XIII.
riformarono l'anno, correndo quello del Signore 1581. come se ne ragionerà a
suo luoco. Si vede poco discosto Verzine, seu Vergine, dove sono le minere
d'argento, vi è il zolfo, l'alume, il vitriolo, l'alabastro bianco, e negro, la
minera del ferro, la terra Samia, che noi diciamo terra di Tripoli, con la quale
si poliscono le gemme pretiose; vi sono anco le Saline terrestri, quali rendono
alla Regia Corte molte migliaia di docati l'anno; vi nascono molte herbe, e
semplici bellissimi. Presso questa è la Città detta anticamente Pumento, hora,
Cerenthia, di dove fu Vescovo il Beato Bernardo, che al presente questo
Vescovato và congiunto con quello di Cariati & è compresa, come habbiamo
detto, in questo territorio, la cui Chiesa Gregorio Magno Pontefice nel libr.
5. scrivendo à Bonifacio Arcivescovo di Reggio, aggregò al suo Ovile, e
governo, non parendoli bene mandarci Vescovo, per la poca gente, che all'hora
vi si ritrovava, come lo riferisce il Doglioni nel suo Teatro de' Prencipi, che
detto Pontefice fa nell'anno 590. & il Politi l'apporta nella sua Cronica
di Reggio libro 2. fol. 82.
Più sopra alla falda della Sila si vede S.
Giovanni de Fiore, dove sono venerate grandissime reliquie, lasciatevi dal
Beato Giovanni Gioacchino, appare Cacure, da dove vengono li dignissimi Dottori
Francesco, e Giovanni Simonetta, appresso Casabuona, di dove era Marchese
Scipione Pisciotta, Gentil'huomo di Crotone, siegue Cinga Castello forte, che
fù della Famiglia Malatacca, poi di Pipino, appresso di Lucifero, &
ultimamente degli Amalfetani Gentil'huomini Crotonesi, e Belvedere, Malapezza,
e Montespinello anco de' Luciferi, Melissa viene appresso, e la Città di
strongoli, anticamente detta Petilia, dove è il Tempio di Filottete, e molti
antichi scritti in marmo si trovano, anco molti edificij diruti vi appareno. Il
Sign. D. Francesco Campitello è Prencipe di strongoli, e Conte di Melissa,
Fameglia de' Gentil'huomini Crotonesi, dove ancora alcuni poderi tengono il
nome di Campitella. In questa Città di strongoli si conservano due marmi, quali
hò visto lo; dove sono inscritte queste lettere: M. Megonio M. / F. M. N. M.
Pron. Cor. Leoni,/ Ac. IV. Vir. Leg. Cor. Q.P.P.IV. Vir./ Decuriones
Augustales, Populusque ex/ aere
conlato obmerita eius.
E
nell'altro: M. Megonio M./ F. Cor.Leoni Aed. IV. Vir. Leg./ Cor. Quaest. Pec
P. Patrono Municipi/ Augustales ob merita eius L.D.D.D.
Volendo dire, che li Petelini havevano fatto
statue à Marco Megonio Municipi, alli quali per decreto fù dato il luogo delli
Decurioni. questa Città fù edificata da Filottete, conforme riferisce Strabone,
e Solino; fù poi fortificara da’ Sanniti; Livio descrivendo la seconda guerra
de' cartaginesi, loda quella della grandissima fede, che servò à Romani, quando
erano stati rotti à Canne da Annibale, dal quale fù assediata, e combattuta molto tempo; & alla fine non havendo
possuto havere aiuto, si brugiarono da se stessi: & Annibale, non li
Petelini soggiogò, mà il loro sepolcro nel fine della guerra acquistò. Val.
