Ammazza u gghjègghju e lassa u lupu (uccidi il ghego e risparmia il lupo)? A giudicare dalla disamina di Cesare Lombroso nel saggio 'In Calabria', Giannotti, Catania, 1898, si direbbe proprio di no, tutt'altro... anzi, magari al posto di quelli che noi calabresi della provincia di Crotone, con qualche sfumatura fonetica, chiamiamo gghjègghj, il Lombroso metterebbe proprio noi, chissà. Fuor di celia, Lombroso è stato un luminare nel suo campo ed è riduttivo vedere in lui un freddo giudice senza appello nei nostri confronti e dei meridionali in genere: egli stesso lo dice nella onesta premessa al saggio in oggetto. Per quel che riguarda il termine 'gghjègghju' c'è da dire che esso non è (o meglio: non era) offensivo, ma che con tale termine si indicavano, e si indicano, semplicemente i gheghi, abitanti dell'Epiro (più o meno l'attuale Albania) per distinguerli dai toschi, l'una e l'altra componente etnica separata dal fiume Drin (vado a memoria). I nostri amici, corregionali, connazionali gghjègghj li riconosciamo senza difficoltà: basta un po' d'orecchio per riconoscere la loro esse dolce intervocalica, e l'uso particolare dell'articolo determinativo (che in arbereshe, se non sbaglio, non esiste). Aggiungo che i nostri vicini arbereshe, peraltro, hanno continuato a dare buona prova di sé anche dopo il saggio del Lombroso, il quale non ha tralasciato di elencarne talune eccellenze, alle quali la Calabria e l'Italia rimangono debitrici, non ultimo e tra i più recenti il compianto professor Stefano Rodotà, o uno sconosciuto ai più Antonio Porchia, maestro di pensiero nella nostra sorella latina dell'emisfero australe per eccellenza, cioè l'Argentina.