La legge 'eversiva della feudalità', del 2 agosto 1806, la grande occasione fallita per il Regno delle Due Sicilie: la libertà, come la democrazia, non si esporta, deve nascere e alimentarsi all'interno delle società che sono poi capaci di curarla, o almeno di permettersela. E pensare che questa grande opera degli invasori francesi rispondeva ai desideri degli stessi Borboni, che infatti, consci di non essere in grado di eliminare i privilegi feudali, confermarono, all'atto pratico, la validità di questa legge, nel senso che non la abolirono, anche se non furono capaci di applicarla. Troppo forte il potere dei 'baroni', termine col quale si indicavano i feudatari in generale. E' un po' il senso di quella immutabilità di cui si parla ne 'Il gattopardo'. Almeno credo.
E per meglio credere, ecco cosa ne dice Piero Bevilacqua ('Breve storia dell'Italia Meridionale dall'Ottocento a oggi', Donzelli 1993), dove definisce il tentativo riformatore dei napoleonidi 'una rivoluzione passiva': ''Il 2 agosto 1806 il governo di Giuseppe Bonaparte, che si era installato a Napoli al seguito dell'esercito napoleonico, abolì, con una sola legge, la feudalità del Regno di Napoli. D'un colpo, l'intera giurisdizione che per secoli aveva attribuito ai baroni un potere quasi assoluto su uomini, terre, castelli, città, fiumi, strade, mulini venne cancellata. In virtù di essa i feudatari, privati degli antichi diritti speciali sulle popolazioni, furono trasformati in semplici proprietari dei loro possedimenti, mentre tutte le altre realtà territoriali, non più sottoposte a usi o a prerogative particolari, vennero a cadere sotto la legge comune del nuovo stato.
I vari progetti di riforma delle istituzioni feudali, tentati inutilmente nella seconda metà del Settecento dai governi ispirati dagli intellettuali illuministi, ebbero dunque finalmente una concreta realizzazione. Ma ciò era avvenuto, non bisogna dimenticarlo, grazie a un intervento esterno, per la forza e la determinazione di una potenza straniera sorretta da un esercito invasore. Tale aspetto, che ci aiuterà a capire, nel prosieguo, i limiti delle innovazioni introdotte nel Regno dai Napoleonidi, serve tuttavia anche a familiarizzarci con un dato decisivo e assolutamente imprescindibile per comprendere la storia di lungo periodo del Mezzogiorno e in parte di quella contemporanea: la posizione politicamente periferica e subalterna del Regno meridionale, rispetto alle grandi potenze dell'Europa, in tutta la fase preunitaria.''
Quanto se ne sappia in giro di questa legge, per la quale dovremmo comunque essere grati all'invasore francese, non saprei dire, come non saprei dire se in qualche libro di testo siano mai stati citati almeno i nomi di quei personaggi di assoluto spessore che furono per il Regno delle Due Sicilie Giuseppe Zurlo o Davide Winspeare, giustamente ricordati dal professor Bevilacqua nel suo libro.
Insomma, se di personaggi illuminati si tratta, perché dimenticarli solo in quanto 'preunitari'? Anche Dante concede la sua ammirazione e stima, nonché dei versi, a personaggi che non hanno conosciuto la gloria di colui che tutto muove, no? Ne consegue che preunitario è peggio di precristiano?
Bando agli scherzi, la legge è la seguente:
E per meglio credere, ecco cosa ne dice Piero Bevilacqua ('Breve storia dell'Italia Meridionale dall'Ottocento a oggi', Donzelli 1993), dove definisce il tentativo riformatore dei napoleonidi 'una rivoluzione passiva': ''Il 2 agosto 1806 il governo di Giuseppe Bonaparte, che si era installato a Napoli al seguito dell'esercito napoleonico, abolì, con una sola legge, la feudalità del Regno di Napoli. D'un colpo, l'intera giurisdizione che per secoli aveva attribuito ai baroni un potere quasi assoluto su uomini, terre, castelli, città, fiumi, strade, mulini venne cancellata. In virtù di essa i feudatari, privati degli antichi diritti speciali sulle popolazioni, furono trasformati in semplici proprietari dei loro possedimenti, mentre tutte le altre realtà territoriali, non più sottoposte a usi o a prerogative particolari, vennero a cadere sotto la legge comune del nuovo stato.
I vari progetti di riforma delle istituzioni feudali, tentati inutilmente nella seconda metà del Settecento dai governi ispirati dagli intellettuali illuministi, ebbero dunque finalmente una concreta realizzazione. Ma ciò era avvenuto, non bisogna dimenticarlo, grazie a un intervento esterno, per la forza e la determinazione di una potenza straniera sorretta da un esercito invasore. Tale aspetto, che ci aiuterà a capire, nel prosieguo, i limiti delle innovazioni introdotte nel Regno dai Napoleonidi, serve tuttavia anche a familiarizzarci con un dato decisivo e assolutamente imprescindibile per comprendere la storia di lungo periodo del Mezzogiorno e in parte di quella contemporanea: la posizione politicamente periferica e subalterna del Regno meridionale, rispetto alle grandi potenze dell'Europa, in tutta la fase preunitaria.''
Quanto se ne sappia in giro di questa legge, per la quale dovremmo comunque essere grati all'invasore francese, non saprei dire, come non saprei dire se in qualche libro di testo siano mai stati citati almeno i nomi di quei personaggi di assoluto spessore che furono per il Regno delle Due Sicilie Giuseppe Zurlo o Davide Winspeare, giustamente ricordati dal professor Bevilacqua nel suo libro.
Insomma, se di personaggi illuminati si tratta, perché dimenticarli solo in quanto 'preunitari'? Anche Dante concede la sua ammirazione e stima, nonché dei versi, a personaggi che non hanno conosciuto la gloria di colui che tutto muove, no? Ne consegue che preunitario è peggio di precristiano?
Bando agli scherzi, la legge è la seguente:
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