Mass. nel libr. 6 capit. 6. de Petelinis. Itaque Anibali non Peteliam, sed
fidei Petelinae sepulchrum capere contigit. Dimostra Strabone, che ella
fosse ben popolata ne' suoi tempi, ma hora è molto picciola: ancorche altri
dicano, che Petelia sia Belcastro, & altri Policastro. Sia come si voglia,
mi rimetto al curioso Lettore, che potria essere havesse letto più di me. Ma io
dico, che fosse strongoli, essendovi stato personalmente, e riconosciuto il
tutto, necessa-riamente la chiamo Petelia. Vi sono anco in queste parti tre
Casali di Albanesi, l'uno detto Scarfizzi, Santo Nicola l'altro, & il terzo
Palagoria, la Rocca di Neto più à basso vicino il fiume Neto, che è Baronia
della famiglia de' Protospatari Gentil'huomini di Crotone, del qual fiume
perche se n'è pienamente ragionato di sopra, non occorre dirne altro.
E queste sono le Terre situate attorno detta
città dalla parte di Tramontana nella marina, e dalla parte di Ponente nella
montagna seguendo appresso l'altre Terre similmente nella montagna, e dalla
parte di mezzo dì nella marina, tutte nel territorio di Crotone.
Habbiamo descritto la metà del Territorio, e
giurisdittione che teneva anticamente Crotone, dico per la parte, che hoggi si
dice Calabria Citra, adesso ragionaremo dell'altra parte che sta al presente in
Calabria Ultra; & seguendo Strabone nel 6. diremo, che dalla retroscritta
Terra, detta Pietra Mala, sita nella marina di Ponente, tirando per dirittura
nel fiume verso Levante detto Cecino, stendeva il Territorio di Crotone, dopò
si restrinse ſino al fiume Crotalo, il quale divideva i termini frà Crotone, e
Locri; e Squillace era dentro il Territorio di Crotone; ancorche l'istesso
Strabone altrove dica, che dopò Squillace veniva il Territorio di Crotone: mà
Dionisio Tiranno de Sicilia tolse detto Squillace a’ Crotonesi, e la concesse
a’ Locreſi. Così sta riferito dal Barreo, che fa la descrittione di Calabria,
della quale ci serviremo in questo scritto per detta materia, dicendo così nel
lib. quarto.
Dopò Crotalo fiume viene Catanzaro Città
Nobile con molti Casali, sita trà il detto Crotalo hoggi nominato Corace, &
Alli, ambidue fiumi, fù edificata la Città da Fagitio,procuratore
dell'Imperatore Niceforo in Italia, edificandovi anco una Chiesa in honore di
S. Michele Archangelo, la quale Chiesa dall'Arcivescovo di Reggio fù
consecrata; vi sono anco li telari d'ogni sorte di drappo di seta con
privileggi amplissimi, delli Rè di questo Regno. Hoggi vi risiede la Regia
Audientia di Calabria Ultra, per lo che è molto accresciuta la Città di
ricchezze, di Popolo, e di Nobiltà.
Nella
Chiesa Vescovale è il corpo di S. Vitaliano, & il braccio di santo Teodoro:
morì ultimamente Gio. Giacomo Pavisi di questa Città, il quale scrisse sopra la
prima Filosofia, e sopra il libro de Anima di Aristotele, & altre opere
molto degne. Vescovo di quella è Monsign. Levadisio, nativo dell'istessa Città,
persona di vita molto esemplare, & è stato Vescovo della Città di Bova.
