Benvenuti a
Cirò, come la prima di maggio.
Domani è il primo
maggio, e solo a mia madre ricordo di aver sentito dire: ‘bonuvenùtu com a
prima ‘e màju!’... una frase che è un pezzo di storia.
E’ un pezzo di storia
perché questa notte della vigilia del primo di maggio a Cirò sarebbe stata
festa grande (fino a un paio di secoli fa), si sarebbero sparati i mortaretti,
o meglio il mortaretto, e domani, primo maggio, avrebbe avuto inizio lo ‘sbarro’,
cioè la libertà di usufruire, almeno in parte, dei pascoli del feudatario,
oltre a poter ‘legnare’ e spigolare... e tanta era la gioia per l’evento, che
si diceva appunto ‘bonuvenutu com a prima ‘e maju’, incontrando una
persona amica. E poi questa notte ci sarebbe stata quella enorme festa di cui
dicevo prima, abbastanza simile, per certi versi, a quella di carnevale, quando
i frazzantuli (o frazzantulari) andavano in giro per le case, in entrambe le
occasioni cercando con moine e scenette varie di convincere il massaro, o il
padrone di casa, a fare qualche regalia, costituita da dolciumi o altro da
mangiare... e molti ricorderanno gli sguardi tra il lascivo e il furtivo che i frazzantulari
rivolgevano ari sozizzi e salati mpicati ara nţravata, mentre il padrone
di casa si poneva a protezione dei suoi preziosi insaccati...
Un’altra tradizione, o
usanza, che, come ho potuto constatare dai post apparsi su ‘Note di dialetto
cirotano’, esercita ancora una discreta presa sui cirotani ‘di terra e di mare’
consiste nell’offerta e nello scambio di fichi mpurnàti, che siano crucètti
oppure no, il cui consumo è finalizzato a proteggere e prevenire dai morsi dei
serpenti... se poi, come qualcuno suggerisce, si tratterà solo di un espediente
per consumare i fichi della passata stagione per far posto a quelli della nuova
produzione, questo non saprei dirlo... ma come scusa non mi sembra nemmeno
tanto malvagia, tutt’altro: una scusa dolcissima!
Prima di lasciarvi, se
vorrete, alla lettura del pezzo in cui G. F. Pugliese, nella sua DEIN (acronimo
che i quattro-cinque benevolenti amici che leggono si frašcàtuli d’i mèj
sanno cosa significa), mi domando se non sia il caso di riconsiderare, da parte
di qualche istituzione, la possibilità di ridare vita a quella ‘festa da
sbarro’ che animava Cirò nella notte della vigilia del Primo Maggio... se ne
riscoprono - e a volte se ne inventano di sana pianta- così tante di feste e
tradizioni in giro per lo Stivale... almeno questa una sua verità storicamente
accertata la possiede e come!
Dico ancora, sempre per quei quattro-cinque
delinquenti che mi hanno voluto così bene da spronarmi a metter mano
‘definitivamente’ all’opera completa del Pugliese che ormai siamo alle
rifiniture... sarà un altro fiasco, e lo berremo insieme, magari la prossima
vigilia del Primo Maggio, a Cirò, durante la Festa dello Sbarro!
Dice il Pugliese,
Descrizione ed istorica narrazione, ecc. Napoli, Stamperia del Fibreno, 1849:
Nella mezza notte
precedente al primo maggio fin che durò la feudalità si costumava di salutarsi
l’ingresso del mese con un tiro di grosso mortaretto in mezzo la piazza. Si
andava quindi cantando a suono di varii strumenti, e si piantava il maggio,
consistente in lunghi rami di alloro, e di sambuco fiorito innanzi a più case,
dopo che si era cantata un’intiera canzona in ciascun sito e dispensata, o sia
diretta alla prosperità del padrone di casa. Il mastro-Giurato diriggeva questa
festa notturna che durava fino all’alba. Ciascun padrone di casa apriva e
dispensava complimenti non solo di spiriti, e mostacciuoli, ma di qualche
frutto da dispensa. La serenata fruttava una provistella al mastrogiurato per
la propria dispensa. Comunque questa festa sia antichissima in più popoli, e
gli albanesi nostri vicini continuassero a farla in onore delle fidanzate, e
per le quali s’impianta e si canta il maggio; pure per Cirò io trovo la ragione
nella circostanza che trovandosi allora occupato l’uso di pascolo di tutte le
vaste tenute Demaniali dell’università dal Barone, la consuetudine e le varie
convenzioni portavano che al primo maggio seguisse lo sbarro di tali pascoli a
comune uso di tutti i cittadini. Ecco che ciò portava lo sbarro o scoppio del
mortaretto, e la festa; ed era tanto grato per tal libertà di pascoli
l’ingresso del mese di maggio, che per esprimersi il gradimento dell’arrivo di
un amico, o di un forastiere non poteva né sapeva dirsi meglio del «ben venuto
come la prima di maggio». Potrebbe mai dispensarsi la legislazione di meditare,
ed aver riguardo a queste usanze nel prescrivere i regolamenti per la buona
economia rurale in armonia co’ bisogni relativi di ciascuna contrada?