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venerdì 20 marzo 2015

§ 156 200315 L’amore tamarro.

Parlo dell’amore degli ultimi o quasi della terra, quello delle formiche a due zampe, degli ignorati per censo e per cultura, degli ‘špaturnati’, degli ‘špioggiati’, degli ‘sbenturati’, parlo dell’amore dei non considerati e degli sconsiderati, parlo di amori nati senza un perché, e dei perché nati senza amore. Parlo dell’amore che si arrende al desiderio e alla furia animale, parlo dell’amore dei poveri che sanno solo amare e che trovano il modo e la forza - essi, pur nullatenenti – di scavarsi dentro e dare: parlo di un amore che ha cambiato modi, ma dentro è rimasto intatto, e non cambia volto. Parlo di qualcosa che si disconosce e di cui forse ci si vergogna: di amare in cambio di nulla, anche contro se stessi. Parlo di amori e tempi che faranno sorridere e storcere il naso. Parlo di niente…

Parru
D’amùr ‘e d’ati tempi
Amur di càvizi curti ppè Santu Catàuru[1]
Amur di šcammiciàti a fiori
Amuri d’arrèt ari finestri
Amuri nti fràvichi[2]
Amuri nti vigni
Amur ca nescia darret’ a na sipala
Amur rašcatu nti serchj d’a rastucciata
Amur sutta i peri d’i fichi
Amuru subba a vešpetta russu focu[3]
Amuru fujènnu ccur a forèdda ‘e fora[4]
Amuru cocentu
Amuru nzanguinatu
Amuru gramigna
Amuru festuca[5]
Amuru pàpula[6]
Amur ara vita, ara vita[7]
Ccu na mana ca špitigna
E n’ata ca vinnìma[8]
Amuru pacciu
Amuru tamarru
Amuru aru ventu
Amuru ‘e orduru ca juscia subbaventu
Amuru ca vruscia
Amuru c’un z’astuta
Amuru ca vula
Amur a morta[9]
Com na nimiciža[10], na pàcia, na paccìa
Amuru natu stortu
Com n’anima c’un pìja riggettu
Com na nervagìa[11] c’un zi cumporta
Amur e sul
Amur e bentu
Amur e acqua
Amur e tu
Muru e cimentu.

Traduzione.

Parlo
D’amore d’altri tempi
Amore di pantaloni corti per San Cataldo
Amore di vesti smanicate a fiori
Amori da dietro le finestre
Amori nelle ossature delle case
Amori nelle vigne
Amore che esce da dietro una siepe
Amore graffiato nelle stoppie crepate
Amore sotto gli alberi di fichi
Amore sulla vespetta rosso fuoco
Amore con la camicia che svolazza fuori
Amore cocente
Amore insanguinato
Amore gramigna
Amore fastùca
Amore pàpula
Amore assiduo come la cura delle viti
Con una mano che libera i tralci
E un’altra che coglie l’uva
Amore pazzo
Amore povero e di rozze maniere
Amore nel vento
Amore di odore che soffia sopravento
Amore che brucia
Amore che non si spegne
Amore che vola
Amore a morte
Come una inimicizia, come una pace, come una pazzia
Amore nato storto
Come un’anima senza tregua
Come una nevralgia che non si sopporta
Amore e sole
Amore e vento
Amore e acqua
Amore e tu
Muro e cemento.







[1] Per San Cataldo, che ricorre il 10 maggio, era consuetudine che bambini e ragazzi smettessero i pantaloni lunghi per quelli corti.
[2] ‘Fràvica’, letteralmente ‘fabbrica’, è la casa in costruzione, spesso la casa perennemente in costruzione, magari costituita da ‘pilastri e soletta’, i cui lavori progredivano o si arrestavano in misura direttamente proporzionale alla consistenza delle rimesse degli emigrati.
[3] ‘A vešpetta’ è la Vespa 50 della Piaggio, una meta da raggiungere, negli anni ’60; il ‘rosso fuoco’ è  visto, anche, come sinonimo di follia, di ‘tamaraggine’…
[4] ‘A foredda ‘e fora’ è il lembo di camicia che fuoriesce dalla parte posteriore dei pantaloni, ancora di più con la velocità della vespa…
[5] La festuca è un’erba filiforme, molto diffusa. Il nome è perfettamente latino e italiano.
[6] Pàpula, altro nome italiano e latino, indica la bolla di ‘acqua lùcia o lùcida’ che spesso si forma, ad esempio, per l’uso di attrezzi agricoli, soprattutto per mani che a tali usi sono poco avvezze.
[7] ‘Ara vita ara vita’, in realtà è un modo molto preciso di zappettare, ripulendo il terreno intorno alle piante. Quella virgola al mezzo vuole essere un riferimento alla omofonia ‘alla vite, alla vite’ con ‘alla vita, alla vita’.
[8] Špitignare e vinnimare sono lavori agricoli ben noti.
[9] Si può essere ‘nimìci a morta’, nemici fino alla morte… o ‘amare a morta’.
[10] Nimiciža, con la ‘z’ sonora o dolce.
[11] Nevralgia, comunemente inteso come mal di denti insopportabile, in questo caso.

sabato 14 marzo 2015

§ 154 140315 D. Matthew, I normanni in Italia, Laterza, 2008. 'Con quanta chiarezza...'

Tanta è la chiarezza di questo testo, perfettamente diffusa tra le righe della 'Premessa' al libro fatta dall'autore, Donald Matthew, Professore Emerito dell'Università di Reading, Inghilterra, che credo non occorra aggiungere altro. Annoto, solamente, quanto ci siamo perso, inseguendo visioni distorte e spesso di comodo della realtà meridionale, e soprattutto disconoscendo la nostra stessa storia, molti riducendola ad un revanscismo di maniera, ad una elencazione tanto sommaria quanto, spesso, immaginaria di fanfaluche e glorie vane delle quali non si avrebbe comunque, oggi, qualora verificate, merito alcuno, se non di appartenenza qualunquistica ad uno stesso territorio di origine o residenza. Che i 'greci più grandi' o i normanni dello 'stupor mundi' abbiano calcato quelle stesse terre alla cui spoliazione abbiamo assistito più o meno impassibili e incapaci di rivolgerci contro quegli usi e poteri che hanno devastato intere regioni, non è certo motivo di vanto: non ci si può inorgoglire dormendo tra allori ormai difficili anche da rivitalizzare. C'è bisogno di autocritica e di impegno, altro che di richiami generici a fierezza e orgogli insussistenti e inconsistenti. Ma leggete, se ne avete voglia, queste due paginette... e intitoliamo qualche strada a Giuseppe Laterza, che con la sua opera di diffusione culturale non avrà stupito il mondo, ma qualcosa di degno, per le terre di Federico II, ha fatto, diffondendo cultura attraverso l'editoria.
In fondo, a chiosa e in chiusura, cosa posso dire? Che tanto spesso ho sentito dire, per timore, per pudore, per mancanza di fiducia in sé stessi, qualcosa come 'non facciamoci conoscere...' Non so perché, ma il mio invito è l'esatto contrario: 'facciamoci conoscere', per quello che si è già stati, per quello che si potrebbe essere. E chi vuole intendere intenda. Il professor Matthew ha inteso e interpretato, molto meglio di tanti di tanti 'cantori' nostrani, usando grande lucidità e rigore storico (e magari avessi i mezzi per dimostrarlo... diciamo che capisco ma non so ridire, come la cavallina storna: unicuique suum... à la prochaine!).