Appresso viene la Città di Taverna verso la montagna detta la Sila; per mezzo
di questa passa il già nominato fiume Alli, detto da’ Latini Allium. In questa
Città detta Trischines, nobile, e popolosa, cinta di Muri, e Torri; con tutto
ciò havendo patito assedio da' Cretesi, da' Mori, e da' cartaginesi più volte,
alla fine per insidie fù espugnata; vi fu la Sede Vescovale antichissima, la
quale tenne Lucio detto Trium Tabernarum Episcopus, il quale intervenne nel
Sinodo Romano, sottoHilario Papa, e Decio Vescovo di Taverna intervenne nel
Sinodo Romano sottoFelice Papa, ma dopò che fù rovinata, e destrutta, Gregorio
Papa raccomandò detta Chiesa à Giovanni Arcivescovo di Reggio, come si legge
nel Codice Vaticano; hoggi è suffraganea del Vescovo di Catanzaro. Fù questa
Città detta Trischines, cioè Tres Tabernae, overo Tria Tabernacula,
perche essendo ivi tre Chiese principali, il Vescovo della Città costumava
celebrare nelle Feste principali in ciascheduna
di quelle alternatim: dopò detta ruina Niceforo Imperatore di Costantinopoli
mandò Gorgolano in Calabria, ad effetto di rifare le Città distrutte per
l'invasioni di tante Nationi straniere, che tutta Italia, non solo Calabria,
destrussero, conforme rifece molte nell'istessi luochi, dov'erano; mà questa
Trischines, & altre Terre in altri luochi convicini rifece, e stefano
Arcivescovo di Reggio consacrò questa nova Chiesa di Taverna, e dopò che morì
il Vescovo Nicola, li Tavernesi elessero per loro Vescovo Marino. Nella Chiesa
de' Padri Minori è il corpo del Beato Matteo di Mesuraca, che fu di santa vita,
e se ne leggono molti miracoli. sono li Tabernesi amici degli huomini
Letterati, perciò riescono in ogni scienza molti Valent'huomini, tiene buone
acque e buoni frutti; tiene molti Casali, cioè li Nuci, Maranisi, Sabuco,
Fossato, Pentone, S. Giovanni, S. Pietro, Albi, Dardanisi, Magisano, Vincolisi,
& altri: sopra la montagna è l'Abbadia detta de Altilia dell'Ordine di S.
Baſilio, dove sono queste reliquie: una costa di S. Lorenzo Martire, un pezzo
di osso di S. Basilio, di S. Senatore, e Cassatore, e Dominatore, di S.
Pancratio, di S. Sebastiano, di S. Trifone, e di molti altri Santi.
Appresso viene un Castello detto la Sellia,
luoco picciolo, mà molto forte di sito, e di fabrica, posto in luoco sublime,
dove vi sono pietre di oro, e d'argento ammassate con terra, di maniera che nel
tempo di Filippo II. furono mandate persone prattiche per ridurre quelle pietre
in oro puro, e in puro argento; ma per essere li boschi lontani, era tanta la
spesa, per condurre le legna, che non trovandoci utile, lasciarono l'impresa;
appresso viene Zagarisi terra picciola, ma dotata d'ogni cosa necessaria al
vitto humano, piacevole, e dilettosa, appresso il Casalnuovo detto Sersale,
dalla casata del Barone della Sellia, che è detta Sersale, che se ne ragionerà
appresso; dopò più basso verso mare è Simmari, in questi territorij si fanno li
risi, si coglie la manna, la spina pontica, reupontico, lapis phrigius, &
altri semplici: dopò siegue Cropano, il quale essendo alla falda della
montagna, soprasta à bellissimi territorij, che si stendono fino al mare, dov'è
una fortissima Torre della Regia Corte per defensione di quelle marine, e Terre
convicine; dopò è la Città di Belcastro Sede Vescovale, altri la chiamarono
Crimissa, edificata da Filottete, come dice Strabone, quando parla di Petelia,
così dicendo: Circa loca ipsa Philottetas, & vetustam condidit Crimissam.
Apollodoro dice: Ut Philottetas ad Crotoniatum agrum profectus promontorium
Crimissam habitari fecerit; perche Filottete nel Territorio di Crotone
edificò molte Terre. In questa Città di Belcastro sono acque bellissime, e ogni
delitia; perche sta nella falda della montagna superiore alla vista del mare, e
poco lungi dalla Sila; dunque e nell'una, e l'altra parte può ciascheduno
sollazzarsi à suo modo, vi si coglie la Manna, e abbonda questa Città d'ogni
cosa, che serve al vitto humano.
In questa Città fu nodrito S. Tomaso
d'Aquino Dottor Angelico dell'Ordine de' Padri Predicatori; il padre si chiamò
Landolfo, la madre Teodora, suo padre fù Conte d'Aquino, di Belcastro, e di
Loreto, che anticamente erano de Frangipanis, dopò presero la casata dal nome
della Terra d'Aquino, che possedevano, della qual famiglia fù S. Gregorio Papa,
conforme si lege in una Cronica antica, che si conserva nel Convento de' SS.
