Per gli eventuali interessati: https://www.youcanprint.it/riferimento/riferimento-dizionari/repertorio-lessicale-della-parlata-di-ciro-e-della-marina-9788892696143.html
Si legge, a pagina 120 del cirotanu sicunnu Catàuru:
Cùccû : Gufo; volatile spesso richiamato come termine di paragone, al pari di tanti altri luoghi e dialetti italiani: para nu cuccu, sta com nu cuccu, sembra un gufo, se ne sta come un gufo. Vedasi G.B. Basile, per ‘né cuccû e né vent’. ‘Né cuccu e né ventu’ (o ‘bentu’, a seconda del carattere enfatico impresso al termine): si tratta di una espressione normalissima per i cirotani di una certa età, che senz’altro ne conoscono il senso, forse meno la genesi, poiché questa è molto più ‘antica’ degli stessi utilizzatori. La prima fonte che ho rinvenuto risale al XVII secolo (v. infra, G.B. Basile). ‘Né cuccu e né bent’ significa, nell’accezione più stretta, ‘senza dire nulla’, e, più in generale, si utilizza per indicare una completa assenza di risposte o di espressioni conseguenti: ‘unn ha ditt né cuccu e né bent…’, ‘unn ha volut sapìr né cuccu e né bent…’, oppure, semplicemente ‘né cuccu e né vent!’, olofrasticamente. Il cucco è, sia in italiano sia in calabrese, identificabile con il gufo o il cuculo: al di là di quale sia il volatile scelto, è proprio questa identificazione della parola ‘cucco’ a trarre in inganno, poiché nessuno dei due pennuti ha alcunché da spartire con il ‘cucco’ dell’espressione in esame. Si legge, infatti, nel ‘Vocabolario Napoletano-Italiano….’ di P.P. Volpe (Napoli 1869) alla voce ‘cucco’: cuculo; gnocco, maccherone; cucco o viento: vi sono o no le nocciuole ne’ pugni? (giuoco da ragazzi); e da qui si capisce che il ‘cucco’ che ci interessa non è il volatile, ma l’indicazione della mano (‘cucche!’ starebbe per ‘è qui!’) che si presume nasconda la nocciola, il maccherone o lo gnocco (cucco=gnocco, o qualcosa di piccolo utilizzato alla bisogna). Insomma, siamo al cospetto di quel ‘gioco del silenzio’ che si faceva alle elementari, nascondendo un gessetto in una mano, o con l’attuale ‘dolcetto o scherzetto’. La fonte più autorevole è ‘Lo cunto de li cunti’ di G.B. Basile (1575-1632), che vi accenna nella quarta giornata del suo Pentamerone (altro nome de ‘Lo cunto de li cunti’), opera illuminante per quanto riguarda la cultura e l’identità degli abitanti di quello che fu il Regno delle Due Sicilie. Allo stesso modo, credo che ‘viento’ debba leggersi come una ambiguità tra vento, sostantivo (la mano vuota, che contiene solo aria) e vento, verbo (viente, vièntene, vieni via, non hai indovinato). Di poco aiuto risulta la lettura del Vocabolario del Galiani, N2: cucco, uccello molto vago per le sue piume, non molto frequente fra noi, ma che nella primavera suol comparire. Val qualche cosa d’essenziale, ed importante, onde il patrio nostro proverbio, la di cui origine però s’ignora, di: cucco, e viento, che pur è una tal sorta di gioco da ragazzi fra noi. E’ pur voce da bamboli, e vale gnocco, maccarone, e forse dallo Spagnuolo cuccos, che son appunto i maccaroni. Ben più interessante invece è la notazione del Vocabolario del D’Ambra, N3: cucco (lat. crustulum; sp. cuca) Voce infantile, con la qual significano zuccherini. Chicca — 2. fras. Cucco o viento, giuoco puerile, con che in una palma di mano stringesi qualche confetto, ed ancora avellane, o altro; e poi si domanda al compagno: è cucco, o viento? Ed il compagno deve indovinare in qual delle mani trovisi la tal cosellina che si giuoca. Se indovina, la è sua. Se sbaglia, l’altro soffia nella mano vota; e quegli perde altrettanto di ciò che trovasi nella mano chiusa. E così da capo. Dinto a sta mano annevenate mo’ s'è biento о cucco. 3. sin. di cocco, uovo. 4. fras. Cucco bello de mamma, modo vezzeggiativo nel carezzarsi i bambini. Zuccherino, amorino della mamma. TAR: cucco, cuculo.
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