Brevissime note: non buona sorte postuma è
toccata, come spesso capita, a Luigi Siciliani, tenuto deliberatamente da parte
come personalità, avendo egli ricoperto un ruolo ministeriale (fu sottosegretario)
in epoca fascista, cosa della quale, in fondo, non ebbe troppo a giovarsi,
poiché morì nel 1925, appena tre anni dopo l’avvento del fascismo; della sua
opera si giovò, al contrario, la fortuna archeologica della Magna Grecia, dal
momento che, grazie anche alle insistenze del Siciliani, Paolo Orsi ‘si
convinse’ della possibilità di rinvenire il tempio di Apollo Aleo tra le
maremme, i mammelloni e le colmate della bonifica nelle vicinanze di Punta
Alice; per le critiche al Siciliani come poeta e narratore dirò: de gustibus;
per le critiche al Nostro quale facitore di cultura mi permetto di dire: calma!
Siamo di fronte ad un signore che poteva guardare negli occhi gli uomini di
cultura a lui contemporanei, italiani e stranieri, senza timori reverenziali, e
per quanto riguarda le traduzioni dal greco, latino, francese, inglese, tanto
di cappello e di rispetto: tradurre è una operazione difficilissima, quando
fatta in maniera coscienziosa e rigorosa, ed è il mezzo col quale la cultura e
il sapere vengono allargati al maggior numero possibile di fruitori in altre
lingue.
Si notino,
nel primo capitolo, la condanna, per nulla velata, di un certo atteggiamento
del ‘padroncino’ che dispone a proprio piacimento della contadina Giovanna,
nonché, sempre a carico del giovane Nìcito, del disinteresse di questi per le sorti
e le condizioni della Calabria e del suo decadimento, del quale il Siciliani
non esita a parlare: ‘Nicodemo intanto, per niente pensoso delle sorti antiche
o presenti della sua terra, lasciata la sua casa di campagna, trottava sopra un
bellissimo baio della buona razza calabrese, verso la Marina , dove s’aspettava di
conoscer l’esito di un altro suo piacevole intrigo, la cui trama egli era
venuto tessendo a danno di un suo amico balordo avanzato in età’. Non so se si
capisce bene che Siciliani condanna quel ceto dal quale egli stesso proviene,
cosa che gli fa onore... o no? Mi fermo qui, ma ci sono ancora tanti aspetti
più meno evidenti da scoprire, che avremo modo di sottolineare.
Ora cambiamo argomento e passiamo ad un primo
riepilogo dei personaggi del primo capitolo e alla pubblicazione del secondo.
Buona lettura,
Catàuru.
PERSONAGGI DEL PRIMO
CAPITOLO, PIU’ O MENO IN ORDINE DI APPARIZIONE: nel dipanarsi del romanzo verranno
aggiunte altre brevi note come promemoria per gli eventuali lettori.
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Nicodemo Nìcito, il protagonista di
questo primo capitolo, intrattiene una relazione con Giovanna, o meglio si
giova dei di lei favori sessuali;
Giovanna, ‘contadina bruna e pienotta’,
moglie di Pietro Prantera e amante, o succuba, di Nicodemo Nìcito;
Pietro Prantera, marito di Giovanna,
emigrato negli USA;
Francesca Monaco, ‘portava i
mmasciàti’, diremmo cirotanamente;
don Pietro Fráncica;
zu Pasquale;
Mamma e fratello di Giovanna;
don Pietro Paolo Curopati, il
sindaco;
don Francescantonio Nìcito, padre di
Nicodemo, ‘il padrone’, u paţrunu;
don Nicodemo Costantini, zio di
Nicodemo Nìcito;
Ercole Bitetto, farmacista, esordisce con un ruolo non certo
esaltante: la sua amante Carolina si concede anche a Nicodemo Nìcito;
Carolina, amante contesa ma non troppo tra Nicodemo Nìcito ed
Ercole Bitetto;
Madre di Carolina, e di costei
avviatrice al mestiere più antico del mondo o qualcosa di simile;
Nicola, ‘marinaio’: il termine è
usato nell’accezione cirotana, dove ‘marinaru’ sta per ‘pescatore’;
Cuoco di don Nicodemo Costantini,
esordisce in stato di ebbrezza, per quanto apprezzato nel suo mestiere (‘Gli
perdonerà, tuo zio, gli perdonerà. Un cuoco che sappia fare una bella figura,
come quell’ubbriacone quando vuole, è difficile trovarlo!’);
La figlia dei Fráncica, a lei si
accenna per un matrimonio da combinare con Nicodemo Nìcito.
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