Gio. e Paolo in Venetia, e per testimonianza di ciò si porta, che nel Castello
di detta Città di Belcastro vi è una pittura antichissima, dove si vede S.
Tomaso fanciullo, che mostra al padre il seno aperto pieno di rose fresche in
tempo d'horrido inverno: perilche si vede, e conosce, che in questo Castello fù
fatto quel miracolo, quando per la gran povertà, e carestia, che era in quel
tempo, S. Tomaso di nascosto del padre rubbava il pane, e dava quello a poveri;
una delle volte il padre, che vidde il suo seno pieno, gli domandò, che portava
e il fanciullo per il gran timore, e riverenza, che portava al padre, dubitando
non havesse à disgusto, che lui rubbava il pane per darlo a’ poveri,
scusandosi, disse che portava rose & aperto il seno, in vece di pane
ritrovaronsi rose, il quale miracolo fù inditio della sua santità. Morì questo
Santo nel Monasterio di Fossanova territorio della Città di Terracina nell'anno
del Signore MCCLXXIV. mentre andava al Concilio di Leone di Francia, chiamato
ivi da Gregorio Decimo.
Nacque nella Città di Crotone, e questo lo
testifica egli stesso, quando nel primo della Meteor. d'Aristotele scrisse, che
Pittagora Filosofo Crotonese fu suo conterraneo, e non bisogna testimonianza
maggiore, del proprio suo detto; & il Marafiotti fol. 503. apporta che S.
Tomaso fù di Crotone. questa Città di Belcastro hà il Casale Andali, seu Villa
Ragona. Di questa Città è Duca il Sign. D. Oratio Sersale, come si dirà.
Il Beato Abbate Giovanni Gioachimo nelli
Commentarij sopra Isaia rassomeglia il paese di Calabria à Nazareth Città di
Galilea, dove fù salutata la Vergine Maria dall'Arcangelo Gabriele, e dice, che
si come in Nazareth fu mandato da Dio l'Angiolo à Maria, così in Calabria dovea
da Dio essere mandato Dottore Angelico, per le quali parole appare, che
profetizzò, che in Calabria dovea nascere S. Tomaso d'Aquino, chiamato il
Dottor Angelico; l'apporta il Marafioti libr. 5. fol. 488.
Appresso si trova Mesuraca, ò vero Mesurga,
anticamente detto Reatio, dalli Enotrij, per il nome del fiume detto Reatio,
che vi passa per mezzo, conforme al detto di stefano, tiene due Casali, l'uno
detto Rietta, e l'altro Marcedusa, di questa Terra fù il Beato Matteo Vidio,
Monaco dell'Ordine de' Minori, il cui corpo è in Taverna, come si è detto.
Questi di Mesuraca nell'anno 1517. ammazzorno il loro padrone, ch'era di casa
Caracciolo, con tutta la sua fameglia; tutto questo successe, perche quello li
maltrattava nell'honore e nella robba senza discrettione, conforme si legge,
che fecero li Locresi contro Dionisio Siracusano, e sua famiglia.
Policastro nella falda anco della Sila
fortissima Città di sito, quale alcuni chiamarono Petelia; altri dicono, che
strongoli, come si è detto, sia Petelia, sia come si voglia.
In questa Città di Policastro nella Chiesa
de’ Zoccolanti riformati è vina spina della Corona di N. S. Giesù Christo, che
perciò S. Maria della Spina viene questa Chiesa nominata; dove ogni anno della
metà di Agosto per detta devotione tutte le convicine Terre concorreno.
In questo Territorio si fà la zaffarana, la
manna, e vi sono marmori, vi si fanno tavole, travi, e ogni sorte di legname
per case, per vascelli, per galere, e per ogni altro uso.
In questa città si scrive cancellaresco
communemente, e si parla Toscano, nè si sà scrivere nè parlare d'altra maniera
indifferentemente da tutti, perciò pare, che Dio habbia voluto così, che
ritrovandoſi il Rè Filippo IV. debitore al Gran Duca di Toscana in certa
quantità di denari, le diede detta città in sodisfattione.
Più sopra è una Terra detta li Crotonei, che
deriva da Crotone, perche li Crotonesi l'edificarono.
Hora è tempo di dire, che fin'hora si è
trattato di molteTerre, le quali sono del Sign. D. Horatio Sersale; il quale è
Duca della Città di Belcastro e Signore della Sellia, di Zagarisi, del Casale
nuovo detto Sersale, e delli Crotonei ultimi, come sopra descritti. questo è
Cavaliero Napolitano del Seggio di Nido: più à basso è il fiume Tacina, del
quale fà mentione Plinio nominandolo Targines, e dopò è la Rocca Bernarda.
Appresso viene la Città di S. Severina, in
greco ΣIBEPHNH, lungi dal mare di Crotone dieci miglia,
fortissima di sito, per essere una Rocca come una pigna di pietra fortissima,
dove si saglie per stretti sentieri, e nella sommità è un Castello intagliato
dentro l'istessa pietra, con fosso, e contrafosso, con due ritirate, conſorme
il Castello Nuovo di Napoli, che la rende fortezza inespugnabile. Fù edificata
dagli Enotrij, li quali cresciuti in gran quantità nella Città di Crotone, dove
incominciaro ad habitare, portati da Noè, il quale da’ Greci fù detto Enos, che
in loro lingua vuol dir vino, perche Noè fù inventore del vino, e da detto Enos
derivato il nome, furno detti Enotrij i popoli, che lui portò ad habitare in
quel luoco, che poi con il tempo dal nome di quell'huomo detto Crotone, fu
detta Crotone la Città, che ivi Ercole ordinò si edificasse da Miscello,
conforme disse Dionisio Alicarnasseo libr. I. Strabone, Diodoro Siculo nel 5.
Antioco, e altri, che questi Enotrij quivi habitassero cinquecento
sessantasette anni prima la guerra Troiana, e per l'autorità apportate dal
Marafiotti nella sua Cronica di Calabria, si dice, che dalla destruttione di
Troia inſino al principio dell'edificatione di Roma corsero quattrocento
trentatre anni, il che anco ritrovo in Solino, dall'edificatione di Roma fino
alla Natività di Christo N. Signore corsero anni settecento cinquant'uno, di
maniera che prima la Nativita di Christo N. S. uniti detti anni sono 1751. e
tanti anni erano passati prima della Natività di N. Sign. che fù edificata
questa Città di Santa Severina, e non anni 1250. conforme disse stefano; due
sorte di monete ritrovo in quel nobil scritto delle medaglie del Dottor Prospero
Parisi, che, faceva questa Città; nell'una da una parte è la testa di Pallade
armata, e dall'altra la nottola, ucello di notte, appropriato alla detta Dea,
dove sta ſcritto ΣIBEPHNH: nell'altra moneta era la testa di Diana
coronata d'alloro con la faretra al collo, e dall'altra parte una cerva,
animale appropriato à detta Dea, dove anco sta scritto ΣIBEPHNH.
E hoggi Città Metropoli insignita
dell'honore di Arcivescovato, di dove è hoggi Arcivescovo Monsig. Fausto
Cafarelli Sign. Romano, il quale è stato Nuntio in Turino nel Pontiſicato di
Urbano VIII. & è molto accetto appresso questo Pontefice innocenzo Decimo.
Và compreso in questo Arcivescovato il
Vescovato della Citta detta Leone, anticamente Leonia, già destrutta da’
Saracini; fu poi da’ Sommi Pontefici aggregato questo Vescouato al detto
Arcivescovato, del quale l'Arcivescovo se n'intitola Vescovo hoggi dì ancora.
Nell'Arcivescovato è una sontuosa Cappella
con il titolo di S. Leone in memoria di detto Vescovato; quale Città di S.
Leone era conforme hoggi se ne vedono le reliquie dishabitate, nell'ultimi
conſini del territorio di S. Severina, & quel di Crotone, via publica per
il mezzo, vicino le Terre dette Spataro, e Mezzaricotta di Crotone, che
anticamente detta Città fù detta Leonia.
Nell'Arcivescovato si conserva un braccio
intiero di S. Anastasia, portato da Roberto Guiscardo primo Duca di Calabria.
Produce ogni sorte di frutti, particolarmente agrumi bellissimi, come quelli di
Reggio, olive, come quelle di Spagna.
Appresso sopra un monte è la Terra di Santo
Mauro, e più à basso è Scandale, qual'è Casale di Santa Severina.
Nel territorio prossimo à queste parti era un
Casale di Crotone detto strongolito, un'altro S. stefano, hoggi sono destrutti,
e non ci sono habitationi.
Rivoltando à dietro a mare sottoCutri è un
luogo detto Santo Lonardo de' Padri Gesuiti, che tengono per il commodo di
seminare, e per altri loro usi.
Dipoi siegue nel mare istesso una picciola
Terra detta le Castelle anticamente Castra Anibalis della quale nell'occasione
delle guerre successe in questi luoghi, se ne farà relatione più compita. Viene
appresso alquanto al piano più dentro terra la Città dell'Isola, della quale
essendo Vescovo Luca, il Conte Rugiero Duca di Calabria le concesse molti privileggi,
le constituì alcuni territorij, & altri doni li fece, conforme si legge nel
privileggio, che io hò visto spedito nel mese di Maggio, Indittione quinta,
l'anni del Mondo 6600. tiene un Casale detto S. Pietro, con boschi, acque,
& ogni cosa necessaria. Di questa Città furono Baroni antichi quelli di
Casa Ricca famiglia molto nobile, & antica, mentre Rè Ferrante Il d'Aragona
nell'anno 1495. per li gran servitij prestiti, donò per se, suoi heredi, &
successori la Città dell'Isola, e suo distretto a Troilo Ricca, dal quale
successivamente venne à D. Antonio Ricca ultimo Barone, dal quale venne la
Baronia alla ſamiglia Catalana, descendente dal Consiglier Antonio, e nepoti di
Monsign. D. Carlo Vescovo un tempo di Crotone, de' quali vive hoggi il Barone
D. Luise Catalano.
Più sopra dentro terra è la Terra Cutri, del
Signor Prencipe dello Sciglio, prima del Sign. Duca di Nocera, che vuol dire
Croto, che pure viene derivata da Crotone, credo li Crotonesi anco l'habbiano
edificata, mà Razano dice, che deriva da Chitrone, che vuol
dire
freddo, per essere posto sopra un'alto monte, che di continuo è combattuto da
vari venti, che perciò è luogo molto freddo. Dopò viene S. Giovanni Minagò,
& Papaniceforo, Casali de' Greci; mà detto Papaniceforo pochi anni sono
pagò ducati quindecimila alla Regia Corte per redimersi d'essere Casale di
Crotone, e hoggi viene mandato dall'Eccellenza del Regno il Capitano, da quella
parte habbiamo lasciato indietro fra l'Isola, e Cutri la Baronia di Massanova,
dove sono bellissime fontane, e pascoli, con buoni territorij, per seminare,
ch'è del Signor Prencipe d'Angli di Casa d'Oria Genovese.
In questa parte del territorio di Crotone è
l'Abbadia di Corazzo, l'Abbadia di santa Maria dello Carrà, l'Abbadia di s.
Leonardo, l'Abbadia di S. stefano, e l'Abbadia di s. Leonardo a Fregiano.
Et in tutta Calabria sono quaranta Abbadie,
conforme scrive il Dottor Prospero Parisio Romano.
Appresso viene il già nominato di sopra Capo
delle Colonne, nè occorre dire altro del territorio di que Città, solo quello
che si dirà appresso nel seguente Trattato.